Schegge di Follia - Heathers
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Regia: | Lehmann Michael |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Daniel Waters; fotografia: Francis Kenney; musica: David Newman; montaggio: Norman Hollyn; scenografia: Jon Hutman; costumi: Rudy Dillon; suono: Douglas Axtell; interpreti: Winona Ryder (Veronica Sawyer), Christian Slater (J.D.), Shannen Doherty (Heather Duke), Lisanne Falk (Heather McNamara), Kim Walker (Heather Chandler), Penelope Milford (Pauline Fleming), Glenn Shadix (padre Ripper), Lance Fenton (Kurt Kelly), Patrick Labyorteaux (Ram), Jeremy Applegate (Peter Dawson), Jon Matthews (Ronde); produzione: Decise Di Noti, per New Word Pictures/Cicemarque Entertaiment; distribuzione: TITANUS; origine: U.S.A., 1989; durata: 111'. |
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Trama: | Disgustato dalle sfrenate lotte per il potere che presiedono alla vita del liceo Westerburg, da lui frequentato, il giovane J .D. si ribella e comincia ad ammazzare ad uno ad uno i suoi compagni più in vista nella gerarchia della scuola. Nel gioco è coinvolta anche l'insicura Veronica, che prima è attratta dalle trasgressioni anarchico-omicide propostele da J.D., poi ne ha paura e si tira indietro. Alla fine J.D. rivolge contro se stesso la sua carica distruttiva e Veronica torna alla "normalità" solidarizzando con la ragazza cicciona più emarginata dai compagni. |
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Critica (1): | Quasi un antidoto alla teenagers comedy scioccherella e levigata tanto in toga nel cinema yankee del decennio scorso. O uno scaracchio in faccia alla gioventù beneducata e conformista dell'America degli anni '80. Con cinismo, con humour, con freddezza. E all'insegna di un nichilismo beffardo che non ha rispetto per niente e per nessuno: nemmeno per il ribellismo che pretende di punire il mondo solo perché se ne sente escluso.
Tenuto a lungo in naftalina dalla distribuzione italiana, che prima non sapeva come lanciarlo e che titolo scegliere (anche in America del resto la produzione aveva imposto il grottesco Lethal Attraction in luogo dell'originale Heathers) e poi ha aggirato l'ostacolo optando pilatescamente per un'innocua e inoffensiva uscita di piena estate, Schegge di follia é un film fuori genere e fuori schema: quasi un piccolo ufo dello schermo, affascinante e incatalogabile come un'apparizione imprevista e disorientante ma gradita. Il film ruota tutto attorno al piccolo mondo del liceo Westerburg di Sherwood, dell'Ohio: quasi una miniatura scolastica e suburbana del mondo di Twin Peaks, o un microcosmo liofilizzato di un 'America mummificata nei suoi rituali di appariscenza e di potere. Tre fanciulle di nome Heather, diverse sul piano fisico ma mostruosamente omologhe su quello psichico, sono le tre Parche che tirano i fili del Destino nel cerimoniale quotidiano della high school: belle e cretine, fanno insulsi sondaggi d'opinione tra i compagni, decretano inclusioni ed esclusioni dal gruppo e godono di una "popolarità" che le induce a credersi perennemente vezzeggiate, coccolate e desiderate.
Il riferimento a Lynch é quasi d'obbligo (e probabilmente è l'unico possibile) per il modo in cui Michael Lehmann le fa entrare in scena proprio nel prologo del film: un incubo onirico che ha il sapore e il colore di certe acide favole lynchiane, tra Velluto blu e l'iperrealismo Kitsch di certe parti del serial televisivo che l'autore di Cuore selvaggio ha realizzato in collaborazione con Mark Frost. Una delle tre Heather si infila un nastro rosso (che per tutto il film sarà il simbolo del potere) nei capelli biondi, poi le tre escono fianco a fianco da un'aiuola calpestando gerani rossi e si mettono a giocare a minigolf lanciando la palla rossa sulla testa di Veronica, che tede nell'incubo sepolta nel prato fino al capo.
Inutile dire che quel campo da minigolf - quasi un giardino di perfdie e di delizie, così strutturalmente e figurativamente omologo agli altri ambienti del film (in camera di Veronica ci sono lampade e finestre che hanno la stessa forma rettangolare delle porte d'acciaio sotto cui le tre Heathers cercano di infilare le loro palline) - costituirà il refrain visivo (ma anche semantico) della storia. E che il rosso sarà la traccia-guida nello sviluppo dell'intreccio. Su questo piccolo mondo perfido si abbatte la furia omicida di J.D. (in realtà Jason Dean: e il riferimento a Rebel Without a Cause é fin troppo palese). Cinico e distaccato, con qualche problemino edipico (la madre si é suicidata) e un rapporto antagonistico col padre, J.D. coinvolge Veronica nell'unico gioco divertente in città: quello di far fuori i belli senz'anima o le oche giulive della scuola, simulando suicidi tanto appariscenti quanto inverosimili e, per ciò stesso, universalmente creduti. Prima il bel selvaggio e la fragile nevrotica eliminano la Heather n. 1, avvelenata con un detersivo "sgorgatutto" blu in una scena irresistibilmente Kitsch, fra She Devil e la più pacchiana delle soap opera, poi ammazzano a pistolettate nel bosco i due "machi" della scuola, simulando un suicidio di coppia con tanto di rituale gay. Nessuno sospetta di loro, tutti credono all'inverosimiglianza delle loro messe in scena. E il loro gioco é come costretto ad andare sempre avanti, spingendosi ogni volta un pó più in là.
Ciò che colpisce, tuttavia, non è tanto (o solo) la ripresa di un punto di vista critico-distruttivo sul mondo, quanto la modalità figurativa con cui Michael Lehmann mette in scena l'anomalia del suo punto di vista: un uso del colore con funzione straniante e risemantizzante (la scena finale nel locale-caldaia fa pensare al cromatismo di Antonioni nella fabbrica di Deserto rosso), un decostruttivo e riassociativo che continuamente smonta la linearità narrativa e la riaggrega in altri modi, una sapiente utilizzazione del dettaglio fastidioso o repellente (i gerani calpestati, i primissimi piani sugli avanzi di cibo) incuneato come un ictus visivo nella narrazione. Michael Lehmann fa del suo piccolo mondo un teatrino dell'assurdo (si veda la bella sequenza dei personaggi al capezzale della vittima, un pó Biancaneve e un pó e un Fu Laura Palmer, in una scena che é assieme una fiera delle vanità e una sfilata di idiozie e il risultato é un film che, come Lost Angels di Hugh Hudson, prende a calci il mondo dei belli e vincenti, dei fusti da spiaggia e delle signorine da party, avendo il pregio di non proporre in alternativa alcun modello ) positivo.
Tutti cinici, tutti carogne, tutti perduti, i personaggi di Schegge di follia: J.D. non é in ribelle ma uno psicotico aspirante burattinaio, o un esteta che risolve il suo conflitto col mondo prima cercando di metterne in scena l'olocausto, poi sopprimendo se stesso. E Veronica é la ragazzina che si stanca presto di giocare a Bonze & Clyde e che si accontenta di conquistare per sé il nastro rosso del potere, magari invitando una sera la cicciona emarginata tanto per lavare la coscienza da residui sensi di colpa. Quel che resta, alla fine, é l'impietoso bilancio di una generazione a cui solo il suicidio sembra saper dare, di volta in volta, un'anima, un cervello o una profondità.
Anche se poi tutta una serie di tracce disseminate qua e là e riferite ai miti della cultura americana (i cognomi Chandler e Sawyer attribuiti a due delle protagoniste, le continue allusioni a Jesse James per il personaggio di L D., Il Moby Dick che é sempre tra le mani di Heather n. 2) inducono a pensare che il bilancio non sia davvero solo generazionale.
Gianni Canova, Segno cinema n. 51 settembre-ottobre 1991 |
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