Western - Western
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Regia: | Poirier Manuel |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Manuel Poirier, Jean-François Goyet; fotografia: Nara Keo Kosal; sonoro: Jean-Paul Bernard; montaggio: Yann Dedet; musica: Bernardo Sandoval; interpreti: Sergi Lopez (Paco), Sacha Bourdo (Nino), Élisabeth Vitali (Marinette), Marie Matheron (donna dei bambini), Basile Sieouka (Baptiste), Mélanie Leray (Guenaëlle), Catherine Riaux (amica di Guenaëlle), produzione: Salomé SA; origine: Francia, 1997; durata: 125’. |
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Trama: | Paco (Sergi Lopez) è un rappresentante di calzature; spagnolo, anzi catalano, come tiene fieramente a sottolineare, piace moltissimo alle donne. Nino (Sacha Bourdo, al suo debutto cinematografico) è un cittadino russo; piccolo di statura, bruttino, fa l'autostoppista sognando di incontrare la donna che possa amarlo. Il destino li fa conoscere alle porte di Guilvinec: Paco si ferma per dare un passaggio ad una ragazza ma finisce per caricare Nino che, dopo poco, fattolo scendere dalla macchina con un piccolo espediente, fugge via con l'automobile e tutta la merce. Quando i due si incontrano per la seconda volta, e Nino dopo un breve inseguimento finisce diritto all'ospedale, la vita di Paco non è più la stessa: ha perso la macchina, ha perso il lavoro, ma, in compenso, ha conosciuto Marinette e se ne è innamorato; è tanto felice da non serbare alcun rancore verso Nino, da andarlo a trovare regolarmente e da diventare il suo migliore amico |
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Critica (1): | Tutti i film di Manuel Poirier parlano di un mutamento di vita, dell’apprendistato a volte doloroso di una libertà. Uscire da un carcere o da un ospedale, scoprire il fascino della campagna o la forza d’attrazione della grande città – questi sono i punti di partenza dei suoi apologhi allo stesso tempo sorridenti e malinconici. All’inizio, Paco, il protagonista di Western, è rinchiuso in un carcere molto particolare: la sua vettura. Sarà necessario che se ne liberi perché il film abbia inizio. Proprio secondo le regole del road movie. D’altra parte, è un rappresentante di calzature, divertente premonizione del mezzo di locomozione a venire. Nino, l’autostoppista, rubandogli il veicolo e trascinandolo con sé sulle strade, gli schiuderà lo spazio e lo libererà da ogni genere di prigione: professionale e affettiva, sociale e sentimentale... Il mettere alla prova i rapporti umani, fulcro essenziale per Poirer, si esprime qui attraverso una suspense (e un “essere in sospeso”) amorosi. Paco incontra Marinette, e questa, prendendo in parola una frottola del seduttore, decide il calcio d’inizio dell’avventura: per mettere alla prova la validità del loro colpo di fulmine, per tre settimane Paco e Marinette non si vedranno né si parleranno. Un’eroina assente, un ladro che diventa compagno di strada, non occorre di più per mettere in moto il racconto picaresco, sulla scorta di due silhouettes che stravolgono i nostri stereotipi: il grande e il piccolo, il forte e il debole, Stan Laurel e Sancho Panza – e la Bretagna. I personaggi e la strada disseminata di insidie, la fiaba e il paesaggio: il western, per l’appunto. Come definire il lavoro registico di Manuel Poirier in Western? Un succedersi di episodi, apparentemente presi a caso dalla quotidianità, si incastrano l’uno nell’altro per costruire un’odissea che ha qualcosa della fiaba: per l’appunto, Nino inizia col rubare una carrozza e una pantofola per cercare di sedurre una bella ragazza; già in cerca di Cenerentola, egli non dubita affatto che la storia farà del rospo un affascinante principe prima che scorrano i titoli di coda. Il procedimento del piano-sequenza dà l’illusione del reale, ma è per fare intervenire meglio l’ironia dello spostamento, buffo o disperato, attribuendo all’andarsene a zonzo delle asprezze inattese, graffiando l’apparente abbandonarsi al caso. Sono numerosi gli esempi di questo utilizzo del cambiamento repentino di tono come interruzione di percorso: l’“amichetta” che, nel bel mezzo del pranzo, chiede a Paco di prestarle la sua camicia; la bella ragazza scelta per prova che si rifiuta subito allo sfortunato Nico perché lo trova... troppo ammodo per lei; la carriola che trasporta Paco ferito nello studio di un medico principiante; la sosta davanti al manifesto di Minitel rosa dove Nino crede di riconoscere la sua antica fidanzata... Altre volte è attraverso il passaggio da una sequenza all’altra che il mutamento di tono si fa comico, come quando si passa senza continuità dal pestaggio di Nico da parte di Paco (essi non si conoscono ancora, e quest’ultimo ha riconosciuto chi l’ha derubato) nella sala d’attesa dove un medico rassicura Paco sulle condizioni del suo “amico”. Questa cultura dell’improvviso cambiamento d’umore organizza il ritmo del film, consentendo a una trama più rigorosa di quanto non appaia di svilupparsi con discrezione: svelamento progressivo delle personalità, spirito di competizione tra il seduttore e il perdente. Il viaggio di iniziazione, dallo sradicamento all’integrazione, costituisce il corpo del racconto. Ciò che lo anima è ciò che vi è di più prezioso nel cinema di Manuel Poirier: il senso di connivenza immediata, quest’arte della simbiosi che può instaurarsi in pochi secondi tra un personaggio, fosse anche secondario, e lo spettatore. Il cineasta pratica un esercizio di rischio permanente. Da un lato la fiaba funziona in base ad una meccanica di suspense, a partire da micro-poste di gioco l’accumularsi delle quali definisce un tipo di drammaturgia lineare: ritroverò la mia auto o perderò il mio impiego, la mia amichetta è sempre innamorata, arriverà il mio assegno postale; preferisci gli scampi o le crêpes, la donna ideale si trova forse in questa città, come cambiare i pantaloni dal momento che i miei bagagli sono scomparsi, dove trovare una bombola di gas (sottinteso: per cucinare il piatto sublime che sedurrà la donna della mia vita)? D’altra parte, lo sguardo attento ma dispersivo dell’autore si concede l’ambizione di porre tutti i suoi personaggi su un piano di uguaglianza, senza pregiudizi né gerarchia, col rischio di scivolare nel “politicamente corretto” (si veda, ad esempio, l’empatia immediata e incondizionata che suscitano gli energumeni incontrati ad ogni tappa, come Baptiste, il nero paraplegico che gioca a “Bonjour la France”, o, più superficialmente, il giovane fuggiasco che i due amici tentano di far riconciliare con la sua famiglia). Oppure, come per miracolo, l’equilibrio è mantenuto da una componente indispensabile dell’universo di Manuel Poirier: la componente ludica. Sicuramente ogni scena, ogni inquadratura, ogni immagine che egli filma possiede la propria autonomia e contiene il proprio monito contro la tentazione di prendersi sul serio. Già il mutismo depressivo di La Petite Amie d’Antonio (1992) guariva in una crisi di riso folle, e una specie di consapevolezza innata del ridicolo salvava la coppia Jean-Luc Bideau /Marie-France Pisier nello stupendo Marion (1996). Questo gusto del gioco è anche, certamente, quello del gioco dell’attore, primo ricettacolo della complicità secondo Poirier. Di film in film, un Sergi Lopez, una Marie Matheron (interprete principale di due cortometraggi di Poirier, impersona qui la “Donna dei bambini”) consolidano i legami di un’opera che si espande. Il rispetto delle intonazioni, degli accenti e delle espressioni idiomatiche, l’amore per i gesti familiari iscrivono gli attori in uno spazio sonoro e visuale che partecipa pienamente della messa in scena. Sono le persone che imprimono il loro segno sul paesaggio, e non l’inverso. La cartolina folkloristica non è ammessa: in questo western bretone, la colonna sonora preferisce la chitarra alla cornamusa, perché il suo eroe è catalano. Nel corso di questo viaggio disorganizzato che conduce la nostra esistenza, a ciascuno la sua cadenza di marcia: questa è la lezione, grave benché enunciata con leggerezza, del road movie secondo Manuel Poirier.
traduzione dell’articolo di Yann Tobin Positif n. 439, settembre 1997 |
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