120 battiti al minuto - 120 battements par minute
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Regia: | Campillo Robin |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Robin Campillo, Philippe Mangeot; fotografia: Jeanne Lapoirie; musiche: Arnaud Rebotini; montaggio: Robin Campillo; scenografia: Emmanuelle Duplay; arredamento: Hélène Rey; costumi: Isabelle Pannetier; effetti: Guy Monbillard; interpreti: Nahuel Pérez Biscayart (Sean), Arnaud Valois (Nathan), Adèle Haenel (Sophie), Antoine Reinartz (Thibault), Félix Maritaud (Max), Ariel Borenstein (Jérémie), Aloïse Sauvage (Eva), Simon Bourgade (Luc), Médhi Touré (Germain), Simon Guélat (Markus), Coralie Russier (Muriel), Catherine Vinatier (Hélène), Théophile Ray (Marco), Jérôme Clément-Wilz (Etienne), Jean-François Auguste (Fabien), Saadia Bentaïeb (madre di Sean); produzione: Les Films De Pierre, in coproduzione con France 3 Cinema, Page 114, Memento Films Production, Fd Production, in associazione con Memento Films Distribution, Films Distribution, Indéfilms 5, Cofinova 13; distribuzione: Teodora Film; origine: Francia, 2017; durata: 144'. |
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Trama: | Inizio anni Novanta. L'AIDS sta uccidendo da quasi dieci anni e gli attivisti di Act Up-Paris decidono di moltiplicare le loro azioni per sconfiggere l'indifferenza generale. Nathan, un nuovo arrivato nel gruppo, viene ben presto sconvolto dalla radicalità di Sean, un ragazzo che sta consumando le sue ultime forze per le battaglie dell'associazione. |
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Critica (1): | “Quando avevo vent’anni, l’epidemia di Aids stava dilagando nel mondo. Eravamo tutti terrorizzati, i giovani morivano come mosche. Un anno dopo ho iniziato a studiare cinema, ma la macchina da presa non mi permetteva di comprendere la tragedia di questa malattia. Ho lasciato la scuola e mi sono unito ad Act Up-Paris, per poi tornare alla regia. Bisognava smettere di avere paura, non eravamo vittime, ma attori anche politici. Ho capito che dovevo realizzare un film su questo tema, non tanto sulla patologia, ma sulla forza militante che si vede nelle riunioni di Act Up”. Maglietta blu, spirito da combattente: il regista Robin Campillo sembra non essere mai invecchiato, solo i capelli bianchi dimostrano l’andare degli anni. Il suo 120 battiti al minuto uscirà nelle sale italiane il 5 ottobre, distribuito da Teodora Film.
“Act Up è sempre stato un movimento locale. È nato negli Stati Uniti, ma in Francia era più facile coordinarsi. Oltreoceano c’erano le sedi di New York, Boston e San Francisco, da noi tutto ruota, ancora adesso, attorno a Parigi, che è il centro del potere. In Francia c’è sempre stato poco pragmatismo, anche con l’attuale governo. I dibattiti infuriano, ma le scelte pratiche latitano”. Poi Campillo critica l’Eliseo: “Macron pensa che l’Aids appartenga al passato. Alla conferenza di Parigi sull’argomento non si è presentato, e ha mandato un suo rappresentante. La medicina ha fatto passi da gigante, ma c’è ancora molto da lavorare. Le terapie di oggi non sono più nocive e riducono gli effetti collaterali. La prevenzione è la chiave. Però servirebbe una forte volontà politica”.
120 battiti al minuto è ambientato agli inizi degli anni Novanta e il protagonista è Nathan, l’attore Arnaud Valois, un ragazzo che decide di unirsi ad Act Up-Paris, gruppo che lotta per i diritti dei sieropositivi. “Ci sentivamo completamente immersi in questa avventura. Era affascinante prendere parte a un’opera così importante. Girando insieme, siamo diventati una famiglia”, spiega Valois.
Nel film, Nathan si innamora di Sean, uno dei membri più radicali del movimento. Intanto le azioni di Act Up continuano, senza sosta. “Attaccavamo i laboratori delle multinazionali farmaceutiche, perché dicevano di non poter produrre abbastanza medicinali per tutti. Non pubblicavano i risultati delle loro ricerche e, in America, non davano le medicine a chi era terminale, togliendogli ogni speranza”.
Campillo ha collaborato alla sceneggiatura de La classe di Laurent Cantet, vincitore della Palma d’Oro al sessantunesimo Festival di Cannes. “Laurent è un amico. Ci siamo conosciuti alla scuola di cinema, poi io ho preso la strada di Act Up. Con lui, ho scoperto l’uso del digitale, e posso dire che entrambi abbiamo imparato molto l’uno dall’altro”.
Infine si parla anche di Oscar: “Dopo il grande successo del film in molti hanno cercato di prendersene il merito, specialmente dopo che è stato scelto per andare alla conquista della mitica statuetta. Io non sento di rappresentare la Francia, ma la mia storia. Anche in America lo devono vedere, perché ci hanno ispirato con i loro modelli”. L’inno alla vita di Campillo conclude l’incontro: “Noi eravamo giovani, volevamo divertirci, cantare e ballare. Volevamo amare in libertà, senza doverci continuamente confrontare con la morte”.
Gian Luca Pisacane, La rivista del cinematografo-cinematografo.it |
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Critica (2): | (...)120 battiti al minuto racconta una stagione drammatica e allo stesso tempo entusiasmante, protagonisti dei giovani francesi nella Parigi degli anni Novanta, quando l'epidemia dell'Aids mieteva vittime su vittime a fronte di una società civile confusa e disinformata rispetto all'hiv, alle modalità di propagazione del virus, alle condotte di prevenzione necessarie. Grazie a azioni spettacolari, come l'occupazione di aule scolastiche, la distribuzione di preservativi, il lancio di sangue finto nei laboratori farmaceutici, il gruppo conquista la visibilità sui media e l'attenzione dalla politica. E diventa un trampolino di lancio per la coscienza politica di una generazione. Poi ci sono l'amore e la morte: il protagonista Nathan inizia una relazione con Sean, uno dei militanti più radicali del movimento, contagiato dal suo professore di matematica e saprà essergli accanto nei momenti più difficili.
"Io ho vissuto quell'epoca e di certo non mi sono mai considerato un eroe" dice Campillo, che dopo una lunga collaborazione come sceneggiatore e montatore di Laurent Cantet è passato dietro alla macchina da presa, e al suo terzo film ha scelto di raccontare questa pagina della propria storia. "I gesti forse erano eroici, gesti che in qualche modo hanno dato senso alla nostra vita. Un giorno avevo un appuntamento - ricorda - ma al mio arrivo quella persona non c'era; andando via passai accanto al luogo in cui si teneva una riunione di Act Up ed entrai. Quello che volevo raccontare con il film non è certo l’eroismo ma quello che era accaduto politicamente, la nostra mobilitazione. Mi piaceva ricordare che la politica viene dai giovani, da ragazzi che arrivano con nuove aspettative e richieste. All'epoca ingaggiammo in questa battaglia tutta la grazia della nostra giovinezza. Non so se si può definire eroismo, di certo per noi è stata un'esperienza molto forte". (…)
Chiara Ugolini, repubblica.it, 28/9/2017 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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