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Mela (La) - Sib - La Pomme


Regia:Makhmalbaf Samirah

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Mohsen Makhmalbaf; fotografia: Ebrabim Ghafori, Mohamad Ahmadi; montaggio: Mohsen Makhmalbaf; musica: musiche tradizionali iraniane; suono: Behroz Shahamat; interpreti: Massoumeh Naderi (Massoumeh), Zahra Naderi (Zahra), Ghorbanali Naderi (il padre), Azizeh Mohamadi (Azizeh), Zahra Saghrisaz (Zahra); produzione: MK2 Productions/ Makhmalbaf Productions; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia/ Iran, 1998; durata: 86'.

Trama:Il film si basa su un fatto realmente accaduto: nel quartiere a sud di Teheran il padre e la madre di due bambine vengono denunciati dai vicini perché non permettono alle loro figlie di uscire per strada, costringendole in uno stato di totale analfabetismo, denutrizione ed isolamento. Incaricato di svolgere delle indagini, un’assistente sociale scopre che le due gemelle di appena dodici anni vivono segregate praticamente dal giorno in cui sono nate. Il padre, il cui caso finisce su tutti i giornali, si sente profondamente offeso e disonorato da tanto clamore, accetta le visite di controllo dell’assistente sociale e spiega che il suo comportamento è dettato dalla sua condizione di estrema povertà, dalla cecità della moglie e dalla paura che in sua assenza, lasciandole libere, le sue due bambine possano farsi male.

Critica (1):Samira Makhmalbaf ha diciassette anni, ha diretto un film dal titolo La mela che ha partecipato finora in concorso o fuori concorso a Cannes, Locarno (dove era anche in giuria) e Torino. Contemporaneamente è uscito Il silenzio di suo padre, realizzato con la stessa troupe e con la stessa formula di coproduzione franco-iraniana de La mela, il che vuol dire in tutti e due i casi produzione indipendente iraniana (Makhmalbaf Productions) con mansioni principalmente esecutive, ovvero la forza-lavoro, sostenuta da capitali europei, francesi per l’esattezza (la MK2 Productions con sede a Parigi, crocevia della cultura e dell’arte europea). A prima vista La mela assomiglia ad un film iraniano molto più de Il silenzio. Più realistico il primo, più surreale e fiabesco il secondo, anche per diretta ammissione dell’autore che, attraverso il suo clan o comunque il contributo diretto (ha montato sia l’uno che l’altro, oltre ad aver scritto la sceneggiatura de La mela), può rivendicare diritti d’autore o una certa paternità su entrambe le pellicole. Sempre a prima vista, La mela assomiglia al tradizionale film di Makhmalbaf, mentre Il silenzio rappresenta piuttosto un esperimento, qualcosa di nuovo rispetto al passato e che potrebbe incidere sull’intero modello produttivo iraniano. Ironia della sorte, La mela è un film di gran lunga migliore de Il silenzio. E non certo perché Samira Makhmalbaf, a sua volta assistente di suo padre ne Il silenzio, abbia realizzato qualcosa di più facilmente catalogabile alla voce “cinema iraniano”. La mela non è infatti un film di impianto naturalista, non è per niente un documentario appena dissimulato dalla costruzione narrativa: oltre che un atto di denuncia sociale (arretratezza, analfabetismo, povertà estrema, condizione femminile, i temi principali che si intrecciano in questa indagine che muove da un episodio realmente accaduto nel quartiere a sud di Teheran), è una riflessione sull’impossibilità di leggere il reale attraverso il suo doppio, attraverso la rappresentazione cinematografica, attraverso quella che, passando per il filtro indispensabile del mezzo tecnico, si traduce in finzione. Le prime sequenze del film, quelle girate in video in modo ostentatamente amatoriale, corrispondono, per convenzione, alla realtà registrata senza alcun criterio formale ed estetico. Queste immagini inaugurali si riferiscono infatti ad un fatto accaduto davvero: le due bambine gemelle, sottratte ai genitori e messe nel centro di assistenza perché recluse in casa e tenute in uno stato di analfabetismo sin dalla nascita, vengono restituite ai genitori che le riportano a casa. Qui si esaurisce il fatto, la realtà che funge da soggetto al film. A partire da questo momento le riprese in pellicola 35mm proseguono il racconto attraverso la ricostruzione artistica della cronaca iniziale, impegnando i protagonisti autentici (il padre, la madre, le sorelline, i vicini, l’assistente sociale) in una sorta di interpretazione del proprio vissuto che acquista, nel suo svolgersi innaturale e posticipato, una funzione terapeutica, oltre che testimoniale o documentaria. Il padre, recitando se stesso, pur non cambiando mentalità, rivede le sue posizioni attraverso quel film che lo costringe a tornare sui suoi passi; l’assistente sociale, pur condannandole, comprende con il film le ragioni del padre; le bambine anche vivono cinematograficamente l’esperienza del mondo esterno, probabilmente senza traumi o soluzioni di continuità. Il confine tra realtà e finzione esiste, deve esistere, purché risulti invisibile allo spettatore (per il quale la fruizione cinematografica resta sempre e comunque un’esperienza di vita a livello inconscio, pur nella relativa consapevolezza razionale di partecipare ad uno spettacolo fittizio) e ai veri protagonisti (la cui spontaneità deriva dall’assoluta indifferenza verso l’artificio della messa in scena, come in generale accade con gli attori non professionisti). La mela di Samira Makhmalbaf, come Salaam Cinema e Pane e fiore di Mohsen Makhmalbaf, Close-up (in cui Mohsen Makhmalbaf nei panni di se stesso alla fine incontrava il suo emulo) e Sotto gli ulivi di Kiarostami, o il recentissimo Lo specchio di Panahi, crea un’impressione di realtà che non esclude l’effetto straniante implicito nel processo cinematografico. Solo che questa contraffazione i cineasti iraniani, come Makhmalbaf padre o Makhmalbaf figlia e allieva, si sforzano di potenziarla stilizzandola con particolare rigore visivo. Assolto a quest’obbligo preliminare, un film come La mela, assai più efficace, onesto e genuino in tal senso de Il silenzio, può pretendere e permettersi di riflettere la realtà e, nel farlo, di modificarla, contaminarla, comprometterla, non renderla più uguale a se stessa, sfruttando il vantaggio eventuale di condizionarla attivamente. Viceversa, Il silenzio non corre il rischio di essere equivocato nella sua programmatica, esibita artisticità.
Anton Giulio Mancino, Cineforum n. 380, dicembre 1998.

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Samirah Makhmalbaf
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