Ricordi della casa gialla - Recordações da casa amarela
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Regia: | Monteiro João César |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: João César Monteiro; fotografia: José António Loureiro; musica: Franz Schubert, Antonio Vivaldi; montaggio: Helena Alves, Claudio Martinez; scenografia: Luís Monteiro; suono: Vasco Pimentel; interpreti: João César Monteiro (João De Deus), Manuela de Freitas (Violeta), Sabina Sacchi (Mimi), Ruy Furtado (Armando), Teresa Calado (Julieta), Henrique Viana (il vicecapo di polizia), Duarte de Almeida (Ferdinando), Luís Miguel Cintra (Livio), Antonio Terrinha (medico); produzione: Joaquim Pinto, per Invicta Filmes/GER; distribuzione: IMC; origine: Portogallo, 1989; durata: 120’. |
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Trama: | João De Deus è un uomo di mezza età, denutrito e pieno di strane malattie. La sua vita in una pensioncina della vecchia Lisbona si consuma tra rapporti sporadici con gli altri inquilini, una strenua lotta alle cimici e l'infatuazione per la figlia della padrona. Dopo un goffo tentativo di sedurla dovrà fuggire, finendo prima a fare il barbone e poi, dopo un travestimento in panni militari e una dichiarazione sovversiva, in manicomio, da dove grazie a un amico riuscirà magicamente a fuggire per tornare a dare del filo da torcere al mondo. |
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Critica (1): | Ricordi della casa gialla non smentisce quello che già si sapeva del cinema portoghese: che non è un cinema allegro, consolatorio, vivace ed ottimista. Stilisticamente, Monteiro non si distacca dall’uso di lunghi ed estenuanti piani sequenza (non certo di quelli mobilissimi alla De Palma ma di quelli a camera fissa su di un’inquadratura che finisce per sembrare immutabile e pietrificata), con un’attenzione pittorica per la composizione dell’immagine la cui insistenza suggerisce qualcos’altro, non foss’altro lo squallore delle cose, degli oggetti (vere e proprie nature morte) che costituiscono l’habitat vitale di João De Deus, anch’esso sgradevole e fisicamente disturbante, ma più positivo del quotidiano in cui è costretto a vivere.
Monteiro attore dà vita ad un personaggio difficile da riconoscere, e l’intento di farne un inclassificabile ribelle, un diverso, gli riesce pienamente. Magro, scheletrico addirittura, lo vediamo alle prese con problemi triviali e “volgari”, dalle cimici che gli infestano la stanza e che cattura con veri e propri agguati, ad un’imbarazzante infiammazione agli organi genitali (anche le ripetute allusioni sessuali, soprattutto al sesso orale, non hanno gioia né carnalità, ma sanno di squallido e di mercificato). Lo vediamo (ci sembra) “buono”, attento nei riguardi di una giovane prostituta che vive nella stessa pensione, ma lo scopriamo “cattivo”, o per lo meno cinico, quando questa improvvisamente muore e l’unica sua preoccupazione è cercare i soldi da lei nascosti nella pancia di una bambola di pezza.
Tutto questo in una Lisbona che è quella distrutta dal disastroso incendio di qualche anno fa, ben lontana da ogni stereotipo turistico. A tratti assomiglia a una certa Napoli, con le genti pronte ad urlare oscenità dalle finestre, i ragazzini che scivolano sui materassi gettati nell’immondizia. In un Portogallo che ha consumato pacificamente una rivoluzione “floreale”, João tenta, alla fine, di marciare da solo sul Parlamento con un’uniforme della Marina, cosa che gli merita il manicomio. Ma prima lo abbiamo visto dichiarare un amore ridicolo all’improbabile clarinettista figlia della padrona di casa, e al suo rifiuto tentare di usarle violenza. L’abbiamo visto bere l’acqua saponosa del bagno in cui la ragazza si è lavata, spillare soldi alla madre anziana e malata senza il minimo scrupolo filiale. Non a caso Monteiro ha scelto ad emblema del film un quadro di George Grosz il cui titolo suona, tradotto, come “John, l’assassino delle donne”.
Dalla “pazzia” in poi, il film cambia completamente registro. L’apparente cronaca tragicomica della vita di un uomo del sottosuolo si trasfigura in altro. De Deus, rapato e rasato, somiglia sempre più al Nosferatu di Max Shrenck, di cui assume l’andatura saltellante, e come lui emerge nottetempo da una botola (una scena bellissima) con il compito dichiarato di portare il disordine nel mondo.
Se pure ci sembrano un po’ eccessivi gli entusiasmi con cui la critica accolse il film a Venezia nell’anno del Leone d’oro a Città dolente, questo, che gli fu buon secondo (condividendone la sorte distributiva), è senz’altro il più bel film che abbiamo visto negli ultimi tempi sullo squallore del viver quotidiano in una città, un paese, che finisce con l’assomigliare all’Orano di Camusiana memoria. E col merito di non cadere nella tentazione (pratica un po’ facile di parecchi autori “alternativi”) di prendere i suoi luoghi e i suoi personaggi come elementi di una rivalutazione dell’“estetica del brutto”. I suoi “mostri” restano tali, e in un cinema d’ispirazione sicuramente originale non dispiace ritrovare echi polanskiani (il suo inquilino) o rimandi ad una letterarietà non troppo ostentata. Ma più che un Don Chisciotte alle prese coi mulini a vento dell’alienazione dettata dal conformismo, João De Deus è un uomo che sopravvive per frammenti, un artista marcio che deve, per soldi, inventarsi articoli patetici in base alle foto che gli dà un ricco reporter. Contro questa ricostruzione della realtà, Monteiro-De Deus oppone una decostruzione del racconto cinematografico che se ci lascia sul momento irritati e depressi, molto dopo la visione ci ritrova grati e ammirati.
Daniela Catelli, Segnocinema, luglio-agosto 1991 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| César Monteiro |
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