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Bambino d'inverno (Il) - Enfant de l'hiver (L')


Regia:Assayas Olivier

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Olivier Assayas fotografia: Denis Lenoir (35 mm- colore); suono: Olivier Schwob; musiche: Georges Arriagada; montaggio: Luc Bamier; scenografia: Frangois Renaud Labarthe; costumi: Frangois Clavel; interpreti: Clotilde de Bayser (Sabine), Michel Feller (Stèphane) Marie Matheron (Natalia), Jean-Philippe Ecoffey (Bruno), Anouk Grimberg (Agnes), Ines de Medeiros (Ana), Nathalie Richard (Leni), Gèrard Blain; produzione: Gemini Films, GPFI, Sofica Investimage; origine: Francia, 1989; durata: 84'.

Trama:Nathalie e Stéphane sono insieme da alcuni anni, ma il loro rapporto sembra andare in crisi proprio mentre Nathalie si accorge di aspettare un bambino dal suo compagno. Incapace di prendersi delle responsabilità sul futuro della coppia e sul bebé, Stéphane lascia Nathalie e si mette con Sabine, una scenografa teatrale che peraltro non lo ama. Sabine infatti ama, senza essere corrisposta, Bruno, un attore, che ha troncato da poco in modo brusco la loro relazione.

Critica (1):Fare un primo film equivale a rivendicare qualcosa di esorbitante: significa che colui che concepisce un simile progetto ha la pretesa di aver diritto a fare cinema. Farne un secondo permette, dopo aver fatto la prova (o piuttosto dopo averne dato prova) con il primo, di mostrare meglio cosa vuole fare. È una banale regola di geometria: sono sufficienti due punti per iniziare a disegnare una curva. È piuttosto affascinante osservare quanto i soggetti dei primi due film d'Olivier Assayas siano sincronici rispetto all'itinerario del giovane regista militante. Dèsordre ha per soggetto la fine dell'adolescnza,la disgregazione del gruppo protettore e il suo corollario: l'individualizzazione.
L'enfant de l'hiver ha per soggetto il passaggio all'età adulta - l'età in cui si sa chi si e - in altri termini: la costruzione di se stessi. Ne L'enfant de I'hiver non vi è solamente un personaggio ed è un personaggio scavato al suo interno: Stèphane (Michel Feller, emblematico). Vi sono anche due immagini di donne: Natalia, la madre (Marie Matheron, di una verve sorprendente); Sabine, l'amante (Clotilde de Bayser). Inoltre, per chiudere il quadrato che darà luogo alla circolazione degli effetti, vi è Bruno, il doppio di Stèphane, uno Stèphane più maturo, che ha saputo assumersi meglio, riconciliarsi con se stesso (Jean- Philippe Ecoffey, splendido come sempre, quando non cede alla tentazione dell'overacting)
Il film coglie Stèphane di fronte alla rivelazione che per lui esistono solo due condizioni possibili: Stèphane è tanto incapace di assumere la paternità del figlio che nascerà quanto di riannodare i rapporti con quel curioso personaggio che è suo padre (Gèrard Blain, disfatto e vinto). A questa duplicità simbolica ne corrisponde una amorosa. Il padre sposerebbe Natalia, la madre di suo figlio; il figlio sceglierebbe Sabine: È in bilico tra l'una e l'altra. La storia del film segue il suo percorso, che si compendia tutto in un raccordo sbalorditivo fra due inquadrature: la prima in cui scopre, nel senso letterale del termine, il sesso del bambino, e la seconda in cui si raccoglie davanti al corpo del padre morto. Ne L'enfant de l'hiver un etnologo potrebbe trovare nelle nostre società cosiddette moderne il segno della sopravvivenza del buon vecchio sistema patrilineare. Il problema per Stèphane è quello di riuscire ad appartenere alla catena dei maschi, e solo quando avrà saputo trovare un punto d'equilibrio (una condizione di quasi-padre che lo porta a riconoscere, troppo tardi, suo figlio) non avrà più bisogno di un doppio (Bruno verrà allora inesorabilmente allontanato) e il film potrà concludersi. Ho detto che il tema di L'enfant de l'hiver era la costruzione di se stessi. La richiesta espressa dai personaggi femminili costringe Stèphane, e in minor misura Bruno, ad autodeterminarsi. La richiesta di Sabine a Bruno, quella di Natalia a Stèphane: se vogliamo, sta pro rio in questa linea bergmaniana del f llm. La loro risposta invece in ultima istanza è sovradeterminata dal rapporto che i due uomini hanno con se stessi: la vigliaccheria di Stèphane nei propri confronti, la vergogna di Bruno - in quella bellissima scena in cui rimprovera Sabine di costringerlo a comportarsi come un mascalzone. Per quanto riguarda Sabine e Natalia, se da un lato si conoscono meglio, nel senso che sono in grado di formulare le loro richieste, finiscono pei barricarvisi dietro piuttosto che andare verso l'altro. Non è quindi casuale che la gelosia sia l'unico sentimento che non circola nel film. Sono tutti troppo racchiusi in se stessi per essere gelosi dell'altro. Al limite, si può dire che la storia di L'enfant de l'hiver tratta della circolazione dei sentimenti fra quattro entropie. Assayas si prende persino il lusso di creare, non senza eleganza, una vera e propria solidarietà fra le due donne di Stèphane: si veda la scena in cui Sabine, che da brava amante si è autodefinita sterile, prende davanti i Stèphane le parti di Natalia, la madre abbandonata. È proprio questa rappresentazione dell'entropia a mettere il film in sintonia con il discorso amoroso degli anni Ottanta: con la fredezza e il gelo che queste esprime (non va dimenticato l'inverno de titolo). Vi è una figura, quasi coreografica, che attraversa implicitamente L'enfant de l'hiver e che costituisce in parte il modello di base della circolazione che avviene tra i protagonisti. Potremmo concludere, in extremis, con uno scarto. Assay inserisce perfino in modo esplicito tal figura in due lunghe scene, - la prima fra Bruno e Sabine e la seconda fra Stèphane Natalia -, molto abilmente costruite sulla durata, e che a distanza si fanno da contrappunto: quella in cui Sabine - ancora una volta quanto tutto è già deciso e ormai da tempo"- si dà a Bruno (in questo caso è Bruno ad interrompere l'abbraccio fra i due amanti ); e quella della festa in cui Natalia e Stèphane si ritrovano al gabinetto (qui è Natalia ad interromperlo, fra l'altro in modo piuttosto brillante: "fa schifo"). A parte L'enfant de l'hiver non ho mai visto disegnare in modo altrettanto chiaro ed univoco questa figura del discorso amoroso (sì, una volta, da una coreografa, appunto: Pina Bausch).
È da questa figura che scaturisce sentimento principale che circola nel film sentimento a cui Sabine fa un po' da parafulmine, da strumento di attrazione: attrazione: la delusione, ricorrente, davanti al desiderio, o la passione che si accende e si spegne, o meglio che si accende e che qualcuno altro spegne, come smorzerebbe una candela. In molte inquadrature di Sabine troviamo appunto qualcosa che si accende e si spegne: ad esempio, la luce dei fari che passa sul suo volto quando prende la macchina di Stèphane per abbandonarlo, una prima volta, in piena notte; o l'inquadratura magnifica in cui viene presentato un abbozzo di discesa, subito interrotto, della macchina da presa sul lampadario del Teatro Spoleto, che simboleggia per Sabine lo svanire delle sue speranze, e in cui donna vede l'immagine di se stessa, del suo precipitare, simile ad un paracadute avvitamento.
Nel discorso abituale si ricorre spesso ad un understatement quando si usa l'espressione "avere una storia" per dire "essere innamorati", o quando si definisce l'amore volontà di finzione". Una volontà ulteriormente rafforzata dall'entropia di cui parlavo più sopra e che equivale a costruirsi nella testa una sceneggiatura e accorgersi che l'altro non è pronto a recitarla, un po' come accadde a Natalia, a Sabine, a Stèphane e persino a Bruno in L'enfant de l'hiver. Rappresentarli significa
rappresentare questa inarrestabile volontà di finzione: se il film di Assays deliberatamente "romanesque", non si tratta di un artificio formale, di un'etichetta data ai personaggi, alla sceneggiatura: scaturisce direttamente dal soggetto.
Hervè Le Roux, Chaiers du Cinèma n. 48 - aprile 1989

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