Timida (La) - La discrète
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Regia: | Vincent Christian |
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Cast e credits: |
Soggetto e sceneggiatura: Christian Vincent, Jean-Pierre Ronssin; fotografia: Romain Winding; musica: Jay Gottlieb; estratti di Franz Schubert, Domenico Scarlatti; montaggio: François Ceppi; scenografia: Sylvie Olivé; costumi: Marte Malterre; suono: Jean-Jacques Ferran; interpreti: Fabrice Luchini (Antoine), Judith Henry (Canterine Legeay), Maurice Garrel (Jean Costal), Marie Bunel (Solange), François Toumarkine (Manu), Brice Beaugier (l'amico di Solange), Yvette Petit (la fornaia), Nicole Félix (Monique); produzione: Alain Rocca, per Les Productions Lazennec/Sara Films/Fr3 Films Production/CanalPlus/CNC; distribuzione: BIM; origine: Francia, 1990; durata: 94'. |
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Trama: | Antoine, scrittore e libertino, viene piantato dalla sua ragazza. Per vendicarsi decide di sedurne un'altra, farla innamorare di sé e poi lasciarla. Catherine, questo il suo nome, sembra bruttina e mediocre, ma nasconde dentro di sé un fascino complesso e un singolarissimo magnetismo. Antoine cerca di rendersi insopportabile, di provocare il disastro, ma finirà con il restare intrappolato, vedendo vacillare anche le proprie, goffe certezze. |
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Critica (1): | Il rohmerismo senza Rohmer. In genere sono dolori quando un grande autore si fa tendenza ed inizia la corsa all'imitazione, al ricalco, alla citazione. Ma il cinema francese medio, oggi, è una realtà più complicata del previsto dove c'è spazio per i Besson, i Carax e i Beineix non meno che per i "colti" e sussiegosi Rappeneau o Berri. E dove un film come La discrète (il titolo italiano semplifica, come al solito, le sfumature insite nell'originale e disperde anche il gioco di parole che allude, oltre che al carattere della protagonista, a quei nèi artificiali che le damine del Settecento si appiccicavano sul volto per far risaltare il proprio fascinoso pallore) fatica a trovare lo spazio che gli spetta di diritto. Scelta per aprire la Settimana della Critica all'ultima Mostra di Venezia, La discrète è una di quelle opere prime che - non diversamente dal Leone d'oro di quella stessa mostra Rosencrantz and Guildenstern - non sembrano affatto esordi ed in realtà non lo sono, costituendo, più che l'inizio, l'approdo di un cammino dentro il cinema: così è per Stoppard, sceneggiatore e narratore certo non dell'ultima ora, e così è per Vincent, diplomato all'Idhec e con una specializzazione in montaggio che traspare dopo i primi dieci minuti del film. Il suo rohmerismo, esibito nella scelta del protagonista (l'impagabile e affabulatorio Fabrice Luchini) e nell'assunto centrale del film, che è sostanzialmente un'analisi sentimentale, si rivela ben presto una scelta di campo soprattutto lessicale. Grande eleganza, dissolvenze sapienti, dialogo fitto ma mai fuori posto e sempre saldamente connesso all'immagine, sobrio e spesso involontario umorismo, confezione accurata sono gli assi nella manica di Vincent, e sono tutt'altro che doti comuni o secondarie.
Tuttavia La discrète non è solo questo. Si direbbe anzi che, nella lucidità con cui dipana i nodi sentimentali, nell'ironico autolesionismo cui è condannata la figura del libertino moderno Antoine e nell'eccezionale sapienza con cui è condotto per mano il personaggio femminile di Catherine (una formidabile Judith Henry), Vincent vada persino oltre Rohmer, o meglio si distacchi da un modello solo apparente, per lasciar prevalere un'inusitata amarezza, una malinconia non lenita da nessun sotterfugio intellettuale, di sapore piuttosto truffautiano. E' il lato dolente, perdente e ansiogeno di ogni rapporto a due che finisce col risaltare in primo piano, rendendo difficilissima, un vero equilibrismo narrativo, l'opzione di Vincent per una rappresentazione di sottintesi, di situazioni minimali, di impercettibili allusioni.
E nell'arco di una narrazione concisa, assolutamente priva di tempi morti, il regista arriva a capovolgere completamente la situazione di partenza lasciando il povero Antoine in balia della trappola da lui stesso tesa e nobilitando la dolce, discrète Catherine a quintessenza di femminilità, con un'operazione di sagace ambiguità e totale assenza di moralismi.
Alla fine dunque Antoine/Luchini si svela quasi come uno stereotipo rohmeriano costretto a smentirsi e a negarsi in virtù delle proprie stesse illusioni. In ciò Vincent è ancora più moderno del "maestro", più disincantato ed essenziale, più amaro e dissonante dietro il meccanismo perfettamente oliato di un racconto esemplare. I suoi personaggi si integrano reciprocamente nell'infelicità dei propri bisogni. Lui ama "le idee, le parole e le donne" e lei (è Luchini stesso che cita Marguerite Duras) come "tutte le donne gode prima di tutto con le orecchie".
Roberto Pugliesi, segno Cinema n. 50 agosto 1991 |
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