Lola Darling - She's gotta have it
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Regia: | Lee Spike |
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Cast e credits: |
Soggetto, sceneggiatura e montaggio: Spike Lee; fotografia (bianco e nero): Ernest Dickerson; musiche: Bill Lee; "Mystery of Love" di Babatunde Olatunji, "Strafe's Groove" e "Comin from Another Place" di Strafe; coreografia: Kevin Jeff; interpreti: Tracy Camilla Johns (Lola Darling), Redmond Hicks (Jamie Overstreet), John Terrell (Greer Childs), Spike Lee (Mars Blackmon), Raye Dowell (Opal Gilstrap), Joie Lee (Clorinda Bradford), Apatha Merkinson (il dottor Jaminson), Bill Lee (Sonny Darling), Cheryl Burr (Ava), Aaron Dugger (Noble), Stephanie Covington (Keva), Renata Cobbs (Shawn), Cheryl Singleton (Toby); supervisore alla produzione: Monty Ross; produttore associato: Panni Jackson; produzione: Shelton Lee per la Forty Acres and a Mule Productions; distribuzione: Academy; origine: USA, 1986; durata: 81 min.. |
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Trama: | Lungometraggio d'esordio del regista statunitense Spike Lee, Lola Darling racconta la vita di una giovane donna afroamericana che vive a Brooklyn e le sue relazoni amorose con tre uomini che ama contemporaneamente. |
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Critica (1): | A giudicare dalle esperienze personali di chi scrive, l'idea che comunemente abbiamo in Europa sulla condizione degli afroamericani è intrappolata in una miriade di luoghi comuni, all'incirca come se qualcuno venisse in Italia da oltreoceano convinto di trovare ancora gli sciuscià e le maggiorate (non che questo non avvenga, per carità...). Lola Darling ha il pregio di non esitare sui termini generali della questione razziale in America e di proiettarci senza indugio in mezzo al quotidiano della società di colore. Certo la Brooklyn del film è la stessa di Howard Beach, dove un negro è stato linciato pochi mesi fa di fronte a una folla impassibile, ma la dimensione della violenza (fisica e istituzionale) è assente da Lola Darling.
Il dato più sorprendente da un punto di vista sociologico è la scoperta di quanto simili, pressochè parallele, siano le ossessioni, gli ideali, le manie e i luoghi comuni dei neri americani rispetto ai connazionali bianchi. La stolidità e l'ipocrisia del Buppie("Black Yuppie") Greer, con il suo machismo patinato e la sua smania di successo, sono del tutto analoghe a quelle di un qualsiasi manager d'assalto di Manhattan. La stessa dialettica in cui è invischiata Lola (amore/ emancipazione) ricorda la parabola di innumerevoli donne bianche: il fatto è che i valori del denaro, della riuscita personale, della libertà individuale sono immanenti a tutta la società americana. Per i neri, semmai, è "solo" più difficile.
In questa prospettiva il personaggio più interessante è certamente Mars, non a caso interpretato dallo stesso Lee. Tra gli amanti di Lola è senza dubbio il meno integrato, il più vicino alla cultura di strada e a quei segni (di abbigliamento, di slang, di comportamento) che - come nell'ormai defunto hip hop - esprimono l'arrogante indipendenza della creatività nera. E', inoltre, contagiosamente simpatico. Nel corso del film Mars funziona da commentatore ironico delle idiosincrasie di Lola e dei suoi altri amanti, spesso cogliendone con arguzia le contraddizioni e le follie. Assomiglia, anche nell'aspetto, a un diavoletto in moto perpetuo. Ma la sua irrequietezza è fine a se stessa. Incapace di un progetto o di un sogno (è quello che maggiormente Lola gli rimprovera), è condannato a pedalare per le strade di Brooklyn finché sarà troppo vecchio per andare in bicicletta. Alla fine è imprigionato nel suo buffo nichilismo quanto Greer è prigioniero dell'emulazione. In mezzo ai due c'è Jamie, per il quale Lola nutre evidentemente un sentimento più profondo. Solo che nel suo orizzonte piccolo-borghese non c'è alternativa: lascerebbe sì la moglie, ma solo per fare di Lola la sua seconda consorte. Il problema dell'indipendenza femminile è ancor più drammatico nella società nera, dove io sciovinismo maschile ha la stessa radice della rabbia contro la cultura bianca. Jamie, che è un personaggio sostanzialmente positivo, non ne è esente. Per questo la figura di Lola Darling è così nuova e originale nel panorama del cinema americano. E' la prima volta che una donna nera è protagonista della sua liberazione, non un semplice riflesso di quella del suo uomo. L'avversario principale di Lola, infatti, non sono i bianchi, ma i maschi. Lola cerca di essere l'artefice del suo stesso mondo e non è più tenera con le donne di quanto lo sia con gli uomini. I suoi rapporti con la lesbica Opal non oltrepassano mai il confine della trasgressione, nè maggior confidenza sembra avere con la vecchia convivente dalla quale si reca a chiedere aiuto. Non dimentichiamo che Lola Darling è un film fatto da un uomo: e mentre Spike Lee mette in berlina i difetti dei rappresentanti del suo sesso, si guarda bene dal trasformare Lola in un'eroina, dell'emancipazione femminile. Quella di Lola è davvero una storia molto newyorkese, un dramma dell'individuo nei suoi rapporti con gli altri: qual'è la strada per la felicità, se ne esiste una?
Lo stile del film priva il personaggio di Lola di uno sviluppo psicologico in senso tradizionale, ne fa piuttosto una splendida icona, una Venere nera che attraversa il film con la disinibita sicurezza del suo corpo.
Triste e divertente è la sequenza del compleanno al quale Lola ha invitato tutti e tre gli amanti. Le tensioni tra gli uomini trasformano la cena in un'esilarante testa a testa tra troppi galli nello stesso pollaio, ma quando i tre tornano a comportarsi "bene" la situazione si appiattisce in un tetro e desolato gioco di società. E' un'immagine rivelatrice. La razionalizzazione dei sentimenti serve alla propria emancipazione, ma uccide l'imprevedibilità dell'amore. Lola si dibatte in questa contraddizione vecchia quanto il mondo e alla fine sceglie la libertà al prezzo della solitudine. Ha fatto bene? Forse sì, forse no. Forse, come dice Jamie, "she's gotta have it", "se l'è voluta lei". E questo basta.
Davide Ferrano, Cineforum. n. 261 Gennaio-Febbraio 1987. |
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