Steve McQueen: una vita spericolata - Steve McQueen: The Man & Le Mans
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Regia: | Clarke Gabriel, McKenna John |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Gabriel Clarke; fotografia: Matt Smith; musiche: Jim Copperthwaite; montaggio: Matt Wyllie; interpreti: Chad McQueen, Neile Adams McQueen, Derek Bell, Jonathan Williams, David Piper, Siegfried Rauch, Louise Edlind, Hal Hamilton, Michael Keyser, Alan Trustman, John Klawitter, Peter Samuelson, Haig Altounian, Les Sheldon, Mario Iscovich, Craig Relyea, Bob Rosen; produzione: John Mckenna per The Man & Le Mans Limited; distribuzione: I Wonder Pictures/Unipol Biografilm Collection; origine: Gran Bretagna, 2015; durata: 112’. |
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Trama: | Steve McQueen aveva un sogno: girare il film definitivo sulle corse automobilistiche, il più realistico, il più coinvolgente. Come avrebbe potuto immaginare che la lavorazione de Le 24 ore di Le Mans gli sarebbe costata così tanto, in termini artistici, economici e umani? Tra divergenze con la troupe, problemi con la sceneggiatura, incidenti e tradimenti, i registi Gabriel Clarke e John McKenna costruiscono - sul filo delle testimonianze di Chad McQueen, figlio di Steve, e degli altri protagonisti di quella storica avventura cinematografica - un film nel film sul circuito dove l'icona della vita spericolata sfrecciò confondendo la finzione con la realtà dell'autodromo. E compongono il ritratto di un uomo lanciato a tutta velocità nell'esistenza e nell'arte. |
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Critica (1): | C'è un nuovo nome sull'albo dei grandi film maledetti che hanno travolto i loro creatori, e per una volta non è un regista ma una star. Steve McQueen. Proprio lui, l'eroe dei Magnifici Sette e La grande fuga, idolatrato negli anni 60-70 per quel mix di durezza e malinconia che ne faceva una specie di risposta plebea a Paul Newman, ancor oggi usato in pubblicità come icona di eleganza virile. (...) adorava (...) sfrecciare sulle piste (...). La sua massima impresa al riguardo resta il secondo posto conquistato alla 12 ore di Sebring del 1970 dietro il professionista Mario Andretti. Ma proprio questa passione lo spinse a coprodurre e interpretare, sempre nel '70, il film più sfortunato e personale di tutta la sua carriera: Le 24 ore di Le Mans. Un fragoroso fiasco che il tempo e la maestria delle riprese avrebbero trasformato in cult per gli appassionati di motori. Con mille leggende sulla sua lavorazione, ora rievocate in chiave di epopea, secondo la formula del film-che-uccide, da Steve McQueen: una vita spericolata (...).
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 9/11/2015 |
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Critica (2): | Il lavoro sull’archivio di Steve McQueen. Una vita spericolata è incredibile. Si trovano moltissimi frammenti del set, si sente la voce dello stesso attore ed emerge insieme tutta la dimensione pubblica e privata dell’attore di quel periodo, compresa la sua possibile presenza alla villa di Beverly Hills dove i membri della Charles Manson’s Family trucidarono Sharon Tate ed altri amici nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1969. I due documentaristi Gabriel Clarke e John McKenna riescono a far emergere tutti i dettagli di un film maledetto e anche i lati contrastanti della personalità dell’attore. “Essere un attore è una bomba, essere una star del cinema è una rottura. E quando fai quel passaggio smetti di crescere come persona” confessa McQueen. L’ossessione del realismo è proprio in quei frammenti. Arricchiti anche dalle testimonianze, tra gli altri, del figlio Chad e della prima moglie Neile Adams.
La forza di Steve McQueen. Una vita spericolata è che, proprio nel montaggio, ritorna tutta la fatica e il tormento della creazione. Con cineprese montate in auto per dare il senso della velocità. Forse invece nei ricordi del presente si sente un po’ la distanza temporale. Con situazioni ricreate (la lampada dal tavolo lanciata dal produttore esecutivo Bob Relyea, ex-socio e amico dell’attore che hanno rotto proprio durante la lavorazione di Le 24 ore di Le Mans e non si sono più parlati) non sempre funzionali, anzi leggermente forzate. Ma la quantità di dettagli e informazioni forse era immensa. E se il documentario poteva essere scorciato di una decina di minuti, va comunque assolutamente visto. Perché il ritratto di un attore diventato mito lo centra in pieno. Sembra di vivere dentro i suoi occhi, immortalato in un dettaglio. E il gesto con le due dita è quasi un testamento. McQueen è morto a poco più di 50 anni per un raro tumore ai polmoni dovuto all’amianto. E all’inizio parla anche della sua malattia. Poi diventa leggenda. Come James Dean e Marilyn Monroe. E questo documentario non lo offusca ma gli rende giustizia.
Simone Emiliani, sentieriselvaggi.it, 9/11/2015 |
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Critica (3): | Una vita al massimo. E il sogno di un film definitivo sulle corse automobilistiche che doveva essere il punto più alto della sua carriera di attore e di pilota: Le 24 ore di Le Mans. L’attore affida la regia a John Sturges (con cui aveva già collaborato in I magnifici sette, La grande fuga e Sacro e profano) e ingaggia veri piloti automobilistici come Derek Bell, Jonathan Williams e David Piper. La corsa di McQueen è stata sempre sfrenata. “Voglio una vita spericolata” come cantava Vasco Rossi. Originariamente il titolo era Il giorno del campione. Ma un film sull’automobilismo era già stato girato nel 1966, Grand Prix. Questa cosa a Steve McQueen non è mai andata giù. Il protagonista della pellicola diretta da John Frankenheimer, James Garner, abitava al piano di sotto dell’appartamento di McQueen che per vendicarsi pisciava sulle sue piante.
Le riprese sono state molto travagliate. Iniziate il 15 giugno 1970 con un budget di 6 milioni di dollari, si sono protratte fino a metà novembre. Con tre mesi di ritardo rispetto ai piani di lavorazione e con i costi sforati di circa un milione e mezzo. Inoltre, durante la lavorazione, ci sono stati due gravi incidenti. Derek Bell si è ritrovato con una parte del volto ustionato dopo che la sua auto è andata in fiamme. Ma peggio è andata a David Piper a cui hanno dovuto amputare una parte di gamba sotto il ginocchio. Inoltre, dopo i continui dissidi, Sturges ha abbandonato il set anche perché l’attore era molto invadente. Pur risultando produttore esecutivo, voleva il film esattamente come l’aveva pensato. Gli è subentrato Lee Katzin con cui il protagonista ingaggia inizialmente una vera e propria guerra. |
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Critica (4): | |
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