Arizona Junior - Raising Arizona
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Regia: | Coen Ethan, Coen Joel |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen; fotografia: Barry Sonnenfeld; musiche: Carter Burwell; montaggio: Michael R. Miller; scenografia: Jane Musky; costumi: Richard Hornung; interpreti: Nicolas Cage (H.I.), Holly Hunter (Ed), Trey Wilson (Nathan Arizona Sr.), John Goodman (Gale), William Forsythe (Evelle), Sam Murray (Glen), Frances McDormand (Dot), Randall (Tex) Cobb (Leonard Smalls), T. J. Kuhn (Nathan Jr.), Lynne Dumin Kitei (Florence Arizona); produzione: Ethan Coen, per Ted and Jim Pedas - Ben Berenholtz Production; origine: USA, 1987; durata: 93' |
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Trama: | A furia di incontrarsi in prigione – lei poliziotta e fotografa dei nuovi ospiti, lui rapinatore di supermarket – Herbert I Mc Donnough ed Edwina si sono sinceramente innamorati. Si sposano ma dal loro matrimonio niente figli. Poiché in città la moglie di Nathan Arizona, un ricco commerciante, ne ha avuti addirittura cinque in un parto plurigemellare, loro pensano bene di portarne via uno. Le cose però si complicano, quando una notte arrivano in casa di H.I. i fratelli Gaie ed Evelle Snopes suoi ex–compagni di cella, un po’ svitati e ora evasi, ma non tanto stupidi da non capire che il vispo frugoletto – Arizona – che si muove carponi sul pavimento è proprio quello per il quale il padre darà 25.000 dollari a chi lo riporta al nido. |
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Critica (1): | Nel panorama di rinnovamento che con frequenza sempre maggiore si sente pulsare nel cinema americano indipendente, i due fratelli Coen s’impongono per autorità, consapevolezza e volontà. Non c’è solo la parodia e l’ironia verso codici classici che non corrispondono più alla realtà, e nemmeno il calco replicante che i codici classici imita, amplificandoli all’ennesima potenza grazie alle possibilità consentite dalle più sofisticate tecnologie: per i fratelli Coen fare cinema vuol dire reinventare il modo di fare cinema. Vuol dire porsi in bilico tra una vicenda e l’incredibilità stessa di quella vicenda: è la narrazione che in virtù di leggeri scarti si trova sempre più spostata in una dimensione paradossale. Una dimensione paradossale che non si capisce, però, come si sia potuta raggiungere. Del cinema classico i fratelli Coen tengono ben presente la lezione fondamentale: la finzione è sempre sogno. La dimensione che Blood Simple sapeva toccare era proprio quella dell’onirismo puro: la realtà del cinema e dei modi di vita americani travolti dalle forze scatenate di quelle stesse realtà: il cinema come sogno diventa il sogno come incubo. Blood Simple era un gioiello di dissacrazione e di rispetto, un capolavoro d’equilibrio che rimandava all’Aldrich violento degli anni Cinquanta: quello dei generi vertiginosi: stordimenti da capogiro. Blood Simple era stata una sorpresa: un’eccezione nel mare dei parodiatori nati sotto il fungo atomico televisivo. Per i due Coen, come per Jerry Lewis, c’è una malattia di fondo insanabile che produce il loro cinema: non poterne fare a meno, da un lato; e sentirsene profondamente ingannati, dall’altro: la scissione fondamentale di ogni grande autore moderno: realtà/finzione, reale/rappresentazione, natura/maschera. È un pedinamento infinito: estenuante. Come quello che in Blood Simple avveniva in una strada asfaltata di notte, fra Ray e Marty, creduto morto, ancora vivo invece, che nonostante proiettili e badilate non accenna a spirare. Sarà sepolto mentre ancora respira.
Il cinema è come Ray: non solo filma la morte al lavoro, ma seppellisce viva la realtà nelle sue inquadrature: il cinema che ancora ha un’anima, ovviamente. Quello che palpitava e trepidava in Griffith, mentre pulsava sorpreso dalle stesse storie che poteva raccontare. O che più recentemente soffriva in Jerry Lewis, per storie che non si potevano più raccontare: il cinema è diventato talmente falso da aver perso la fragranza del vero. O che, ancora, in Corman riusciva a dar piaceri necrofili nell’imminenza della morte. Si conosce il danno provocato dagli imbalsamatori venuti dopo. Il cinema mummia mosso da reanimator non ha più anima: c’è solo la più diafana superficie di cristallo della bara dentro cui giace, splendente, Biancaneve. Questa lunga “deviazione” serve ad appurare che Blood Simple era un miracolo: possedeva oltre i cliché dei generi, oltre l’efferatezza della storia, un’anima con motti di spirito e sentimenti. Arizona Junior non ripete l’exploit. Troppo delicata era la ragnatela. Eppure la partenza, nei pregenerici: una storia a brevi flash, seccamente tagliati, montati ancor più seccamente, esprime questa volontà di narrazione e di raffigurazione che sa cogliere una seconda dimensione oltre la soglia delle inquadrature: oltre l’inconscio. Cresce abnormemente. In effetti la vicenda di “Hi” McDonnough, ex detenuto che sposa Edwina, assistente della polizia, va in crescendo parossistico. Coppia felice all’inizio, scoprono improvvisamente di non poter aver figli, dolore e disperazione. Disperazione, perdita d’entrambi del posto di lavoro. Decidono di rubare un neonato ad una bieca coppia di commercianti, Nathan e Florence Arizona, baciati dalla sorte di un parto di cinque gemelli. Si innesca una laida storia di rapimenti in cui si mescolano due amici evasi, Gale ed Evelle, una coppia di sposi conoscenti, Dot e Glenn, non ancora sazi della loro numerosa prole. Nathan Arizona promette una taglia per il ritrovamento del suo bimbo. “Hi”, Edwina e Nathan jr. wanted. L’entrata in scena d’un vendicatore motorizzato su Harley Davidson, un guerriero della strada, completa il quadro fra furti di pannolini e veri e proprie rapine. Fino alla resa dei conti finale: “Hi” salvo per miracolo. E relativa decisione di restituzione del bimbo al legittimo padre. A letto, a fianco della sua Edwina, “Hi” fa un sogno: loro due anziani, una patriarcale famiglia felice, tanti nipotini raccolti attorno al tavolo per il giorno del ringraziamento. Una premonizione di ritrovata fertilità, metafora stessa della vita che continua.
La vicenda, dunque, è di nuovo al limite: l’unico punto in cui i due fratelli Coen propugnano si possa ancora operare per far vivere la finzione. Arizona Junior però non riesce a trovare il giusto ritmo interiore. Tre almeno le sequenze da antologia. Il rapimento di Nathan Jr. con corrispettiva fuga dei gemelli in ogni stanza, uno. Due: il notturno furto di pannolini al supermercato perpetrato da “Hi” con relativo inseguimento di negoziante armato, polizia, cani al guinzaglio e cani sciolti, con salvataggio finale di Edwina. Tre: duello conclusivo all’esplosivo fra “Hi” e il vendicatore con sorprendente deflagrazione di quest’ultimo. Tre macrosequenze incredibili, dotate di brio, capacità visionarie, senso dell’umorismo al vetriolo. Purtroppo ad esse si mescolano momenti di pura gestione del racconto. Arizona junior manca cioè di quell’interna tensione perversa che sottendeva per l’intera durata Blood Simple. Ma non c’è da disperare. Fra i nuovi volti delle speranze americane, quelli del cinema della crudeltà (fra cui ovviamente Sam Raimi), i fratelli Coen si presentano come i più imprevedibili. Quelli senza dubbio potenzialmente più dotati e capaci di future sorprese.
I più debordanti, grotteschi, gli unici ad aver capito certe lezioni estreme dell’esempio australiano.
Carlo Scarrone, Segnocinema n. 30, novembre 1987 |
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