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Tetto (Il)


Regia:De Sica Vittorio

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini; fotografia: Carlo Montuori; scenografia: Gastone Medin; arredamento: Fernando Lo Ruffo; costumi: Fabrizio Caraf; musica: Alessandro Cicognini, diretta da Franco Ferrara; montaggio: Eraldo da Roma; aiuto regia: Luisa Alessandro, Franco Montemurro; interpreti: Gabriella Pallotta (Luisa), Giorgio Listuzzi (Natale Pilon), Gastone Renzelli (Cesare), Maria di Fiori (Giovanna, moglie di Cesare), Maria di Rollo (Gina Pigozzi (il borgataro prepotente), Aldo Boi (Luigi), Angelo Bigioni (il maggiore Baj), Luisa Alessandro (la signora Baj), Ferdinando Guerra (Francesco), Carolina Ferri (la moglie di Francesco), Giuseppe Martini (padre di Luisa), Emilia Martini (madre di Luisa), Angelo Visentin (Antonio Pilon, padre di Natale), Maria Sittoro (la madre di Natale); direttore di produzione: Nino Misiano; produzione: De Sica/Girosi per la V. De Sica Produzioni; distribuzione: Titanus; origine: Italia, 1956; durata: 101'.

Trama:La Roma degli anni '50 è immensa, è strade e biciclette e ferrovie scoperte e chi si sposa ha bisogno di una casa, come adesso. Il tetto è il fondamento primario della vita. I due sposi non hanno ancora una casa ma in alcuni quartieri, come il prenestino, si può fare il miracolo: costruire una casa in una notte. Che se il tetto si riesce a coprirlo entro le 8 del mattino le guardie non possono farti niente, proprio niente.

Critica (1):Tra tutti i film di De Sica e Zavattini Il tetto è quello che ha una storia più lineare e più semplice [...]. A proposito de Il tetto converrà forse ripetere quello che è stato già detto circa il neorealismo, anche perché in questo film i limiti della formula sono più scoperti. Il neorealismo, nel dopoguerra, si affermò come la corrente più viva del cinema italiano soprattutto perché aveva la grande qualità di rappresentare particolari aspetti di una realtà tuttora in corso e problematica. Il neorealismo era sempre attuale; si usciva dal cinema e si ritrovavano per la strada personaggi e situazioni che il film poco prima aveva presentato sullo schermo. Documentario e lirico, il neorealismo però aveva limiti angusti, per forza di cose; risoluto a non illustrare che elementari situazioni di necessità come la fame, la disoccupazione, la miseria, l'insicurezza materiale e così via, rifiutava la psicologia, le idee, i personaggi, l'intreccio e, insomma, la cultura. Altra limitazione del neorealismo era la sua inclinazione al sentimentalismo e, nei momenti più deboli, al qualunquismo. Erano questi, in sostanza, i caratteri in un'arte dialettale. E infatti il neorealismo costituì una ripresa del mondo dialettale italiano in un momento in cui, in seguito ai disastri della guerra, il mondo della cultura nazionale era caduto in una crisi profonda. Fu una riaffermazione della vitalità istintiva del popolo italiano; o meglio la rappresentazione artistica più convincete di questa vitalità. Oggi la crisi della cultura italiana non si è sanata, tutt' altro; ma anche il neorealismo sembra essere in crisi. Non che i problemi del dopoguera siano stati risolti; ma non sono più i soli né i più urgenti, altri premono, di un genere che il neorealismo per sua natura non può né affrontare né rappresentare. Naturalmente la formula è ancora buona e lo dimostrano film come Il tetto; ma le cose di questo mondo non stanno mai ferme e quello che appunto è mancato al neorealismo è un'evoluzione; esso ripete se stesso o, peggio, cade nella maniera nei vari film seguiti al fortunato Due soldi di speranza. Il tetto è un film lineare, come abbiano accennato; idealmente esso si riallaccia a Ladri di biciclette di cui ripete la struttura semplicissima. Nel suo genere Il tetto è un'opera riuscita, ossia senza incertezza né sbavature; anzi, tra i film di De Sica e Zavattini, è uno dei più omogenei e coerenti. Semmai, l'appunto che si potrebbe muovere a questo film, soprattutto se paragonato a quelli che l'hanno preceduto, è di essere un po' troppo omogeneo e coerente. Di mancare cioè di quell'estro, di quelle invenzioni, di quel mordente che negli altri film riscattavano con la loro varietà e plasticità la fondamentale esilità della formula neorealistica. In Ladri di biciclette, per esempio, la linea del racconto si arricchiva e complicava continuamente di episodi ben definiti ed evidenti: la ricerca della bicicletta finiva per essere un pretesto e la rappresentazione di tutto il mondo passava in primo piano. Ne Il tetto avviene il contrario: la ricerca della casa è sempre mantenuta in primo piano e il mondo in cui avviene questa ricerca, situazioni, personaggi, luoghi, è appena accennato. Ne segue un'impressione di gracilità e di grigiore che alla fine lascia vagamente insoddisfatti; come per una dimostrazione un po' schematica che soddisfi la mente piuttosto che l'immaginazione. Fatte queste riserve, occorre aggiungere che De Sica ha intessuto la trama de Il tetto con grande finezza. Non ha delineato che i due personaggi principali, è vero, ma ha saputo disegnare questi due caratteri con intuito assai felice, facendone veramente una coppia con tutti i suoi contrasti e i suoi accordi e non due figure separate e isolate. La sua personalissima visione di certi aspetti della Roma moderna e proletaria si conferma inoltre ne Il tetto con una naturalezza e una sobrietà che molti hanno cercato di imitare ma nessuno finora ha eguagliato. Dopo un avvio un po' lento e frammentario, in cui però, vanno notate, le sequenze molto belle del viaggio al paese della sposina, il film prende consistenza drammatica con la costruzione della baracca mantenuta fino alla fine in un clima di incertezza patetica che certamente avvince e commuove lo spettatore. Dei due interpreti, ci piace soprattutto Gabriella Pallotti nella sua parte della sposina, un carattere forte e ostinata pur nella sua rustica semplicità. Giorgio Listruzzi in quella dello sposo è un po' immobile e freddo; il suo personaggio è più povero.
Alberto Moravia, L'Espresso, 1956

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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