Inquietudine - Inquietude
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Regia: | De Oliveira Manoel |
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Cast e credits: |
Soggetto: Agustina Bessa-Luis, Helder Prista Monterio, Antonio Patricio; sceneggiatura: Manoel de Oliveira; fotografia: Renato Berta; musica: Jean-François Auger, Philippe Morel; montaggio: Valerie Loiseleux; interpreti: Leonor Baldaque (Fisalina), Rita Bianco (Gabi), David Cardoso (amico), Luis Miguel Cintra (figlio), Diogo Doria (Elle), Irene Papas (madre), José Pinto (padre), Leonor Silveira (Suzy); produzione: Paulo Branco; distribuzione: Mikado; origine: Francia - Spagna 1998; durata: 110'. |
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Trama: | Un padre molto in avanti negli anni e il figlio di età matura cominciano a parlare e poi finiscono col confrontare opinioni diametralmente opposte sul successo, la fama, l'immortalità. Al culmine della discussione, il vecchio getta il figlio dalla finestra e poi dice che in questo modo lo ha salvato e gli ha dato l'immortalità. Quindi si butta a sua volta. Cala il sipario e gli attori avanzano sul proscenio per raccogliere gli applausi. Tra il pubblico, ecco due giovani, distinti ed eleganti. In un locale osservano due donne e decidono di seguirle. Suzy colpisce l'attenzione di uno dei due, che subito se ne innamora. Riesce ad avvicinarla, a parlarle ma non a comunicare in modo compiuto il proprio sentimento, che rimane inespresso. Su questo si confida lungamente con l'amico, il quale decide allora di raccontargli una storia avvenuta in un remoto villaggio. L'anziana Frisalina aveva le dita d'oro e, scoperta durante la processione, venne subito chiamata strega. Condannata a vivere in isolamento, ne era uscita solo per consigliare una giovane che non voleva sposarsi. Le acque della saggezza, dice l'amico, devono essere abitate da nuovi maestri. I due lanciano verso l'esterno uno sguardo mesto e pensoso. 'Povera Frisalina', 'Povera Suzy': sono le loro parole. |
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Critica (1): | [...] Irresistibile e infaticabile De Oliveira: a novant’anni suonati compone un’operetta leggera e meditabonda intorno all’immortalità, divisa in tre movimenti (allegro con ironia, adagio, allegro maestoso), con al centro un siparietto in cui si mette in prima persona, folletto in smoking, a ballare in scioltezza e con stile perfetto un vorticoso tango, a dimostrazione della sua meritoria e perdurante inidoneità a morire. Forse per scremare il pubblico, De Oliveira tende ad iniziare i suoi film con passo lento e dialoghi molto fitti. Nell’allegro iniziale, ripreso frontalmente con la consueta e rigorosa pacatezza, sono di scena due professori, il padre un tempo illustre luminare e il figlio per ora meno famoso ma speranzoso di raggiungere quanto a fama il decrepito genitore. Vecchiaccio rincitrullito, il padre si annoda un fazzoletto al braccio per ricordarsi di esistere e gira per le stanze urlando: “Sono morto a metà! Mi hanno ucciso a metà e anche mio figlio mi vede soltanto a metà!”. Poi cerca di spingere il figlio a suicidarsi col cianuro così da ottenere all’istante fama e immoralità senza passare per un’odiosa vecchiaia: “La sclerosi non ti annullerà gli anni di lavoro, non ti verrà la bocca storta, non te la farai addosso”. In effetti, dopo un picnic in campagna (dove compare anche Isabel Ruth, altra presenza consueta in De Oliveira), il padre spinge davvero dentro l’immortalità il figlio recalcitrante precipitandosi fuori da una finestra e seguendolo subito dopo. Fine della prima storia e prima sorpresa: siamo a teatro, cala il sipario, il pubblico applaude e si passa alla seconda storia. In un palco due eleganti giovani uomini ammirano due eleganti giovani donne in platea. Sono due cocottes. Le avvicinano. Suzy si prostituisce con i borghesi di Porto: “Vivo giorni di immensa voluttà. Comincio sentendomi malata, mi sembra che morirò di disgusto. Poi viene uno, poi tanti, e sento, senza sapere perché, un godimento folle, sento di essere nata per questo”. Quando Suzy muore in ospedale, l’uomo che dei due l’ha amata alla follia ascolta dall’amico un vecchio racconto, quello di Fisalina che vuole fuggire dal suo paese sulle montagne dove “le case sono mausolei di vivi”, incontra Irene Papas (già apparsa in Party) nella parte della Madre di un fiume che, in greco classico, “con la pronuncia di oggi perché quella antica si è perduta”, recita alcuni versi della “Teogonia” esiodea, si sente sorpassata e inutile (“I guardiani delle virtù non sono eterni, vanno sostituiti”) e conduce Fisalina giù per una profonda caverna dalla quale la ragazza esce trasformata in strega dalle dita dorate.
L’inquietudine e la saudale che derivano a uomini e donne dall’impossibilità d’essere immortali si intrecciano nel film di De Oliveira ad una esplicita ironia per una tanto sciocca aspirazione e ad una acuta nostalgia per un mondo arcaico dove i mortali avevano a disposizione una cosmologia che traeva dal caos la luce e il cielo e che, sulla terra, assegnava un posto ad ogni uomo. Come succede sempre in De Oliveira, anche in Inquiétude non ci sono una linea narrativa e un percorso di senso rigidi. Ci sono sì storie e pensieri ma soprattutto si incontrano sorprese e giravolte, accostamenti e bizzarrie che costruiscono un posto, un film dove per quasi due ore si vive beatamente fra arabeschi ed arazzi, fra immagini di semplice bellezza (fotografia di Renato Berta) e inchini alle impressioni pittoriche e cinematografiche di Auguste e Jean Renoir, fra oggetti d’arte, musiche (stavolta Rachmaninov), dialoghi da boudoir filosofico, cascami letterari e citazioni arcaiche, grotte dove il mito rivive in favole ancestrali, stanze polverose dove regna l’arteriosclerosi e salotti percorsi da una estenuata malinconia senza rimedio. Sopra tutto questo volteggia De Oliveira, lieve e vago, mordace quando occorre, sempre disposto ad abbandonarsi al piacere dell’invenzione fantasiosa e colta. Danza e raffinatezza sono le sue muse. L’infelice Suzy ripete più volte, anche all’approssimarsi della morte, che “ce n’est qu’un détail”, che il vivere e il morire non sono altro che una successione di dettagli. Il danzatore De Oliveira sottoscrive: il tutto è fuori dalla nostra portata; l’attenzione va posta nella cura dei dettagli. Perché solo così tutto torna a splendere di luce riflessa, a rimandare a qualcos’altro, a una pagina letteraria, a un quadro, un verso, un racconto mitico, un suono, una parola dimenticata in cui potrebbe celarsi ancora una perduta verità, una goccia di saggezza, l’ombra della bellezza. Il cinema di De Oliveira fonda il suo fascino sulla cura di tutti i dettagli perché ogni dettaglio rimanda a qualcos’altro di cui si coglie una risonanza distante. Lo splendore del racconto e delle immagini richiamano luoghi che non sappiamo più dove siano, forse da qualche parte prima dell’inizio della nostra storia. Nel film precedente Viaggio al principio del mondo, De Oliveira risaliva indietro nel tempo, tra le montagne del Nord del suo paese, per accompagnare Mastroianni (che nel film si chiamava Manoel e che era vicino a morire) fino al principio del mondo. Qui torna di nuovo indietro, dagli anni Trenta su fin nientemeno che ad Esiodo. Un viaggio dentro la bellezza di un film di De Oliveira non ci porta all’immortalità ma ad una danzante inquietudine che rende più vivi.
Bruno Fornara, Cineforum n. 375, giugno 1998 |
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Critica (2): | |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Manoel De Oliveira |
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