Grande passo (Il)
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Regia: | Padovan Antonio |
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Cast e credits: |
Soggetto: Antonio Padovan, Marco Pettenello; sceneggiatura: Antonio Padovan, Marco Pettenello; fotografia: Duccio Cimatti; musiche: Pino Donaggio; montaggio: Paolo Cottignola; scenografia: Gaspare de Pascali, Mattia Lorusso; costumi: Andrea Cavalletto; effetti: Lightcut Vx; suono: Francesco Liotard; interpreti: Giuseppe Battiston (Mario), Stefano Fresi (Dario), Camilla Filippi (Carlotta), Flavio Bucci, Roberto Citran (Avvocato Piovesan), Teco Celio, Vitaliano Trevisan (tipo strano), Ludovica Modugno, Teresa De Santis; produzione: Ipotesi Cinema, Stemal Entertainment, Rai Cinema
distribuzione: Tucker Film, Parthenos; origine: Italia, 2019; durata: 96’. |
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Trama: | Da quando a sei anni, in una notte d'estate del 1969, Dario Cavalieri ha visto in diretta le immagini del primo sbarco dell'uomo sulla Luna, non ha mai smesso di volerci andare. 'Luna Storta', così lo chiamano in paese, ha dedicato tutta la sua vita a quel sogno impossibile, perché i sogni, come gli disse quella notte suo padre prima di scomparire senza dar più notizie di sé, sono la differenza tra gli esseri umani e gli animali. Mario Cavalieri gestisce con la madre una sonnolenta ferramenta di quartiere a Roma, fino al giorno in cui la sua svogliatissima esistenza viene sconvolta dallo squillo del telefono. Suo fratello Dario ha causato un incendio ed è finito in prigione. La madre di Dario è morta da anni, il padre ha detto di non poter venire, così Mario si ritrova ad essere l'unico parente che può occuparsi di quel fratello che ha visto una sola volta in vita sua. Mario esita, riflette, dubita, poi decide di partire verso il nord. I due fratelli, tanto simili fisicamente quanto differenti caratterialmente, si ritroveranno soli di fronte a un'impresa impossibile. |
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Critica (1): | Cinquant’anni fa, in una calda notte di luglio, gli esseri umani si sono stretti tutti assieme, forse per l’ultima volta, trattenendo il fiato di fronte alle immagini di uno di loro che metteva piede sulla luna.
“Quello del 1969 era un mondo in cui eravamo ammalati di speranza, di sogni e di “nuove frontiere”. Un mondo e un tempo che non riusciamo più nemmeno a immaginare, noi che viviamo ammalati di paure, di recessione, che abbiamo smesso da anni di coltivare l’idea di progresso. La conquista della luna è stata un’impresa straordinaria, di cui abbiamo perso coscienza, che conteneva l’illusione di cambiare la vita dell’umanità: era il nuovo viaggio di Colombo. E i cittadini del mondo, tornati bambini, avevano cominciato a sognare”. Così scrive Mario Calabresi.
Raccontando questa storia ho voluto rendere omaggio a due mondi del cinema che amo e che vivono dentro di me, irrimediabilmente impastati l’uno con l‘altro. Da un lato quello americano, un po’ infantile e sentimentalista, con cui sono cresciuto da bambino: il cinema di sognatori come Steven Spielberg, dell’ingenuità vista come valore, dell’inno alla meraviglia, delle inquadrature a stringere su primi piani di bambini che fissano qualcosa di fantastico, e noi con loro. Come ammirare la luna.
Dall’altro il cinema della mia terra, quello silenzioso e sincero, creato da artigiani come Carlo Mazzacurati, fatto di spazi dilatati e di sentimenti delicati e autentici, traboccante di affetto per la normalità. La campagna con la nebbia, e i suoi abitanti.
Questi due mondi s’incontrano e si scontrano in questa storia che parla del sogno di andare sulla luna, e di due fratelli che imparano a conoscersi.
(nota di regia) |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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