Passato (Il) - Passé (Le)
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Regia: | Farhadi Asghar |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Asghar Farhadi; fotografia: Mahmoud Kalari; musiche: Evgueni Galperine, Youli Galperine; montaggio: Juliette Welfling; scenografia: Claude Lenoir; costumi: Jean-Daniel Vuillermoz; interpreti: Bérénice Bejo (Marie), Tahar Rahim (Samir), Ali Mosaffa (Ahmad), Pauline Burlet (Lucie), Elyes Aguis (Fouad), Jeanne Jestin (Léa), Sabrina Ouazani (Naïma), Babak Karimi (Shahryar), Valeria Cavalli (Valeria); produzione: Memento Films Production-France 3 Cinéma-Bim Distribuzione; distribuzione: Bim; origine: Francia-Italia, 2013; durata: 130’. |
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Trama: | Parigi. L'iraniano Ahmad e la francese Marie sono separati da quattro anni e lui nel frattempo è tornato a Teheran. Per espletare le formalità del loro divorzio, l'uomo torna nella capitale francese; ben presto, però, si rende conto che i rapporti tra Marie e la figlia Lucie sono piuttosto conflittuali. Ahmad cercherà di migliorare la situazione, ma nel frattempo un segreto verrà svelato... |
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Critica (1): | Farhadi costruisce la sua trama come la tessitura di un tappeto, un dettaglio ne produce un altro e via ancora, per necessità consequenziale. Ma il suo cinema è un cinema di scrittura, e di parola, come ha mostrato Una separazione solo che stavolta il regista sembra preoccuparsi più a tenere insieme lo svolgimento della storia che della messinscena sacrificando i lampi di cinema presenti nel precedente. Quali sono i segreti – ammesso che vi siano – che spaventano tutti i personaggi? Più che un singolo evento è l'assunzione di verità nei confronti di loro stessi a terrorizzarli, ciascuno si dice la propria storia, le cose come vuole sentirle per non ferirsi, per non soccombere al senso di colpa che sormonta tutto e tutti. Forse è una questione di poco amore per i personaggi che il regista mostra, e di quella misoginia implacabile che fanno della sua protagonista una donna insopportabile, stupida e ottusamente attaccata alla sua necessità di moglie/madre a tutti i costi. I fili che tessono come un tappeto la storia – o le storie – aggiungono a ogni passaggio un dettaglio in più, qualcosa che ci possa rivelare il dramma e il malessere che attraversa i suoi personaggi, per denudarli infine nei loro rimpiattini emozionali, così simili e vicini a quelli di qualsiasi altro essere umano. C'è forse un qualcosa dell'entomologo, ma poco importa, se ci fosse compassione. E invece Farhadi sembra tenere le distanze, se non spingerli il più possibile lontano lasciandoli – e assecondandoli – fino all'ultimo (...) nelle loro devastanti ipocrisie.
Cristina Piccino, Il Manifesto, 18/5/2013 |
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Critica (2): | Come già era avvenuto per Una separazione e prima per About Elly, il film prende lo spettatore per mano e lo accompagna attraverso una storia dove i personaggi e i loro rapporti evolvono e si chiariscono ogni scena un po' di più. Perché Ahmad se ne è andato? Chi è Samir (Tahar Rahim), il nuovo compagno di Marie? Come mai le due figlie di Marie e quello di Samir hanno rapporti così tesi e problematici con gli adulti? Che cosa nascondono tutti? Man mano che il film procede (dura 130 minuti, ma se ne vanno in un soffio), le domande sono l'occasione per nuove risposte, che innescano a loro volta altre domande, come in un'indagine poliziesca dove un indizio prima trascurato rimette in discussione una verità fino ad allora parziale. Solo che qui non si cerca il colpevole di un delitto ma le motivazioni delle scelte umane. La messa in scena, poi, asseconda con encomiabile economia di mezzi il percorso della sceneggiatura (dello stesso Farhadi) e tutte e due trovano negli attori la carne e il sangue necessari a far vivere la complessità dei personaggi e a ricordarci, insieme a Renoir, che «il tragico della vita è che tutti hanno le loro ragioni».
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 18/5/2013 |
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Critica (3): | Il franco-iraniano Il passato (...) è un capolavoro senza aggettivi. Farhadi, autore di A proposito di Elly e del magnifico Una separazione (uno dei film più premiati del XXI secolo), è definitivamente uno dei grandi del cinema contemporaneo. Soprattutto è, per acclamazione, il miglior sceneggiatore su piazza. La precisione, il ritmo e la profondità dei suoi copioni lasciano stupefatti. E quando a recitarli ci sono attori splendidi come in questo film, si rimane incollati allo schermo per 130 minuti (non pochi) e si esce dalla sala sazi come dopo un banchetto. (...) Farhadi compone un thriller dei sentimenti in cui ogni sequenza, ogni dialogo contengono una sorpresa. I suoi film (vale anche per i suddetti Elly e Separazione) sembrano drammi di Bergman diretti da Hitchcock. È quasi un miracolo che esista un regista così: viene dal teatro, e si sente. ha confessato un amore totalizzante per Ibsen, ed effettivamente i suoi testi hanno una profondità «scandinava» e, al tempo stesso, una vitalità «mediterranea».
Alberto Crespi, L'Unità, 18/5/2013 |
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Critica (4): | |
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