Temps qui reste (Le) - Temps qui reste (Le)
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Regia: | Ozon François |
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Cast e credits: |
Soggetto: François Ozon; sceneggiatura: François Ozon; fotografia: Jeanne Lapoirie; montaggio: Monica Coleman; scenografia: Katia Wyszkop; interpreti: Valeria Bruni Tedeschi (Jany), Jeanne Moreau (Laura), Melvil Poupaud (Romai), Daniel Duval (padre), Marie Rivière (madre), Christian Sengewald (Sasha), Louise-Anne Hippeau (Sophie); produzione: Olivier Delbosc e Marc Missonnier per Fidelite' Productions - France 2 Cinema; distribuzione: Teodora Film; origine: Francia, 2004; durata: 78'.
Vietato minori anni 18 |
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Trama: | Romain è un giovane fotografo di moda a cui viene diagnosticato un cancro all'ultimo stadio. Alla (chemio)terapia preferisce il decorso ineluttabile della malattia. Lascia la professione, il proprio compagno e gli affetti familiari per ritirarsi in solitudine nel suo appartamento parigino. Il ripiegamento affettivo è interrotto soltanto dalla visita all'anziana nonna e dall'incontro casuale con una coppia sterile a cui fa dono di un figlio. Davanti al mare si congeda dal mondo. |
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Critica (1): | Può essere interessante notare che Le temps qui reste, titolo originale di Il tempo che resta di François Ozon, sia diventato nella versione inglese Time to Leave, il tempo di partire. Infatti, mettendo l'accento su due modi opposti di concepire il breve frammento di vita a disposizione di un uomo che si sa prossimo alla fine, le due frasi di completano a vicenda restituendo il senso più vero del film. Dove il trentenne Romain (Melvil Poupaud), omosessuale e lanciato fotografo di moda, scoperto di avere un cancro terminale passa attraverso tutte le fasi elencate nei libri di psicologia - dall'incredulità alla rabbia alla depressione - prima di approdare a una stoica e quasi serena accettazione dell'evento. Come dire che il modo migliore per impiegare il tempo che rimane è quello di prepararsi, quasi in una sorta di purificazione, all'abbandono.
Progressivamente Romain si congeda da ogni cosa: il partner con cui trascinava una storia ormai consumata, i genitori affettuosi, la amata-odiata sorella e l'adorata nonna (Jeanne Moreau), l'unica a cui confida che sta per morire in una scena che è fra le più intense del film. Mentre l'episodio meno convincente è quello del casuale incontro del protagonista con una cameriera (Valeria Bruni Tedeschi), che d'accordo con il marito sterile gli chiede di farle un figlio. È plausibile che il giovane uomo afferri al volo la bizzarra occasione di lasciare una traccia di sé nel mondo, ma il rapporto sessuale a tre (Romain coinvolge entrambi i coniugi nel rito del concepimento) ha una qualità estetizzante che suona stonata in un contesto di essenziale semplicità. Come il Patrice Chéreau dello struggente Son frère, Ozon non teme di firmare un film che sfida il tabù massimo di una società ossessionata dalla paura della morte. Imbastito su un collage di gesti e momenti insignificanti che, nella prospettiva di essere gli ultimi, si rivelano pieni di significato, Il tempo che resta si affida a un sensibile interprete, Poupaud, capace di esprimere senza sentimentalismi un complesso e doloroso stato emotivo.
Alessandra Levantesi, La Stampa, 23/6/2006 |
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Critica (2): | Romain (Melvil Poupaud) è un fotografo di successo, intelligente, equilibrato e con un bel fidanzato. Quando avverte dei malori, teme di avere l'Aids. Ma ha torto, si tratta di cancro inoperabile: tre mesi di vita, forse un anno. Da quel momento, tutto si incrina: la relazione con il fidanzato si interrompe, i rapporti con la famiglia si sgretolano. Romain tace: la prognosi è segreta per tutti, tranne che per sua nonna (Jeanne Moreau)... Con Le temps qui reste Ozon mette in scena la morte senza soluzioni ricattatorie o espedienti lacrimosi. E dà vita a un film estremamente sobrio, di struggente dolcezza, sottile ambiguità e mai triste. Il regista si guarda bene dall'esibire il dilagare del male e lo strazio dell'agonia, concentrandosi invece sulla dolorosa presa di coscienza della morte imminente di Romain e descrivendo il suo ripiegamento affettivo, con estrema durezza. Un film dai dialoghi serrati, che raffredda un materia incandescente come la morte, senza privarla della sua drammaticità. E che, dall'inizio alla fine, dall'incontro con una sconosciuta (Valeria Bruni Tedeschi) alla penultima inquadratura (un campo di più di un minuto sulla spiaggia che si svuota), riesce a mantenere una fluidità quasi miracolosa. Si piange, è vero, ma non per il dolore: piuttosto, per le volte che non si è stati capaci di apprezzare a pieno la vita.
Roberta Bottari, Il Messaggero , 23/6/2006 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| François Ozon |
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