Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo Satans Sorger di Marie Corelli; sceneggiatura: Hedgar Høyer (sul testo adattato da Carl Th. Dreyer); fotografia: Georg Schnéevoigt; scenografia: Carl Th. Dreyer con l’assistenza tecnica di Axel Bruun e Jens G. Lind; interpreti: (Primo episodio: Palestina) Halvard Hoff (Gesù), Jacob Texiere (Giuda), Erling Hansen (Giovanni), Landskabsmaler Hermansen, Tomrer Weigel, Gogbinder Gylche, Wilhelm Jensen (apostoli), Helge Nissen (il fariseo ovvero Satana); (Secondo episodio: l’Inquisizione) Hallander Hellemann (don Gomez), Ebon Strandin (Isabella, sua figlia), Johannes Meyer (don Fernandez), Nalle Haldén (il maggiordomo), Helge Nissen (il grande inquisitore ovvero Satana); (Terzo episodio: La Rivoluzione francese) Tenna Kraft (Maria Antonietta), Emma Wieth (la contessa di Chambord), Jeanne Tramcourt (Geneviève, sua figlia), Elith Pio (Joseph, il domestico, poi commissario rivoluzionario), Viggo Wiehe, Emil Helsengreen, Helge Nissen (Ernest Durand ovvero Satana); (Quarto episodio: La rosa rossa di Finlandia) Carlo Wieth (Paavo), Clara Pontoppidan (Siri, sua moglie), Carl Hillebrandt (Rautaniemi), Karina Bell (Naima, figlia del contadino), Helge Nissan (Ivan, ovvero Satana); produzione: Nordisk Films Kompagni; origine: Danimarca, 1919-1921; durata: 110’. |
Critica (1): | Il film è composto di quattro episodi: Satana, spinto da Dio a prendere forma umana, agisce contro le leggi divine.
1 – In Palestina, nel primo secolo della nostra era, Satana prende l’aspetto di un Fariseo e spinge Giuda a tradire Gesù.
2 – Nel XV secolo, a Siviglia, è inquisitore. Spinge il monaco don Fernandez ad approfittare della superstizione del maggiordomo José per far accusare di stregoneria don Gomez, il quale si occupa di astrologia, e sua figlia Isabella. Don Gomez muore torturato; Isabella, che sarà bruciata, è violentata da don Fernandez, da molto tempo invaghitosi di lei.
3 – Durante la Rivoluzione Francese, il conte Chambord affida, prima di morire, sua moglie e sua figlia, Ginevra, a un giovane servo, il fedele Giuseppe. A Parigi, costui, istigato da Satana, diventa Giacobino e denuncia le due donne. Ginevra promette a Giuseppe di perdonarlo se aiuta Maria Antonietta ad evadere; Giuseppe tradisce di nuovo.
4 – In Finlandia, dopo la Rivoluzione russa, le P.P.K. praticano con fanatismo il ‘catechismo rosso’. Satana, monaco spretato, accende l’amore di Rautaniemi per Siri, la fedele sposa di Paavo. Ma Siri preferisce morire piuttosto che tradire la sua patria. Questa volta Satana ha fallito. L’insidia non ha effetto, ma la perfida missione terrena di Satana – ci avverte il finale –non è ancora conclusa. Se la problematica del film si stacca dallo schematismo ideologico di Intolerance, e sembra piuttosto subire le suggestioni del satanismo ambiguamente erotico della tradizione culturale scandinava, l’assetto stilistico recupera appieno l’influsso griffithiano, per ottenere una dimensione narrativa basata sulla discontinuità spazio-temporale. Il criterio della frammentazione del continuum narrativo non è però utilizzato sistematicamente come in Intolerance, né viene spinta fino alle conseguenze stilistiche più radicali l’intuizione di una nuova possibilità di articolazione della sintassi filmica, perché nel film la discontinuità, l’assenza, coinvolgono sempre la persistenza, la presenza, nel senso che il collegamento tra gli episodi è garantito – come già nel Satanas di Murnau – da un Leitmotiv: il viso di Satana. Ma, prescindendo dalla complessità della struttura del racconto, il film contiene molte innovazioni tecnico-linguistiche che rivelano un accresciuto controllo delle peculiarità semiotiche del medium cinematografico. Risulta allora esemplare il ricorso al montaggio parallelo, che Dreyer di solito sceglie per accentuare l’emotività dell’azione e sottolineare l’irruzione del dramma nella sfera del quotidiano, come avviene nelle sequenze che alternano le occupazioni mondane della famiglia del conte di Chambord all’ingresso della ghigliottina nel cortile del castello. Altrettanto indicative sono le riprese effettuate dall’alto, in leggera plongée: valgano per tutti gli esempi dell’inquadratura che insiste drammaticamente sull’arresto di Gesù e di quella che rivela, in termini ‘carezzevoli’, la prigionia di Maria Antonietta. Ma vanno soprattutto citate le panoramiche utilizzate per individuare, con movimenti fluidi ed efficaci, i vari personaggi, o per accompagnare l’azione (come quando Giuda, oppresso dall’angoscia, si lascia scivolare lentamente a terra). Alla creatività della cinepresa si unisce la dinamica dell’attore, il movimento che gli interpreti producono per ottenere studiate simmetrie figurative. Tipiche in questo senso, nel primo episodio, le sequenze del tradimento di Giuda e della cattura di Gesù; oppure le scene che, nel quarto episodio, visualizzano gli scontri tra le opposte frazioni, insistendo su materiali profilmici inusitati, su una realtà eterogenea fatta di uomini, cavalli, fughe, inseguimenti, colline, praterie, fiumi, ecc. Il film denota pertanto un’accentuata vivacità narrativa, ribadita dalla particolare tecnica di montaggio che nell’episodio contemporaneo inserisce seicento piani in un brano della lunghezza di 750 metri circa (ogni inquadratura dura in media tre secondi e mezzo). Ne deriva un ritmo rapido, incalzante. Aumenta la carica energetica (e quindi la presa emotiva) del racconto, ma si scatena anche l’opposizione dei produttori e soprattutto degli attori, cui sembra di vedere sacrificate, a causa della frequenza dei tagli, le peculiarità espressive della recitazione. Il ricorso sistematico al montaggio consente al regista di individuare un principio creativo essenziale per accrescere il potenziale semantico della narrazione, ma non per questo lo distoglie dall’indagare sul rapporto scrittura filmica-rappresentazione teatrale, che costituisce il problema formativo basilare di tutta la sua produzione. Pagine del libro di Satana persegue infatti un criterio di rigorosa simmetria stilistica, evidente non solo nella composizione equilibrata dell’immagine (per esempio, la ricostruzione dell’ultima cena di Gesù), ma anche, e soprattutto, nell’attenzione puntigliosa rivolta alla struttura scenografica, alla ricerca del particolare rivelatore. Alla luce di questa tipologia stilistica, appare del tutto logico che l’oggetto si carichi di mute e significative valenze e diventi un attante coinvolto nella dinamica del racconto: si veda, nel corso del quarto episodio, il rilievo conferito al coltello con il quale Siri si trafiggerà per evitare l’infamante tradimento. Qui, il rapporto che si instaura tra l’oggetto e la donna è un vero e proprio dialogo, intessuto di tacita richiesta e di disponibilità dichiarata: l’offerta gratuita della morte si incontra con il desiderio cosciente dell’annientamento. L’oggetto diviene così un veicolo di morte, uno strumento che, mentre sopprime fisicamente Siri, le fornisce un’opportunità di autoaffermazione: le consente – attraverso il meccanismo della negazione e del superamento – di raggiungere il nulla, il vuoto, l’assenza. Coinvolta totalmente nell’esperienza del non-luogo della morte – apertura e movimento infinito in direzione dell’altro – Siri, legata alle istanze del desiderio, inaugura idealmente la serie delle eroine dreyeriane, collocandosi accanto a Jeanne d’Arc, alla Anne di Dies Irae e a Gertrud.
Piergiorgio Tone, Dreyer, Il Castoro Cinema, La Nuova Italia, 1978 |