Giorno della civetta (Il)
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Regia: | Damiani Damiano |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia; sceneggiatura: Ugo Pirro, Damiano Damiani; fotografia(b/n) : Tonino Delli Colli; musica: Giovanni Fusco; interpreti: Claudia Cardinale (Rosa Nicolosi), Franco Nero (capitano Bellodi), Lee J. Cobb (don Mariano Arena), Gaetano Cimarosa (Zecchinetta), Serge Reggiani (Parrineddu), Nehemiah Persoff (Pizzucco), Ennio Balbo, Ugo D’Alessio, Fred Coplan, Giovanni Pallavicino; produzione: Donati e Carpentieri per Panda Cinematografica (Roma) / Les Films Corona (Paris); origine: Italia, 1968; durata :112'. |
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Trama: | Un modesto imprenditore edile, Colasberna, viene ucciso nei pressi di un casolare isolato, in cui vivono Rosa Nicolosi, il marito e la loro figlioletta. Parrinieddu, confidente dei carabinieri, fa intuire al capitano Bellodi, che conduce le indagini, che Rosa sa più di quanto dica. Con un abile trucco, egli riesce a strappare alla donna il nome di Zecchinetta, che è certo quello dell'assassino. Mentre promette a Rosa di far ricerche per ritrovarle il marito, misteriosamente scomparso, Bellodi arresta Zecchinetta, gettando lo scompiglio tra i "maggiorenti" della mafia, i quali, capeggiati da Don Mariano Arena, imbastiscono una manovra per far credere che Colasberna sia stato ucciso, per motivi d'onore, dallo stesso marito di Rosa. Intanto, la pressione mafiosa, soprattutto su Rosa, cresce; Bellodi capisce che è necessario ritrovare il marito di Rosa, per far cadere l'ipotesi del delitto passionale. |
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Critica (1): | Come già per A ciascuno il suo di Elio Petri, anche per Il giorno della civetta di Damiano Damiani lo spunto narrativo è di Leonardo Sciascia. E con la descrizione secca e risentita di un episodio di violenza mafiosa in Sicilia e con il disegno emblematico di due figure antagoniste, il vecchio boss “pezzo da novanta” dell’”onorata società” e il capitano dei carabinieri venuto dal Norditalia che si combattono e si insidiano senza quartiere pur concedendosi reciproci scambi di ammirazione, nella opposta militanza dentro lo Stato, a sfruttamento parassitario o a servizio fedele e leale, torna il quadro di un ambiente arcaicamente fermo a consuetudini di sottile prepotenza borghese e di privatismo privilegiato e mafioso, dove ogni gesto, una morte casuale o una fuga defilata o il lavoro in cantiere o una visita cortese, tutto è strumentalizzato ad una forma paternalistica di potere.
Il perno drammatico appare diverso, ma non lo è tanto. E non è coincidenza casuale che nel cast, cosceneggiatore con Petri per A ciascuno il suo e con Damiani per Il giorno della civetta, si ritrovi una stessa persona, Ugo Pirro. Nel primo film, il protagonista era un privato che voleva vederci chiaro, andare sino in fondo per un astratto amore della verità. Qui invece, come in un certo senso anche nel film di Pietro Germi In nome della legge (1949), è il rappresentante dello Stato che intende ristabilire un equilibrio dinamico di forze, fuori dallo statico bilancino accettato dagli ingenui e dai vili; è un capitano dei carabinieri che capisce come dietro a un paio di omicidi, quello di un appaltatore ucciso con due colpi di lupara (ad apertura di romanzo e di film) e di un certo Nicolosi, niente condanne, niente carichi pendenti, forse casualmente imbattutosi nell’assassino in fuga, non ci sia affatto il delitto passionale e non si tratti di onori da rivendicare o di corna da lavare nel sangue, motivi ricorrenti, come annota Sciascia “che per la mafia e per la polizia sono, in eguale misura, una grande risorsa”. Secondo il capitano Bellodi, “continentale” di Parma, è invece solo questione di mafia, di appalti, di resistenze piccole contro i galantuomini, i vossignoria dalle molte amicizie interessate, in Sicilia e nella capitale. Bellodi, ex-partigiano, uomo che crede ancora nei valori della legge e della democrazia, cerca di rompere il cerchio delle omertà, adottando magari, sia pure con malinconico disgusto, forme non troppo ortodosse, a livello degli avversari, ma riesce infine ad infiltrare il suo bisturi nelle cosche mafiose locali, giunge ad arrestare picciotti e mandante, un vecchio capo mafioso stimato e benvoluto in paese, coperto da una rete vischiosa di amicizie. L’arresto mette a rumore, l’eco giunge a Palermo, a Roma: anche al capitano, come al professorino di A ciascuno il suo, mal gliene incoglie. Pronube le alte influenze politiche, il bruscolo è ancora una volta eliminato, le posizioni gerarchizzate si rimettono in sesto, rifà capolino la “grande risorsa” del delitto passionale. In paese arriva un altro capitano: anche tra i carabinieri (come tra i più) c’è chi tiene famiglia e non ha la stoffa dell’eroe votato alla morte.
Rispetto al film di Petri, la reazione morale dovrebbe essere più urlata, perché le collusioni sono più esplicite, anche se alluse solo a distanza, e le accuse toccano il segno. E tuttavia c’è nel film di Damiani minore fervore polemico, minore capacità di calare la storia entro una luce ambiguamente metallica e sinistra, stridente e maligna sotto apparenze di mediterranea solarità e pacatezza. La vicenda, i fatti, le controdeduzioni appaiono, nel film di Damiani, più recitati, con un indugio bulinato sugli intrighi e i suoi viluppi, con un cesello virtuoso sui ritratti, sia del protagonista (Lee J. Cobb è una splendida azzeccata figura di mafioso borghese protervo sotto una intensa vibratilità di riflessi), che delle comparse, dove nessuno sgarra dalla parte, sotto l’urgenza di una regia che sembra a volte incattivirsi sui volti con deformazioni grottesche. Meno suasivi invece gli altri protagonisti, da Claudia Cardinale, sempre bella ma alquanto artificiata nel ruolo di Rosa Nicolosi in una situazione di donna siciliana non ancora emancipata, a Franco Nero, un personaggio alquanto retorico nella parte di eroe-sceriffo, in una Sicilia da Far-West, con troppi picciotti-killer a servizio del potente.
Alberto Pesce, Cineproposte, La Scuola, 1978 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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