Royal Weekend (A) - Hyde Park on Hudson
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Regia: | Michell Roger |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Richard Nelson, dall’omonimo dramma radiofonico; fotografia: Lol Crawley; musiche: Jeremy Sams; montaggio: Nicolas Gaster; scenografia: Simon Bowles; arredamento: Celia Bobak; costumi: Dinah Collin; interpreti: Bill Murray (Franklin Delano Roosevelt), Laura Linney (Daisy), Samuel West (Bertie), Olivia Colman (Elizabeth), Elizabeth Marvel (Missy), Elizabeth Wilson (Sig.ra Roosevelt), Eleanor Bron (Zia di Daisy), Olivia Williams(Eleanor Roosevelt), Martin McDougall (Tommy), Andrew Havill (Cameron), Nancy Baldwin (Sig.ra Astor), Jonathan Brewer (Ish-ti-opi), Kumiko Konishi (Principessa Te Ata), Parker Sawyers (Thomas); effetti: Union Visual Effects; produzione: Roger Michell, Kevin Loader, David Aukin per Film Four-Daybreak Pictures-Free Range Films; distribuzione: Bim (2013); origine: Gran Bretagna, 2012; durata: 95’. |
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Trama: | Giugno, 1939. Il presidente Franklin Delano Roosevelt si prepara ad ospitare nella sua casa di Hyde Park on Hudson (nello stato di New York) il Re e la Regina d'Inghilterra. Evento straordinario, è infatti la prima visita di un monarca regnante britannico in America, ma vista l'imminente guerra che la Gran Bretagna deve affrontare, i reali stanno disperatamente cercando il sostegno di FDR e degli Stati Uniti. Sotto gli occhi di Daisy, una conoscente molto vicina a Roosvelt, si manifesterà così la complessa arte degli affari internazionali gestita dalla signora Eleonor Roosvelt, dalla madre del Presidente, Sara, e dall'abile segretaria Missy, tutte impegnate nel rendere il weekend 'reale' indimenticabile... |
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Critica (1): | Ironia della sorte, la ridente cittadina americana sita nello stato di New York in cui si tenne la storica visita dei reali inglesi al Presidente Franklin Delano Roosevelt si chiamava Hyde Park, proprio come il celebre parco londinese. Una suggestione su cui il drammaturgo Richard Nelson ha costruito il suo radiodramma, poi divenuto film grazie all'intervento del regista Roger Michell. Hyde Park, sita nei pressi del fiume Hudson, era la città natale di Roosevelt e nel 1939 il Presidente scelse di accogliere proprio qui il re balbuziente Giorgio VI e la moglie, la futura queen mommy, giunti controvoglia in visita ufficiale per chiedere il sostegno degli Stati Uniti nella guerra che sarebbe scoppiata a breve. Alle vicende pubbliche si intrecciano quelle private visto che Roosevelt, sempre più restio a condividere il talamo nuziale con la volitiva Eleanor, aveva sviluppato una relazione speciale con una lontana cugina di nome Margaret Suckley, soprannominata Daisy, che volle al suo fianco anche in quella particolare occasione. Questi sono gli assunti storici da cui Nelson trae spunto senza preoccuparsi necessariamente della totale veridicità, ma romanzando personaggi e comportamenti per vivacizzare la narrazione.
A colpire in A Royal Weekend sono soprattutto le interpretazioni. Bill Murray non ha certo bisogno di dimostrare di essere un grande attore, ma stavolta, chiamato a recitare in un contesto completamente diverso dal guscio protettivo dei suoi registi di riferimento (Wes Anderson, Sofia e Roman Coppola), è obbligato a una trasformazione sul piano fisico che influenza necessariamente anche la sua recitazione. Roosevelt, per chi non lo sapesse, soffriva di una malattia invalidante che lo costrinse progressivamente su una sedia a rotelle. La maggior parte del tempo libero passato con Daisy lo trascorre, infatti, guidando un'auto speciale per le strade di campagna nella valle dell'Hudson e in un moto di orgoglio accoglie Re Giorgio seduto su una sedia per evitare di essere sorretto dagli assistenti. A questa debolezza fisica corrisponde un tono sardonico e a tratti sprezzante tipico di un uomo di potere, ma che non ci aiuta a dimenticare di avere fronte il mattatore Murray che sprizza carisma fagocitando il suo personaggio. Impeccabile come sempre Laura Linney nei panni dell'ingenua Daisy, tratteggiata come una sempliciotta povera e fiduciosa che sembra non rendersi bene conto della situazione e le cui motivazioni sono (almeno nella versione di Nelson e Michell) pure e disinteressate.
Di fronte a questa strana coppia ci risulta assai più vicina e comprensibile quella formata da Bertie (Samuel West) e dalla moglie Elizabeth (la straordinaria Olivia Colman). La parte di film più riuscita è quella che li vede in scena e il loro affiatamento rende palese il disagio della coppia reale, costretta per necessità ad abbassarsi a chiedere aiuto a un gruppo di borghesi, un tempo coloni dell'Inghilterra, che sembrano farsi beffe di loro e del loro rango. West e la Colman forniscono una lettura intelligente dei loro personaggi regalandoci i momenti più esilaranti del film. Indimenticabile la scena del picnic in cui il re d'Inghilterra, seppur riluttante, gusta gli hot dog per adeguarsi all'usanza locale e altrettanto gustoso è lo sguardo allibito dei due sposi mentre, scandalizzati, spiano dalla finestra i movimenti mattutini di Roosevelt e delle sue amanti. Impeccabile il lavoro su scenografie e fotografia che favorisce la ricostruzione dettagliata di uno spaccato di storia. Purtroppo non sempre alla dimensione visiva si affianca la necessaria profondità narrativa visto che del Presidente Roosevelt, una delle figure chiave del XX° secolo, traspare una visione parziale sbilanciata unicamente sul lato privato. Forse l'uomo del New Deal avrebbe meritato un approfondimento diverso da un gradevole divertissement.
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Critica (2): | Una storia di potere, però ironica e scanzonata. Una storia d'amore , però dolente e sofferta. A Royal Weekend (parziale e fuorviante titolo italiano, invece dell'originale Hyde Park on Hudson, nome della residenza di Franklin D. Roosevelt lontano da Washington) è queste due cose insieme. Oltre che una superba prova d'attori e una finissimo scavo (di scrittura e di regia) dentro la complessità dei rapporti umani. Due qualità che non metterei certo in fondo all'elenco delle ragioni per cui il film di Roger Michell merita di non passare inosservato.
All'origine del film c'è il personaggio (reale) di Daisy Suckley (Laura Linney), cugina di quinto grado del presidente Roosevelt, morta a cent'anni nel 1991, lasciando una valigia piena di lettere e pagine di diario che rivelarono al mondo il legame ben più che parentale che la legò al trentaduesimo presidente degli Stati Uniti.
È la sua voce fuori campo che ci introduce nella storia e ogni tanto ce la commenta, dalla prima telefonata con cui è chiamata ad aiutare Roosevelt a superare certi forti attacchi di sinusite (ma sostanzialmente a fargli un po' di compagnia) alla scoperta degli "insoliti" rapporti che il presidente ha con le donne che gli stanno intorno – l'autoritaria madre Sara (Elizabeth Wilson), la sfuggente moglie Eleanor (Olivia Williams), l'onnipresente segretaria Missy (Elizabeth Marvel) - fino alla cronaca dello storico incontro con re Giorgio VI e sua moglie Elisabetta (Samuel West e Olivia Colman), i primi monarchi inglesi a visitare nel 1939 la loro ex colonia per assicurarsi un appoggio per niente scontato nell'imminenza della guerra contro la Germania di Hitler.
In questo modo, "identificandosi" con lo sguardo prima timoroso poi sempre più attento di Daisy - sono «uno scricciolo che fa parte del mobilia» si autodefiniva - la sceneggiatura di Richard Nelson può permettersi di non dar niente per scontato e offre allo spettatore che vuole "dimenticare" la Storia (tutto era già più o meno noto) di scavare dentro le pieghe e le contraddizioni di uno dei grandi del Novecento. Perché il vero protagonista del film è naturalmente il presidente in persona, a cui Bill Murray offre una delle sue prove più convincenti, indovinata per somiglianza fisiognomica (quel sorriso dentuto) ma soprattutto per sottigliezza psicologica. Il "suo" Roosevelt non si limita a svelare l'altra faccia di un uomo pubblico, a mostrarci magari dal buco della serratura debolezze o furbizie (la politica viene quasi subito messa fuori campo, dopo la firma iniziale di una lettera non proprio sincera). Il film scava molto più a fondo, sforzandosi di capire la complessità dell'uomo e del suo potere.
Dietro le scambio di battute con cui riceve Giorgio VI c'è insieme sincerità e sapienza politica, l'abile sforzo di mettere a proprio agio un «ospite» che sa di non essere ben accetto e però anche il calore dell'uomo più anziano che ha vissuto e sofferto più del suo reale interlocutore. Dietro le scuse a Daisy, dietro il suo sincero «adesso sarebbe inutile ogni scusa» (dopo un colpo di scena che non anticipiamo) si coglie l'onestà dell'uomo ma anche il suo inequivocabile senso del potere, la sua abitudine all'egoismo (maschilista si sarebbe detto in altri anni). Tutto questo il film lo racconta con una leggerezza che fa ricordare uno dei precedenti lavori di Michell (Notting Hill) e che si regge sulla sceneggiatura perfettamente padroneggiata di Nelson, dove non hai mai la sensazione irritante del voyeurismo ma piuttosto quella più piacevole di essere stato invitato a condividere un po' di intimità con alcune persone.
Nei dialoghi e nella costruzione delle scene si ritrova l'abile e prolifico scrittore di testi teatrali, alla Rattigan verrebbe da dire, capace di tratteggiare con poche battute un personaggio o una situazione. Non nasconde niente eppure non dà mai la sgradevole sensazione del compiacimento gratuito. Il primo momento di intimità con Daisy è perfetto nella sua totale mancanza di ogni romanticismo. Ci dice del supposto lesbismo di Eleanor, degli screzi tra re e regina, del disprezzo anti-inglese della madre del presidente ma sempre con un invidiabile senso della misura e un altrettanto piacevole senso dell'ironia. Che un cast davvero in stato di grazia e una regia sapientemente non invasiva sanno far risaltare al meglio.
Paolo Mereghetti, corriere.it, 8/01/2013) |
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