Seduto alla sua destra
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Regia: | Zurlini Valerio |
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Cast e credits: |
Soggetto: Valerio Zurlini; sceneggiatura: Franco Brusati, Valerio Zurlini; fotografia (Technicolor-Techniscope): Aiace Parolin; montaggio: Franco Arcalli; musica: Ivan Vandor; interpreti: Woody Strode (Maurice Lalubi), Franco Citti (Oreste), Jean Servais (il comandante), Pier Paolo Capponi (un ufficiale), Stephen Forsyth, Luciano Lorgas, Salvo Basile, Giuseppe Transocchi, Silvio Fiore, Renzo Rossi, Mirella Panfini; produzione: Carlo Lizzani per Ital Noleggio Cinematografico e per Castoro Film; origine: Italia, 1968; durata: 89'. |
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Trama: | Non parlerei di metafora evangelica sulla violenza. Non gli darei questa importanza. Io vedo il film sotto un altro aspetto: direi che è un piccolo apologo sulla grazia, e nient'altro. Di conseguenza il film si pone su un terreno di racconto simbolico. Ci sono dei perseguitati e dei persecutori. Che non si identificano né con Lumumba né con i mercenari. Improvvisamente un piccolo delinquente - che è poi il ladrone che alla sinistra di Cristo sulla croce dirà "Ricordati di me quando sarai nel tuo regno" incontra un uomo dotato di una grande luce spirituale. Toccato dalla grazia, gli chiede di ricordarsi di lui. Non ho preteso di fareVangelo ‘70, né di fare un rapporto storico e religioso sul nostro tempo. Ho semplicemente raccontato come la grazia possa arrivare in qualsiasi posto, in qualsiasi momento, attraverso qualsiasi sbaglio. |
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Critica (1): | (Valerio Zurlini) Il soldato bianco gettato nella stessa cella del leader africano e dei ladruncolo italiano è Lucifero. In effetti ho voluto un uomo di grande bellezza, un uomo che fosse veramente il male sotto le spoglie del bene. È un simbolo che mi è venuto per caso, non so come. Quest'uomo, davanti al miracolo d'amore che si avvera in quel momento sotto i suoi occhi, non ha altra reazione che un atteggiamento di odio. È un uomo che non sopporta le immagini dell'amore; è veramente il demonio. Certo, un demonio come quello, lo si può incontrare in qualsiasi galera. Non c'è bisogno di scomodare la Bibbia e gli angeli decaduti: è il male, è la violenza, è la solitudine, è l'oscurità, è l'odio dell'affetto visto negli altri, è veramente il male che inasprisce continuamente se stesso.
(Valerio Zurlini) |
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Critica (2): | [...] Con Seduto alla sua destra Zurlini non ha inteso svolgere un discorso specifico in chiave ideologico-politica [...]. Seduto alla sua destra cioè propone in una forma tipica di slanci ideali, i contrasti interni, le mortificazioni e le sofferenze che sono propri di tutti i popoli sottosviluppati e più in generale di tutte le categorie dei diseredati nel mondo di oggi. [...]. La violenza che raggiunge vertici di efferatezza in alcuni punti, e che comunque si proietta almeno indirettamente su ogni brano, imprime a tutto il racconto una tensione di singolare suggestione emotiva. Si potrebbe affermare che la violenza s'impone su ogni altro motivo, tanto da diventare veicolo principale di espressione tematica. In altre parole, Zurlini ha preso a prestito i vari motivi parziali del film, per esternare la propria reazione di uomo sensibile di oggi di fronte al caos materiale e spirituale d'un mondo avviato verso un avvenire inquietante. [...].
Seduto alla sua destra non è opera poeticamente risolta. A impedire la coesione e l'armonia necessarie concorrono vari e non trascurabili elementi, quali la molteplicità di motivi tematici, la fisionomia psicologica non omogenea dei personaggi principali, certe legnosità dello sviluppo narrativo. [...]. Tuttavia nel complesso ci troviamo di fronte non a manierismo di mestiere applicato a freddo, bensì a una scelta linguistica sentita. I tratti stilistici consueti di Zurlini acquistano inflessioni nuove. I muri spogli della cella hanno tinte pastello acceso, i lunghi primi piani dei visi sono esaltati da una plasticità drammatica. Le lunghe pause ritmiche e sonore (rotte da rumori naturali e da pochi interventi dei musicista Ivan Vandor) vengono lacerate da frenetici dettagli (armi, chiodi, mani, visi contratti) e urla selvagge. E anche quando l'azione ristagna, continua sempre (salvo forse nel troppo statico dialogo dei due protagonisti in cella) a protrarsi in un clima di tensione, come una nota continua di sottofondo. D'altronde questo linguaggio non assume mai inflessioni realistiche, perché le sue gradazioni ipertonali stemperano e trasfigurano i connotati materiali. A il linguaggio dell'anima ferita [...]. Siamo di fronte a una "poetica della violenza" (del resto preannunciata in opere precedenti) d'un autore che reagisce alla sofferenza con la sofferenza.
(Sergio Raffaelli) |
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Critica (3): | [...] Il film comunque drammaticamente e linguisticamente ha un preciso valore. [...]. La serietà del suo stile non potrà non raccogliere meritati consensi. Quel coraggio ad esempio con cui l'azione è quasi costantemente tenuta fra le quattro pareti di una stanza o di una cella, quella solennità del ritmo, pur attraverso la concitazione e, anzi, l'urlata violenza del dramma, quelle immagini che, pur rievocandoci a tratti Rembrandt, Mantegna, Caravaggio, e persino Rouault, con i loro verdi grigi, i loro bianchi sporchi le loro sfumature quasi di pastello e di tempera, riescono seampre a rispettare il sapore della realtà, il gusto, il tono, la qualità del documentario dal vero. Anche se, riconosciamolo, si poteva essere più misurati nelle atrocità, si poteva essere più parchi (e più coperti) nei simboli, si poteva conferire ai dialoghi una più rigorosa asciuttezza evitando riferimenti o troppo facili o troppo consueti. [...].
(Gian Luigi Rondi) |
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Critica (4): | |
| Valerio Zurlini |
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