RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
; Archivio film Rosebud; ; Archivio film Rosebud
Torna alla Home
Mappa del sito Cerca in Navig@RE 

 > Aree tematiche > Cultura e spettacolo > Archivio film Rosebud > Elenco per titolo > 

Vanya sulla 42ª strada - Vanya on 42end street


Regia:Malle Louis

Cast e credits:
Soggetto, sceneggiatura: David Mamet, da "Zio Vanja" di Anton Cechov; fotografia: Declan Quinn; musica: Joshua Redman; montaggio: Nancy Baker; scenografia: Eugene Lee; costumi: Gary Jones; suono: Tod A.Maitland; interpreti: Wallace Shown (Vanya), Julianne Moore (Yelena), Brooke Smith (Sonya), Larry Pine (dr. Astrov), George Gaynes (Serybryakov), Lynn Cohen (la madre di Vanya), Phoebe Brand (Marina), Jerry Mayer (Waffles), Madhur Jaffrey (Mrs. Chao), André Gregory (se stesso), Louis Malle (se stesso); produzione: Fred Berner, per Laura Pels Prods./ New Media Finance; distribuzione: Lucky Red; origine: USA, 1994; durata: 119'.

Trama:Un gruppo di attori si riunisce per provare e mettere in scena, in un teatro destinato alla demolizione sulla 42ª strada, Zio Vanja di Čechov. La magia della commedia conquista talmente gli smaliziati attori professionisti da rendere estremamente attuale il conflitto dei sentimenti dei diversi caratteri di una famiglia della Russia dell'Ottocento.

Critica (1):L'idea originale dello spettacolo risale al 1989 ma solo due anni dopo fu possibile debuttare al Victory Theatre, un vecchio cinema non lontano da Times Square. Questo Zio Vanja acquistò subito le caratteristiche dell'evento, anche in considerazione dei posti riservati al pubblico, non più di una trentina. Tra i privilegiati c'era Louis Malle (e anche Bob Altman, che lì scritturò "Melena", ossia l'attrice Julianne Moore, per America oggi), a cui non dispiacque il progetto di filmare lo spettacolo. Abbandonato il Victory la scelta cadde sul New Amsterdam Theatre, in cui Peter Brook avrebbe voluto girare la sua Carmen. Due settimane di riprese, al ritmo di quindici pagine di testo al giorno, nell'adattamento di David Mamet: le scene filmate con estrema sobrietà in primo piano - campo/controcampo - piano americano, colonna sonora ridotta all'essenziale, macchina all'altezza della signora Chao seduta nello spazio dell'orchestra, e gli attori a recitare su una piattaforma adagiata nella sala (essendo il palco ormai impraticabile per le assi di legno rose dai topi), con riferimenti esibiti, nei costumi e negli oggetti, al 1994.
Il film si pone, ad un colpo di lettura immediato, come esplicito oggetto culturale, riguardante innanzitutto il teatro. Nella pratica teatrale contemporanea si dà la seguente alternativa: costruire un determinato spettacolo quale sede privilegiata delle suggestioni culturali ad esso riferibili, oppure individuare a monte qualcosa di già forte "culturalmente" su cui montare di conseguenza uno spettacolo. Eccede i limiti di questa nota ripercorrere la ricerca teatrale degli ultimi venti anni. Sfogliando semplicemente le riviste specializzate a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta si riconoscono pur sempre le linee di tendenza: "ritrovare il nucleo originario della teatralità contro le perversioni del moderno", oppure "riscoprire i fondamenti biologici del teatro per un accordo inedito tra scienziati e teatranti", o magari perseverare sullo "spazio scenico metropolitano e i linguaggi che lo solcano". Come è facile notare, tutti gli sforzi convergono sull'urgenza di rigenerare lo "spettacolo", dimensione ormai avvilita sotto la pressione dei mass media, in "oggetto autenticamente culturale" (che sarebbe l'opzione n. 1 della precedente alternativa). La ricerca teatrale ha infatti tentato in ogni modo di coniugare uno spazio antropologico entro il quale risolvere l'idea di rappresentazione, sciogliendola dai lacci naturalistici dei palcoscenici tradizionali e ufficiali. Si ricordi, inoltre, che nel contesto dell'avanguardia americana, più che al regista si guarda all'environmentalist, all"`ambientatore", colui che coordina ma soprattutto colloca il fatto scenico. Ecco Gregory e Malle: Cechov collocato sulla 42a strada. Gli interventi di Vanja entrano effettivamente dalla strada, dai marciapiedi della 42', mentre il New Amsterdam Theatre è comunque una struttura "aperta", di snodo e di transito, dove gli spazi non sono rigidamente suddivisi (e sarebbe certo di indubbio interesse studiare le analogie e le fratture con Rasoi, il film che Mario Martone ha tratto da una sua fortunata messinscena). Anche il testo di Cechov è qualcosa che scivola e fluisce nei tempi vivi dell'azione, sciogliendosi dalle rigide scansioni drammaturgiche e tenendosi largo dai ritmi cadenzati della recitazione. Gli attori agiscono come in relax, entrano ed escono dal campo visivo simili ai passanti che sostano a commentare una vetrina, pur nella sottesa frenesia delle cose da sbrigare. È proprio Vanja, dunque, che si "colloca" sulla 42' strada e nel suo spazio fluisce, così come il New Amsterdam ha potuto fluire, nel tempo, dalle Ziegfield Follies, al teatro pomo fino al set cinematografico. E, a pensarci bene, fluire è anche lo statuto dei personaggi di Cechov, come dice Sonja nel monologo finale: "Che fare? Bisogna vivere. Noi vivremo, zio Vanja. Vivremo una lunga, una lunga sequela di giorni, di interminabili sere. E quando verrà la nostra ora, moriremo con rassegnazione e là, oltre la tomba, diremo che abbiamo patito, pianto, sofferto amarezza. E Dio avrà pietà di noi, e noi due, zio caro, vedremo una vita limpida, bella, armoniosa...". Il teatro, allora, si conferma comunque custode di uno spazio antropologico, in cui va a collocarsi l'homo fluens.
Cechov sulla 42' è persino la risposta, dolce come non mai, al grido celebre e sofferto di Trina, una delle tre sorelle cechoviane, "A Mosca! A Mosca! A Mosca!": la grande città ormai raggiunta, ma solo per scoprire che non è più questione di centro o periferia, e che lo spettatore ideale è proprio la signora Chao, nipote di chi traduce Cechov in bengalese. Foreste del Bengala o New York giungla d'asfalto, ciò che conta è il fluire di voci, sguardi e sentimenti attraverso uno spazio che è naturale e culturale al tempo stesso: è così naturale che Cechov fluisca lungo la 42' poiché proprio così cultura vuole. E non a caso si tratta comunque di una prova, e non dello spettacolo. Lo spazio antropologico dell'homo fluens abolisce infatti l'opposizione stantia tra cultura e spettacolo, e rifiuta pertanto l'alternativa di cui all'inizio. Cechov sulla 42' non fa altro che dare prova di sé nello spazio di una cultura che è americana quanto bengalese o quella europea di Malle. Il "luogo", così, non caratterizza la performance nel senso di imporle la propria cogente tradizione, ma al contrario la fa fluire, come una brezza, là dove le voci e i sentimenti la soffiano, cercando in tale flusso, assolutamente non televisivo, le proprie radici a disposizione di tutti. Il cinema di Malle vigila che il teatro di Gregory non si riduca all'ennesimo mito, all'ultima moda. E veglia tenendo desto l'effetto piuma alla Forrest Gump, quella leggerezza capace di Storia senza tuttavia farsene travolgere. Come il Maggio di Milou, e senza "danno" alcuno, per questa volta.
Flavio De Bernardinis, Segno Cinema, n. 71, 1995

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
Valid HTML 4.01! Valid CSS! Level A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0 data ultima modifica: 10/29/2014
Il simbolo Sito esterno al web comunale indica che il link è esterno al web comunale