Cowgirl il nuovo sesso - Even cowgirls get the blues
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Regia: | Van Sant Gus |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Gus Van Sant, dal romanzo omonimo di Tom Robbins; fotografia: John Campbell, Eric Alan Edwards; montaggio: Curtis Clayton; scenografie: Missy Stewart; costumi: Beatrix Aruna Pasztor; interpreti: Uma Thurman (Sissy Hankshaw), Lorraine Bracco (Dolores Del Ruby), Angie Dickinson (Miss Adrian), Keanu Reeves (Julian Gitche), Ken Babbs (Zio di Sissy), Roseanne Barr (Madame Zoe), John Hurt (Contessa), Sean Young (Marie Barth), Noriyuki Pat Morita (Chink), Rain Phoenix ( Bonanza Jellybean); produttore esecutivo: Gus Van Sant; origine: Usa, 1994; durata: 93'. |
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Trama: | Con "Cowgirl il nuovo sesso" Van Sant tenta di portare sullo schermo l'intraducibile romanzo di Tom Robbins (edito in Italia da Baldini e Castoldi), vero e proprio cult book degli anni Settanta. Si narra la storia di Sissy (Uma Thurman), una ragazza dagli enormi pollici, che alterna i suoi vagabondaggi in autostop per gli Stati Uniti alla professione di modella per un'agenzia di prodotti per l'igiene intima. Il proprietario di quest'ultima possiede anche una fattoria nel West dove vivono le cowgirls, ribelli nate, un po' lesbiche, un po' femministe, un po' folli. Sissy invitata alla fattoria assiste alla ribellione delle ragazze al loro datore di lavoro. Che sia questo il posto giusto per lei? |
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Critica (1): | Una bella bionda fornita di pollici spropositati, grandi come zucchine e vagamente fallici, che hanno fatto di lei la migliore nel chiedere passaggi (“incarno lo spirito dell’autostop”), una inquieta perenne viaggiatrice “uscita da un oracolo zen con il piede sbagliato”. Un’apparizione fugace ma significativa di William Burroughs, lo scrittore più elegante del mondo, nelle vie di New York. Una aristocratica russa bianca, nata per caso maschio omosessuale americano, che è John Hurt detto Contessa, supertruccato, con le unghie smaltate di rosso e la dentiera instabile. Un ranch che serve da Beauty Farm, espugnato e occupato da una banda di cowgirls che usano come arma il proprio nauseabondo odore corporale (non si lavano, apposta, da una settimana). Un vecchio guru asiatico, molto piccolo di statura e sentenzioso ma simpatico, che vive sulle più alte montagne o nella caverna che ospita una antica nuova etnia, il Popolo dell’Orologio . Uno stormo di preziose gru, variante in estinzione che le cowgirls inducono a diventare stanziali anziché migratorie drogandole con il peyote. Amori tra ragazze (l’amata si chiama Bonanza Jellybean), scontri a fuoco con la polizia, voglia di movimento, di libertà. Even Cowgirls Get the Blue (Cowgirls: il nuovo sesso) di Gus Van Sant, protagonista Uma Thurman, è un film d’epoca, tratto dal romanzo di Tom Robbins pubblicato nel 1976 e divenuto negli Stati Uniti un libro di culto per la sua capacità di condensare nel grottesco tanta parte dei tic della controcultura Anni Sessanta e Settanta: viaggio, pulsioni di fuga, vita On the Road, rivolta contro il sistema sociale, ecologia, animismo, femminismo e rivendicazione d’autonomia anche eroticamente autosufficiente da parte delle donne, paura e rifiuto delle donne da parte degli uomini, antropologia lirica, mito d’Oriente. Il film semplifica e rende sin troppo concrete le fantasie brillanti e travolgenti del romanzo riducendole talvolta a scherzo goliardico o manierato. Non si può dire riuscito, spesso neppure è divertente, ma fa piacere vederlo: la memoria d’un periodo di tale libertà intellettuale e creatività esistenziale è talmente cara, quel periodo vitale e innovativo e scemo sembra talmente favoloso nella tetraggine contemporanea.
Lietta Tornabuoni, La Stampa, 5/09/1993 |
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Critica (2): | In un film all’insegna della sociologia surreale, non so se per effetto del peyote di cui fanno uso le allegre ragazze di Gus Van Sant, mi è sembrato a un certo punto di veder transitare il vecchio Burroughs. Era lui? Non era lui? In ogni caso il cinquantasettenne Tom Robbins, autore del best-seller originario che dal ‘76 a oggi ha venduto 2 milioni di copie, è un nostalgico trombettiere delle mitologie dei Sixties: ed è tuttora convinto («Gli anni 90 sono i 60 rovesciati») che droga, vagabondaggio e amore universale restano la formula per salvare il mondo. Sarà una filosofia discutibile, ma sempre meglio di quelle che stanno incarnandosi nella prassi a Sarajevo.
Non ho avuto il tempo di leggere tutte le 360 pagine del romanzo nell’edizione Bantam e tuttavia ciò che ne ho assaggiato qua e là mi ha incuriosito. Lo stile è leggero, sfrontato e scintillante: forse più della sua traduzione filmica, che in qualche modo appesantisce la favola. La quale rimane uguale: l’odissea esistenziale di Sissi, una ragazza nata con due enormi pollici fatti apposta per l’autostop, che approda a un ranch della salute nelle Badlands del South Dakota, dove tiene banco un piccolo esercito di cowgirl zuzzurellone e lesbiche. Sotto la protezione di un misterioso Cinese, guru della montagna e custode dell’orologio che regola l’universo, le ragazze creano l’incidente bloccando con l’aiuto del peyote la migrazione delle gru. A ristabilire l’equilibrio ecologico interviene la Casa Bianca facendo scoppiare una specie di guerra civile, uomini contro donne, che produrrà la sua martire, la vittoria delle femministe e tante speranze per il futuro. Affidato a una tribù di «pollicioni» che Sissi provvederà a mettere al mondo per partenogenesi. Cow girls - Il nuovo sesso (così si intitolerà da noi) è un film svitato e cordiale, con Uma Thurman che esibisce disinvoltamente le protesi ai pollici, Pat Monta in veste di santone sentenzioso e John Hurt nel macchiettone sguaiatello di un superfrox. Anche chi non ha l’età per credere nei riti e miti della drug generation può stare al gioco: anzi deve, a rischio di venir considerato fuori moda.
Tullio Kezich, Il Corriere della Sera, 4/09/1995 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Gus Van Sant |
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