Zucker! come diventare ebreo in 7 giorni - Alles auf Zucker!
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Regia: | Levy Dani |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Holger Franke, Dani Levy; fotografia: Carl-Friedrich Koschnick; scenografia: Christian M. Goldbeck; montaggio: Elena Bromund; costumi: Lucie Bates; musiche: Niki Reiser; interpreti: Henry Hubchen, Hannelore Elsner, Udo Samel, Golda Tencer, Steffen Groth, Anja Franke, Sebastian Blomberg, Elena Uhlig; produzione: Germania, 2005; durata: 90'. |
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Trama: | Storia di due fratelli ebrei, tra cui non vi sono più rapporti da anni. E i due, Jakob Zuckermann, per tutti Jaeckie Zucker (Henry Hübchen) e Samuel (Udo Samel), non potrebbero essere più diversi. Il primo è un simpatico bugiardo, devoto al biliardo e a qualche bicchiere di troppo, ex-comunista della DDR, nonché "il più grande fallito della riunificazione"; il secondo è un serio e fervente ebreo ortodosso, fedele al cento per cento ai testi e alla tradizione ebraica, che nel 1961 aveva lasciato con la madre la Germania Est per andare nell'Ovest, non perdonando mai al fratello la sua scelta di voler rimanere. Con la riunificazione della Germania e la caduta del Muro di Berlino, dopo il lutto che li ha colpiti, la morte della madre, il loro incontro è inevitabile. Jaeckie, per ricevere parte dell'eredità, dovrà addirittura inventarsi un'identità ebrea ortodossa... in soli sette giorni! ... |
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Critica (1): | (...) Zucker...come diventare ebreo in 7 giorni è un film, anzi una divertentissima e irriverente commedia firmata da Dani Levy, regista ebreo berlinese che molto farà discutere. L'argomento, infatti, tocca uno dei tabù tedeschi (e non solo tedeschi) più radicati: ridere degli ebrei. Nonostante Woody Allen o l'umorismo yiddish è questo un tema assolutamente controverso in Germania, paese che da una parte è percorso da nuovi e più visibili rigurgiti neonazisti (numerose sono state le manifestazioni per le vie di Berlino) e dall'altra è alle prese col "superamento del senso di colpa"(...). Ebbene, Dani Levy con Zucker ha fatto centro, nonostante le difficoltà iniziali e gli scoraggiamenti di molti, compreso quello di sua madre, ebrea di Berlino scappata al nazismo nel '39 che, come racconta lui stesso, quando ha letto la sceneggiatura lo ha invitato a lasciar perdere. Così come i produttori televisivi ai quali aveva presentato il soggetto e che lo hanno rispedito al mittente celando il tabù sugli ebrei con problemi legati all'Auditel ("non fanno ascolto le storie che parlano di minoranze, mi hanno risposto", spiega il regista). Al centro del racconto è una famiglia tedesca di fede ebraica "divisa" da quarant'anni di muro, che oggi si ritrova a Berlino per seppellire la madre in osservanza del rito ebraico. Clausola fondamentale del testamento, per ottenere l'eredità, è che i due fratelli, tra loro più diversi che mai, si ricongiungano. Uno, l'osservante ortodosso (Bin Laden lo chiama l'altro), vive a Francoforte dove ha "sposato", oltre ad una moglie grassona, anche il capitalismo e le speculazioni economiche. L'altro, il protagonista, un vero perdente e inguaribile imbroglione che ancora oggi vive a Berlino est rimpiangendo le glorie della Ddr e la sua fede comunista ("comunista che mangia i bambini e che vive nelle case della Stasi", gli rimprovera il fratello). E che ora è costretto ad improvvisarsi ebreo osservante (in 7 giorni appunto) per mettere le mani sull'eredità. Inutile dire che dall'incontro tra i due, con le rispettive famiglie, usciranno scintille. Scintille di puro umorismo yiddish. Del resto sono due famiglie "disfunzionali" entrambe. Quella osservante, nonostante l'apparenza, ha una figlia ninfomane e un figlio tutto "casa e sinagoga" che ha scelto la fede come ripiego ad un amore fallito: quello con la cugina, sì proprio la figlia dello zio comunista, che dopo essere rimasta incinta l'ha mollato per seguire la sua passione saffica. Insomma, tutti si rivelano davvero poco ortodossi, compreso il padre osservante, pronto persino a lasciarsi andare tra le braccia di una prostituta palestinese (una delle dipendenti del locale del fratello) dopo aver ingerito per errore una pasticca di estasi. Insomma, si ride tanto. Ma con "affetto", come sottolinea Dani Levy. "La commedia - dice - può infrangere ogni tabù ma ad una condizione: non ci deve essere il cinismo che mette in ridicolo. I miei personaggi io li prendo in giro con amore. Così come fanno le nostre barzellette che si prendono gioco soprattutto delle contraddizioni più dolorose della nostra cultura. Io sono cresciuto con questo tipo di umorismo". Riconoscente a Roberto Benigni per La vita è bella ("un film così in Germania nessuno l'avrebbe prodotto, soprattutto se a girarlo non fosse stato un ebreo") col quale per primo ha infranto il tabù sull'Olocausto raccontato in chiave di commedia, Levy sottolinea come "oggi sia necessario cambiare approccio a certi temi. Dopo 60 anni in cui gli ebrei sono stati raccontati soltanto attraverso il cliché delle vittime o della tragedia è giusto affrontare diversamente il discorso". E i primi a riderci su sono stati proprio gli ebrei tedeschi. "Il rabbino capo della comunità tedesca - racconta il regista - ha visto il film un'infinità di volte ed ha invitato a vederlo parenti ed amici". Diversamente, però, è andata in Israele. "Qui - conclude Levy - c'è ancora chi si interroga sulla legittimità o meno di ridere degli ebrei, perché temono che un film del genere possa favorire la nascita di sentimenti anti ebraici. Durante una proiezione uno del pubblico mi ha accusato addirittura di aver fatto propaganda alla Goebbels che metteva in ridicolo gli ebrei. Ma vi assicuro che è stato un caso isolato".
Gabriella Gallozzi, "Nella migliore tradizione yiddish", L'Unità, 24/11/2005 |
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| Dani Levy |
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