Into the Wild
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Regia: | Penn Sean |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo “Nelle terre estreme”di Jon Krakauer; sceneggiatura: Sean Penn; fotografia: Eric Gautier; musiche: Michael Brook, Eddie Vedder, Kaki King; montaggio: Jay Lash Cassidy; scenografia: Derek R. Hill; costume: Mary Claire Hannan; effetti: Donald Frazee, Marty Taylor, Entity FX; interpreti: Emile Hirsch (Christopher McCandless), Marcia Gay Harden (Billie McCandless), William Hurt (Walt McCandless), Jena Malone (Carine McCandless), Catherine Keener (Jan Burres), Brian Dierker (Rainey), Vince Vaughn (Wayne Westerberg), Kristen Stewart (Tracy), Hal Holbrook (Ron Franz), Zach Galifianakis (Kevin), Thure Lindhardt (Thomas), Steven Wiig (Ranger Steve Koehler), Kyle Kwon (Ted Turner), Robin Mathews (Gail Borah); origine: Usa, 2007; durata: 148’. |
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Trama: | Il film racconta la vera storia di Christopher McCandless, detto Alex Supertramp. Dopo aver conseguito la laurea nel 1992, Christopher decide di abbandonare ogni cosa per andare a vivere tra i ghiacci dell'Alaska. Dopo aver vissuto in quel paese per quattro mesi, il suo corpo viene ritrovato senza vita in un autobus abbandonato all'interno di un accampamento isolato. |
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Critica (1): | Quarto film da regista di Sean Penn, Into the Wild, è stato uno degli eventi dell'ultima Festa di Roma, dove in diversi hanno gridato al capolavoro. Sarà bene dire subito che non lo è, ma sarà anche giusto ammettere che è uno di quei film che possono far innamorare. Perché è tenerissimo il protagonista – il giovane Christopher, che molla il benessere e la famiglia borghese per sfidare le «terre selvagge» –, perché sono abbaglianti i paesaggi naturali nei quali si svolge la storia, e perché tutti i riferimenti culturali che Penn dissemina nel film sono quelli giusti, quelli dell'America «che ci piace». Partiamo proprio dal Wild – è un aggettivo («selvaggio», appunto) che nella cultura americana sa farsi sostantivo, e che sostantivo! Si chiama Call of the Wild, in originale, Il richiamo della foresta di Jack London, uno dei libri che Chris legge durante la sua avventura, nonché uno dei testi formativi dell'identità americana più profonda. Ma strada facendo si parla anche di Thoreau e del suo Walden o la vita nei boschi, di Tolstoj e del suo ritiro fra i contadini a Jasnaja Poljana, della cultura hippy che ancora sopravvive negli angoli più sperduti della California; e si allude, magari indirettamente, a On the Road di Kerouac, a tanto cinema (da Ford a Terrence Malick), mentre in colonna sonora Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam, ammicca alla grande tradizione del folk e della psichedelia anni '60. Insomma, Into the Wild sembra veramente il pantheon di Sean Penn (…). Anche la struttura stessa del film – che Penn ha scritto da solo, ispirandosi al libro di Jon Krakauer Nelle terre selvagge – è assai ambiziosa (…). Suddiviso in capitoli («Nascita», «Adolescenza», «Famiglia», «Conquista della saggezza» ... ), il film si apre con Chris che arriva in Alaska, taglia i ponti con la civiltà e si accinge a passare un'estate in totale solitudine. Con lunghi flash-back, e con una doppia narrazione (le lettere che Chris scrive a un amico, la voce fuori campo di sua sorella), scopriamo che Chris ha abbandonato la famiglia subito dopo essersi diplomato al college, e che per due anni ha girato l'America in autostop, facendo l'agricoltore nel South Dakota e l'hippy in California, discendendo il Colorado in kayak e cuocendo hamburger in un fast-food, sempre con il sogno di seguire le orme di Jack London. Nel frattempo, l'estate di Chris fra i monti dell'Alaska passa di disastro in disastro... (…)
Alberto Crespi, L'Unità, 25/1/2008 |
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Critica (2): | È un uomo in rivolta, il protagonista di Into the Wild (…). Dice no al mondo, e alla sua miseria. Certo, lo fa anche perché ha poco più di vent'anni. Invece Sean Penn ne ha 47. Ma non sembra che la sua rivolta sia meno limpida.
È una storia vera quella che Penn ha tratto da un libro di Jon Krakauer. All'inizio degli anni 90, Christopher McCandless (Emile Hirsch) sceglie di abbandonare i soldi e la prepotenza del padre (William Hurt). Rinuncia alla prospettiva di una laurea prestigiosa, sale sulla sua vecchia auto e va verso l'Ovest, luogo del mito americano, e promessa d'una libertà anch'essa mitica. Ma la sua meta ultima è la solitudine fredda dell'Alaska.
Non c'è solo né soprattutto l'ideale della frontiera, dietro la rivolta di Christopher. Più forte è il coraggio irrequieto di Henry Thoreau, l'autore di La disobbedienza civile ( 1849) e di Walden, ovvero la vita nei boschi (1854). Come lui, riferimento dei libertari d'America, abbandona la "vita civile" e cerca una dimensione d'autenticità e autonomia morale nella wilderness, nella vastità della natura selvaggia e delle terre deserte.
Si somigliano, il ventenne in rivolta e il regista quasi cinquantenne. In un'epoca e in un cinema per lo più dominati da un conformismo che troppo spesso veste i panni fasulli della trasgressione, Penn è tra i pochi "arrabbiati". Lo è quando recita. Lo è quando gira.
Lo è quando vive. E lo è ora, nelle immagini e nei dialoghi di questo suo film forte e sincero.
È in viaggio, dunque, la rivolta di Christopher. E quello che attraversa nelle immagini e nelle parole di Into the Wild non è solo l'infinito dei paesaggi, ma anche l'infinito della sua anima. È troppo chiuso, è troppo fermo il mondo che lo sta per imprigionare. Giunto alla soglia della vita adulta, vede il suo futuro nel passato del padre e della madre (Marcia Gay Arden). E ne inorridisce. Non si possono avere vent'anni, e sapere come si sarà a cinquanta. Allora, si fa quello che hanno fatto e fanno tanti ventenni, alcuni grandissimi e altri destinati a far naufragio nella propria pochezza. Come un Francesco d'Assisi redivivo, Christopher si spoglia del se stesso che lo minaccia come un dovere, e si mette in cammino nella sua nuova, esaltante nudità interiore.
D'altra parte, se è la nudità che si cerca, quasi di certo si finisce per scoprire che non lo si è mai abbastanza, nudi. Così fa anche il giovane in rivolta: ogni tappa del suo viaggio è un avvicinamento impossibile a una perfezione che sempre più si sposta. Chi sono Rainey (Brian Dieker) e Jan (Katherine Keener), i "figli dei fiori" sopravvissuti alla fine del loro mondo, se non la conferma che il cammino è ancora lungo? Per quanto innamorati della libertà, i due si portano addosso il peso della vita. La loro strada si è chiusa, e quello che resta è poco più del ricordo di un'illusione.
E chi è la sedicenne Tracy (Kristen Stewart), se non la deliziosa tentazione d'abbandonare il viaggio? Se le cedesse, il suo futuro finirebbe per somigliare a quello di Rainey e Jan, e di tanti altri prima e dopo di loro. Ma Christopher non cede, non si rassegna. Con il coraggio testardo e crudele d'ogni vocazione alla santità, "uccide" l'amore e la speranza di Tracy, e insiste a oltrepassare limiti e confini. Quel che cerca, infatti, non è una nuova frontiera, ma l'assenza di ogni frontiera.
Così, man mano, Penn lo segue fino al niente che il ribelle sta cercando. Sta oltre un fiume, quel niente, in mezzo al bianco infinito e intatto di un angolo d'Alaska coperto di neve. Qui Christopher riuscirà a esser solo ( alone, scrive nel suo diario). Qui incontrerà quel se stesso che nessuno deve imporgli d'essere. Alle spalle s'è lasciato il passato e anche il futuro che Ron (Hal Holbrook) gli ha offerto con amore. Lascia che sia per te come un nonno, gli ha detto il vecchio Ron. Ma non si può accettare d'essere amati, se è il niente che ci seduce e chiama.
In mezzo alla neve, assurdamente umano, Christopher trova un vecchio bus. Lì inizia l'ultima parte del suo cammino verso se stesso, verso la sua nudità assoluta. Ma lì, nella wilderness, finisce per essere preso e catturato dal niente: la natura è crudele, per quanto la si voglia idealizzare. Ridotto a uno scheletro, si scopre solo come mai è stato, abbandonato (lonely, scrive ora nel diario). E però la sua non è una sconfitta. La felicità non è felicità, se non è condivisa: così scrive e così dice a se stesso, scoprendosi finalmente libero. È questa, dunque, la meta raggiunta del suo viaggio.
Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore, 3/2/2008 |
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