Caduta della casa Usher (La) - Chute de la maison Usher (La)
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Regia: | Epstein Jean |
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Cast e credits: |
Soggetto: liberamente ispirato ai racconti di Edgar Allan Poe; ass. regia: Luis Buñuel; fotografia: Georges Lucas, Jean Lucas; scenografia: Pierre Kéfer; interpreti: Marguerite Gance (Madeleine Usher), Jean Debucourt (Roderick Usher), Charles Lamy (il viaggiatore), Fournez-Goffard (il medico), Luc Dartagnan (il domestico), Pierre Hot, Halma, Pierre Kéfer; produzione: Films Jean Epstein; distribuzione: Exclusivité Seyta; origine: Francia, 1928; durata: 65'.
Da Cinémathèque Royale de Belgique, Cineteca del Comune di Bologna, Archivo Nacional de la Imagen - Sodre, Cinémathèque Française.
Il restauro è stato realizzato dal laboratorio della Cinémathèque Belge a partire dal negativo originale e da tre copie d'epoca, tutte riportanti le colorazioni originali, provenienti dalla Cinémathèque Belge, dal Sodre e dal Nederlands Filmmuseum. |
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Trama: | In casa Usher il proprietario dipinge il ritratto della moglie Madeline, ed è come se la donna vivesse nel quadro. Quando lei muore, il marito non vuole assolutamente che la sua bara venga sigillata, ma soltanto ricoperta con un sottilissimo velo. Una notte di tempesta però nel sepolcro la bara cade a terra, le candele si rovesciano dando fuoco alla casa e Madeline appare. Mentre le fiamme devastanti divorano tutto, nel quadro la figura femminile è misteriosamente scomparsa. |
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Critica (1): | La Chute de la maison Usher, tratto dal racconto omonimo di Poe, non può essere considerato l'adattamento di un singolo testo letterario: per Epstein rappresentava il tentativo di rendere cinematograficamente le proprie impressioni intorno all'opera di Poe nel suo complesso. Il film è infatti una amalgama di più racconti, tra i quali quello del titolo e Il ritratto ovale, Ligeia, Morella, Silenzio, L'uomo della folla. Inoltre, anche rispetto al racconto del titolo, Epstein operò non poche modifiche, tra le quali la più rilevante consiste nell'eliminazione del "narratore in prima persona", a vantaggio di una narrazione onnisciente stranamente fluttuante. (Abel, 1984)
Presentato nel giugno del 1928 allo Studio 28, La Chute de la Maison Usher ottenne un immediato successo di critica: per Jean Dreville il film confermava Epstein come 'il vero maestro del cinema moderno, il più intuitivo e il più serio fra gli artisti'. In seguito, La Chute è stato oggetto di molti fraintendimenti: lo si è voluto un film 'gotico', marcato soprattutto da un uso innovativo del rallentatore, e influenzato dall'espressionismo tedesco. Tuttavia, volendolo posizionare troppo rigidamente all'interno di una scuola o di un genere, si sono spesso occultate le caratteristiche strutturali del film: 'Come tutta la narrativa del fantastico, Usher fa uso di una evidente ambiguità epistemica. Il vedere e il sapere rimangono incerti fino alla fine. Madeleine è morta davvero e quindi Roderick ha immaginato la resurrezione e il salvataggio? O si è soltanto addormentata fino a che forze naturali o sovrannaturali l'hanno incredibilmente risvegliata, dirigendone l'operato? Questa incertezza narrativa è raddoppiata dalle incertezze a livello di discorso filmico, non solo per quanto riguarda la continuità spazio-temporale, ma anche in funzione del ritmo e della strutturazione delle figure retoriche'. (Abel, 1984)
Guglielmo Pescatore, La Chute de la maison Usher, in AA.VV., La città che sale, Rovereto, Manfrini, 1990 |
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Critica (2): | "Ho volontariamente trascurato nel corso di La chute de la maison Usher tutti gli effetti plastici che è possibile ottenere con l'ultra-cinematografo. Ho solo cercato - se posso esprimermi in maniera tanto pretenziosa- l'ultra dramma. In nessun momento lo spettatore potrà dire "Questo è un ralenti". Ma credo che, come me alla prima proiezione, sarà stupito da una drammaturgia così minuziosa. Perché è la drammaturgia, l'anima stessa del film, a essere interessata a questo procedimento. Eccoci dunque vicini a ritrovare, in modo altrettanto sottile che in letteratura, il tempo perduto.
Non conosco nulla che sia davvero più emozionante di un'immagine rallentata, di un volto che si abbandona ad un'espressione. C'è prima di tutto una preparazione, una febbre lenta, che non si sa se paragonare a un'incubazione morbosa, a una maturazione progressiva o, più grossolanamente, a una gravidanza. Alla fine, tutto questo sforzo deborda, rompe la rigidità di un muscolo. Un contagio di movimenti anima il volto. L'ala delle ciglia e il ciuffo del mento battono insieme. E quando infine le labbra si separano per indicare il grido, abbiamo assistito a tutta la sua lunga e magnifica aurora. Un tale potere di separazione del super occhio meccanico e ottico fa apparire chiaramente la relatività del tempo. E' dunque vero che dei secondi durano ore! Il dramma è situato al di fuori del tempo comune. Si ottiene una nuova prospettiva, puramente psicologica.
Ne sono sempre più convinto. Un giorno il cinematografo fotograferà per primo l'angelo umano.
Jean Epstein, "Paris-Midi" ,11 maggio 1928 |
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Critica (3): | Il cinema fantastico per tutti gli anni 10 e 20 del '900 è stato il campo della più avanzata sperimentazione, luogo fertile ad accogliere le teorizzazioni più varie e le espressioni personali di individualità eccezionali. In Germania in a partire da Lo studente di Praga di Rye (1913), Il Golem di Wegener e Galeen (1914), Homunculus di Rippert (1916) fino al fatidico '28 con La Mandragora di Galeen e Die Frau im Mond di Lang: si creò una comunità produttiva d'altissimo livello anche grazie a geniali registi, scenografi e operatori.
Negli stessi anni in Francia ha inizio quella che Richard Abel chiama la "prima ondata" del cinema francese. Le avanguardie artistiche ed una nuova generazione di cineasti dl 1915 al '29 danno vita ad una mirabile (per qualità e quantità) produzione teorica e pratica: L'Herbier, Gance, G. Dulac (e Artaud), Epstein, su fronti poetici differenti certamente, dal simbolismo al surrealismo all'impressionismo.
La Chute de la maison Usher nasce proprio da questo fermento: Epstein con l'aiuto del giovane Buñuel innesta sul racconto omonimo di Poe motivi da "Il Ritratto Ovale" (il dipinto che assorbe l'energia vitale del soggetto ritratto, il doppio) e dalla tradizione gotica, particolari iconografici (il castello, gli alberi) e tematici. La vicinanza ai percorsi surrealisti non deve trarre in inganno, Epstein guarda altrove, alla volontà personale ed alla percezione del mondo; Buñuel durante le riprese incontrò Maeterlink e non è difficile scovare influenze di quest'ultimo. Il risultato è estremamente composito sia nella narrazione sia nelle soluzioni tecniche sia, non è da sottovalutare, nei percorsi intepretativi. Se è la discontinuità del flusso narrativo a colpire lo spettatore è pur vero ch'essa è un portato che vien da dire necessario dell'impianto del film: l'uso ricorrente di doppie esposizioni (esseri umani che paiono sottoposti ad un morphing od a una distorsione), ralenti (molto efficaci quelli sui libri che cadono) e sovraimpressioni (la sequenza tutta del funerale con la strada di candele) sono la chiave di volta di un progressivo tentativo di espandere i confini del visibile - ben oltre che quelli della verosimiglianza, correlati funzionali alla resurrezione di Marguerite Usher. La sconfitta della morte, a costo di tremende battaglie, è resa da Epstein attraverso l'uso ricorrente di simboli evidenti (la copula dei rospi, la civetta, i fulmini, il vento) unita alla disgregazione del fondamento raziocinante che fonda gli eventi. (...)
Luigi Garella, spietati.it |
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Critica (4): | Epstein fu forse il primo a mettere a fuoco teoricamente questo punto di cui gli spettatori, al cinema, facevano esperienza pratica: non soltanto gli effetti di accelerazione, ralenti e inversione, ma anche l'effetto di non allontanamento dell'oggetto mobile ("un fuggiasco correva all'impazzata e tuttavia ci restava di fronte"), i cambiamenti continui di scala e proporzione ("senza comun denominatore possibile), i falsi raccordi di movimento ( quelli che Ejzenstejn da parte sua chiamava "raccordi impossibili").
Gilles Deleuze, L'immagine-tempo, 1985 |
| Jean Epstein |
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