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Anni in tasca (Gli) - Argent de poche (L')


Regia:Truffaut François

Cast e credits:

Soggetto e sceneggiatura: François Truffaut, Suzanne Schiffman; fotografia: Pierre-William Glenn; montaggio: Yann Dedet; musiche: Maurice Jaubert, la canzone "Les enfants s'ennuient le dimanche" di Charles Trenet è cantata dall'autore; scenografia: Jean-Pierre Kohut-Svelko; costumi: Monique Dury; trucco: Thi-Loan Nguyen; interpreti: Georges Desmouceaux (Patrick Desmouceaux), Philippe Goldmann (Julien Leclou), Claudio De Luca (Mathieu Deluca), Franck De Luca (Franck Deluca), Richard Golfier (Richard Golfier), Laurent Devlaeminck (Laurent Riffle), Bruno Staab (Bruno Rouillard), Sebastien Marc (Oscar), Sylvie Grezel (Sylvie), Pascale Bruchon (Martine), Corinne Boucart (Corinne), Eva Truffaut (Patricia), Grégory (il piccolo Grégory), Francis Devlaeminck (signor Riffle, il parrucchiere, padre di Laurent), Tania Torrens (signora Riffle, la parrucchiera), Jean-Marie Carayon (il commissario, padre di Sylvie), Katy Carayon (moglie del commissario, madre di Sylvie), Paul Heyraud (signor Deluca), Christine Pellé (signora Leclou, madre di Julien), Jeanne Lobre (nonna di Julien), Nicole Félix (madre di Grégory), Virginie Thévenet (Lydia Richet),Jean-François Stévenin (Jean-François Richet, il maestro), René Barnerias (signor Desmouceaux, padre di Patrick), Christian Lentretien (signor Golfier, padre di Richard), Laura Truffaut (signora Doinel, madre di Oscar), Jean-Francis Gondre (il padre di Oscar), Chantal Mercier (Chantal Petit, la maestra), Marcel Berbert: il direttore della scuola Vincent Touly (il portinaio), Yvon Boutina (Oscar adulto), Annie Chevaldonne (infermiera),Michel Dissart (signor Lomay, il poliziotto), Michele Heyraud (signora Deluca); produzione: Les Films du Carrosse, Les productions Artistes Associès; origine: Francia, 1976; durata: 104'.

Trama:Siamo negli anni Settanta, a Thiers, un villaggio nel centro della Francia. L’estate è vicina e l’anno scolastico sta per terminare: le storie degli alunni di due classi, una elementare e una media guidate rispettivamente da Jean-François Richet e da Chantal Petit, si intrecciano dando vita a un variegato mosaico di situazioni. Patrick, che vive con il padre handicappato, è invaghito della madre di un suo compagno di scuola: durante le vacanze estive, tuttavia, si innamorerà di Martine, una sua coetanea. Mathieu e Frank rapano maldestramente un loro compagno in cambio del denaro che questi aveva ricevuto dal padre per il barbiere. Il piccolo Gregory, lasciato solo in casa, cade da una finestra ma non riporta neanche un graffio. Sylvie, punita dai genitori per un capriccio, chiede aiuto al vicinato servendosi di un megafono. Julien, un ragazzo povero, viene assegnato alla classe della signorina Petit, ma non studia e commette dei furtarelli. Alla fine, quando si scopre che la madre lo picchia, verrà affidato all’assistenza sociale. L’ultimo giorno di scuola, il signor Richet – che nel frattempo è diventato padre – avrà modo di spiegare ai suoi alunni, proprio partendo dal caso di Julien, quanto sia difficile essere bambini.

Critica (1):François Truffaut è uno dei pochi registi, che provenendo dada critica, ha saputo mantenere un sorprendente equilibrio tra le due attività. In ogni, sua opera si possono facilmente rintracciare omaggi e citazioni al cinema ed agli autori amati come critico, e le presentazioni che egli è solito scrivere per i propri film difficilmente vengono superate in acutezza ed eleganza dalle recensioni dei critici “professionisti”. Preferiamo, allora, come avevamo già fatto per Adele H (vedi “Cineforum” n. 153) riportare, anche per Gli anni in tasca (L’argent de poche), quanto ha scritto lo stesso regista nel febbraio 1976: «Da anni mi interesso alle storie vere che riguardano l’infanzia. Fatti veri, presi da giornali, confidenze, ricordi, tutto alimenta la mia curiosità. L’argent de poche era il titolo di una raccolta di novelle alla quale ho rinunciato per farne la sceneggiatura di un film. Per evitare la formula del film a episodio ho intrecciato tra loro le azioni ed i personaggi di queste storie per ottenere la formula che è quella della cronaca collettiva. Gli avvenimenti de L’argent de poche si svolgono a Thiers durante l’ultimo mese dell’anno scolastico e si concludono ad agosto, in una colonia di vacanze. L’argent de poche racconta le storie di una decina di bambini, maschi e femmine, dal primo biberon al primo bacio. Le loro avventure mostrano le diverse tappe dalla prima infanzia, all’adolescenza. I ragazzi, che partecipavano tutti per la prima volta ad un film, sono stati reclutati a Parigi, Clermont Ferrand e Thiers. I ruoli degli adulti, genitori e professori, sono stati affidati ad attori poco conosciuti, dato che la vera protagonista di un film sui ragazzi è l’infanzia stessa. Questa storia è attraversata da più di 200 visi di bambini: una classe di 35 scolari, un’altra di 25, una nidiata di 40 bebé e, infine, una colonia con 60 maschi e altrettante femmine! Dato che non è facile presentare succintamente un film collettivo, mi appoggio a tre autori che ammiro. Victor Hugo con “l’arte di essere nonno”, Charles Trenet attraverso 250 canzoni ammirevoli per equilibrio, Ernst Lubitsch indulgente e malizioso, li vedo come tre poeti che sono riusciti a cogliere lo spirito dell’infanzia:
“I bambini hanno il dono di rendermi sciocco. Li adoro e sono un’idiota” V. Hugo
“I ragazzi si annoiano la domenica / La domenica i ragazzi si annoiano.” C. Trenet
“Non bisogna mai disdegnare un’occasione di ridere”. E. Lubitsch
Queste tre citazioni hanno guidato Susanna Schiffman e me, durante la elaborazicne de L’argent de poche, nella scelta degli episodi e nel come fare per trattarli. Bisognava far sorridere, non alle spalle dei bambini, ma con loro, non alle spalle degli adulti, ma con loro; da qui la ricerca del delicato equilibrio tra serietà e leggerezza. Sylvie per un capriccio non viene portata al ristorante, Richard presta a due amici il denaro destinato al parrucchiere, Oscar rifiuta di parlare e preferisce esprimersi fischiando, Bruno non vuole recitare con le “intonazioni” giuste, Gregory cade dalla finestra, Patrick si innamora della madre di un compagno, Julien è maltrattato in casa, Martina vive il suo primo bacio in colonia. La trama de L’argent de poche è fatta di piccoli avvenimenti ma bisogna ricordare che niente di quello che riguarda l’infanzia è senza importanza. Visto dai ragazzi il mondo degli adulti è quello dell’impunità, quello in cui tutto è permesso. Un adulto racconta ridendo ai suoi amici come ha schiacciato la sua macchina contro un platano; invece un ragazzo che rompe un piatto asciugandolo crede di aver commesso un crimine, dato che non fa alcuna differenza tra un malanno e un delitto. Sballottati tra il loro bisogno di protezione ed il bisogno di autonomia, i bambini devono spesso subire i capricci degli adulti, quindi si difendono e si induriscono. Ecco quello che Susanna Schiffman ed io volevamo esprimere ne L’argent de poche ma con un tono solenne ed enfatico. Alcuni episodi sono allegri, altri seri, altri puramente fantastici, altri ancora diventano crudeli; il tutto doveva dare l’idea che l’infanzia è spesso in pericolo, ma che possiede la grazia ed anche la pelle dura. Il bambino inventa la vita, si scontra con le difficoltà, ma nello stesso tempo sviluppa tutte le pos, sibili facoltà di resistenza. Infine, e questa è la vera ragione, di essere de L’argent de poche io non mi stanco di girare con i bambini. Tutto quello che un bambino fa sullo schermo sembra che lo faccia per la prima volta ed è questo che rende tanto preziosa la pellicola consacrata a filmare giovani visi in trasformazione».

L’INFANZIA VISTA DALL’INFANZIA
L arget de poche vorrebbe porre questo interrogativo: perché,
nelle lotte che conducono gli uomini, i bambini sono così spesso
dimenticati?(François Truffaut)

Ogni nuovo film di François Truffaut è sempre un’opera attesa, nel senso che lo si aspettava da molto tempo prima della sua effettiva realizzazione. Quando uscì La nuit americaine (Effetto notte, 1973), opera fondamentale nella sua filmografia, ci si chiese solo perché Truffaut avesse aspettato tanto per girare il suo film sul cinema. Les deux anglaises et le continent (Le due inglesi, 1971) e L’enfant sauvage (Il ragazzo selvaggio, 1970), per citare altre due opere-chiave, suscitarono la medesima impressione. Ciò perché ogni suo film contiene già, in sé, tutti gli altri passati o futuri, ed è solo un passaggio in più verso una rigorosa visione del mondo che continuamente si ripropone (senza mai ripetersi) attraverso “pezzi di cinema” che rimandano, inevitabilmente, l’uno all’altro, per ricomporre una unità poetica. Ne Les 400 coups (I quattrocento colpi, 1959), ad esempio si ritrova già l’altarino che vedremo ne L’histoire d’Adele H. (Adele H.: una storia d’amore, 1975), così come di Balzac se ne riparlerà ne Les deux anglaises et le continent, e di Victor Hugo già se ne era accennato ne Le domicile conjugal (Non drammatizziamo, è solo questione di corna, 1970). E su tutti domina, che sia presente od assente, sullo schermo, la figura di Antoine Doinel, personaggio ineliminabile (anche se Truffaut ha dichiarato definitivamente chiuso questo ciclo) ed ossessivo, proiezione dell’autore all’interno della sua opera, con il compito di ricucire i “pezzi di cinema” in un’unica, coerente e lucida concezione della vita. Anche L’argent de poche (Gli anni in tasca, 1976), dunque, doveva necessariamente essere realizzato, tant’esso ripercorre fino in fondo il tema fondamentale per Truffaut, da sempre l’infanzia che per lui presenta i medesimi aspetti della vita sentimentale: il mistero e la provvisorietà. Un autore che con tale tenerezza e sensibilità aveva saputo descrivere questa prima stagione della vita ne Les 400 coups e ne L’enfant sauvage non poteva che imbattersi, prima o poi ne L’argent de poche che viene ad assumere questo tema come sua unica ragione di esistenza. Ci si meraviglia solo che questo incontro non sia avvenuto prima. Con questo film Truffaut riesce a darci la sua opera più integralmente dedicata all’infanzia, con uno slancio passionale ed un approccio talmente disarmato ed ingenuo da risultare estremamente coraggioso, ed alla quale consegna la propria dichiarazione d’amore su questo mondo “sballottato tra il bisogno di protezione ed il bisogno di autonomia”.
Senza timore di affrontare un argomento che oggi sembra accostabile soltanto in termini retorici o secondo i moduli di un rigido quanto arido impegno sociologico, armato (o disarmato) di una “attaccabilissima” concezione dell’infanzia, Trauffaut svolge il film con l’aria di voler narrare soltanto una serie di piccoli quadretti quotidiani riferibili alle diverse età, dalla nascita all’adolescenza, per poi colpire invece, in modo repentino, nella conclusione, con una dichiarazione morale che può apparire al limite dell’autolesionismo e dell’incoscienza, tant’è nella sua ingenua sincerità, estranea a qualsiasi schema precostituito di analisi. In realtà, come si vedrà meglio in seguito, alcune importanti osservazioni si ritrovano proprio negli episodi in apparenza autonomi. Solo che, per Truffaut, queste non devono far violenza all’intento primario, che resta quello di raffigurare con rispetto l’umanità e la dolcezza il mistero e la durezza della vita infantile, questo mondo così difficilmente esplorabile dallo sguardo dell’adulto.
Il film, la cui azione si svolge nell’ultimo mese dell’anno scolastico per concludersi in una colonia estiva, è una rappresentazione collettiva di tutta l’infanzia, “dal primo biberon al primo bacio”, e vuol essere un tentativo di descrivere l’infanzia vista dall’infanzia, senza le mediazioni e le deformazioni, tra il moralistico ed il melenso, tipiche degli adulti.
Un tentativo sincero ma folle: in effetti, L’argent de poche è, inevitabilmente, la rappresentazione di Truffaut sull’infanzia e non l’infanzia che rappresenta se stessa. È però uno degli esempi più riusciti di avvicinamento a questo irraggiungibile obiettivo, e resta uno dei migliori film sulla prima età. Per trovare altri film che siano con e non sui bambini, a favore e non contro, dobbiamo rivolgerci agli esempi ormai classici di Zero de conduite di Jean Vigo, di Germania anno zero di Roberto Rossellini, di Shonen di Nagisa Oshima. Brani squisiti per delicatezza ed intensità, come l’infatuazione di Patrick per la madre dell’amico; il capriccio di Sylvie che si fa lasciare sola in casa dai genitori per poi comunicare con tutto il palazzo; la caduta senza conseguenze, di Gregory dalla finestra del nono piano e le sue parole dopo il volo di fronte alla gente attonita (“Gregory ha fatto bum”) i primi approcci sentimentali di Patrick e Bruno al cinema , la misteriosa e selvaggia tristezza di Julien, sono episodi che vivono di grazia e di autenticità.
Lo sforzo di allontanare dal film la propria personalità d’adulto per lasciarvi solo una profonda attenzione alla dimensione infantile, Truffaut lo compie non solo riservando la sua “dichiarazione morale” (il discorso del maestro) nella parte finale del film, così da non costituire interferenza con il resto dell’opera, ma anche rimuovendo, almeno in apparenza, la sua passione per il cinema ed il suo stesso stile. Quanto alla prima rimozione, è esemplare l’episodio dei ragazzi che si recano al cinema.
Quale tentazione di mostrare sullo schermo qualche film amato, e legare così il mondo dell’infanzia alle proprie passioni! Invece il cinema viene descritto come è visto dagli occhi dei ragazzi, non in quanto films, appunto, (ed i titoli citati nelle locandine – Gli amori di Zorro, Il tempio dell’elefante bianco – appartengono alla produzione “seriale”) ma in quanto luogo dell’esperienza e dell’emozione collettiva. Per i ragazzi il cinema è l’avvenimento domenicale atteso durante tutta la settimana è l’occasione per escogitare sempre nuovi espedienti per entrare gratuitamente e l’ambiente della complice oscurità dove si possono tentare le prime timide esperienze amorose. Questo disegno viene perseguito a tal punto che Truffaut, piuttosto che mostrare un film nel film (il cinegiornale di “Oscar il fischiatore”, il quale essendo nato da madre francese e da padre americano durante l’occupazione e non sapendo scegliere in quale lingua parlare, impara a comunicare con i fischi, fino a diventare un’attrazione internazionale) la cui apparente stravaganza pertiene invece ad un significato interno a tutta l’opera. L’episodio infatti, pur essendo una continua autocitazione si inserisce perfettamente nel contesto del film, anzi ne costituisce uno dei punti più significativi: il rapporto tra infanzia e linguaggio, tra il significato dell’accettazione o dei rifiuto del linguaggio come insieme di valori imposti. Il dato fortemente autobiografico presente ne La nuit americaine (il sogno del regista che si rivede bambino a rubare le locandine di Citizen Kane) è allontanato così nello sforzo di ridare al cinema il valore non intellettuale ma emotivo che esso ha per un bambino. Tentativo tanto più ammirevole quanto più conosciamo l’amore di Truffaut per il cinema. Vi è poi una seconda rimozione fondamentale, quella dello stile. Truffaut qui abbandona l’eleganza formale di film come Les deex anglaises et le continent o L'histoire d’Adele H. per esprimersi con una libertà espressiva fino al limite della sciatteria.
È un atteggiamento che il regista, solitamente così attento sul piano della “forma”, ha avuto soltanto in un’altra occasione: quando ha girato Une belle fille comme noi (Mica scema la ragazza!, 1972), considerato, anche per questo fatto, un film minore.
Non è certo un caso che queste due opere, così vicine per atteggiamento espressivo (ma vi sono altre analogie: entrambe sono le più `”leggere” e seguono le due più “drammatiche”, Les deux anglaises et le continent e L’histoire d’Adele H., quasi che Truffaut abbia voluto liberarsi della loro angoscia rifiutando anche i livelli espressivi raggiunti, ed entrambi hanno una struttura composita anziché unitaria) siano le più limpide e sincere dichiarazioni d’amore a favore della donna ed a favore del bambino , due grandi passioni dell’autore. Come se Truffaut avesse timore di soffocare il proprio desiderio di cantare questo amore in una forma troppa perfetta in tutte e due le opere privilegia un’espressività quasi naive, tanto più fresca e diretta quanto più trascurata e dimessa. Il risultato è lo spazio che in tal modo acquistano, senza più mediazioni, la donna e il bambino, i quali diventano così personaggi che parlano di se in prima persona. Proprio lo scopo che Truffaut voleva raggiungere.


IL CENTRO GEOGRAFICO IL CENTRO POETICO.
Le lotta individualistica di Charlot in tutti i suoi film mi ha molto
aiutato ad uscire dall’adolescenza
François Truffaut

Il film inizia a Brunère-Allichamps, un piccolo paese situato nel centro esatto della Francia, e si svolge in giugno, nel cuore dell’anno. Una fin troppo scoperta simbologia colloca il, tema dell’opera al centro dell’attenzione poetica del suo autore, il quale appare brevemente, proprio in questa sequenza, per sottolinearlo ancor di più.
Se il centro dell’opera di Truffaut è dunque l’infanzia, questa non può essere rappresentata da un solo bambino, ma da tutta l’infanzia. Così L’argent de poche è un film corale che riprende la sua “coralità della vita” dalla “coralità del cinema” di La nuit americaine; si riallaccia al cortometraggio Les mistons (1958) opera corale sui bambini (ecco che si ritrova già L’argent de poche in un’opera delle origini); contiene in se sia I’Antoine Doinel de Les 400 coups che il Victor de l’Aveyron de L’enfant sauvage.
Non può neppure svilupparsi secondo una trama unica, ma deve ampliarsi alle diverse storie individuali che, unite da un filo narrativo, ricreino l’infanzia in ogni suo momento, dalla gioia imbarazzata del primo bacio, alla sofferenza causata dall’egoismo, dalla crudeltà e dalla indifferenza degli adulti, alla paura della caduta, che però per un bambino può essere senza conseguenze come per un gatto, ai piccoli drammi del-, l’incomprensione, ai capricci irrazionali ed improvvisi, alle responsabilità più grandi dell’età.
Il tutto racchiuso tra due grandi immagini corali: la sfrenata corsa dei ragazzi per le vie e le scalinate di Thiers, all’inizio del film, e il gaio caos del refettorio della colonia estiva, alla fine.
Il film, si è detto, non contiene espliciti omaggi ai registi amati da Truffaut, se si eccettua un discreto richiamo al “suspense” hitchcockiano nella scena “fantastica” della caduta di Gregory ed un tenue “tocco” lubitschiano nella sequenza finale delle porte che si aprono e si chiudono e del bacio sulla scala tra Martine e Patrick, ma ha un’unica, grande citazione strutturale: Il grande dittatore di Charlie Chaplin (l’“omino” amato dai bambini di tutto il mondo), con il maestro Truffaut al posto di Charlot/Chaplin che, alla fine dei “gags”, lancia il suo “editoriale politico” (così aveva definito Truffaut, in un suo articolo sul film, il “messaggio” di Chaplin all’umanità) a favore di tutta l’infanzia.
Gli episodi infantili di cui si compone L’argent de poche come una serie di “gags”, alcuni comici, altri tristi, sono legati tra loro da una relazione simbolica che Jean Collet (“Le cinema di François Truffaut”, Lherminier, Paris, 1977) individua appropriatamente nelle categorie dell’economia e del linguaggio.
Il principio economico domina il film fin dal suo stesso titolo: L’argent de poche è lo spicciolo che distingue l’infanzia dall’età adulta, sulla base di una valutazione quantitativa del denaro posseduto, e che regola le azioni dei ragazzi (i piccoli furti di Julien, il taglio dei capelli eseguito dagli amici per non spendere i soldi avuti dai genitori, gli espedienti per entrare al cinema senza pagare, etc.) riflettendo le condizioni economiche delle loro famiglie.
Anche il principio dei linguaggio, che trova li suo centro simbolico nell’episodio di Oscar, si irradia in tutte le sequenze per sottolinearne la differenza e il valore nei confronti del linguaggio degli adulti. Il tema emerge con maggior forza nella scena della recita in classe del monologo di Arpagone, quando i ragazzi, di fronte alla maestra che esige da loro l’interpretazione del brano di Molière mandato a memoria, balbettano penosamente, per lanciarsi invece in saggi di ottima recitazione non appena l’insegnante è uscita dall’aula.
È il conflitto tra “linguaggio del corpo” e “linguaggio ludico” contro il “linguaggio del Potere” (per riprendere l’analisi di Collet) che viene ribadito nella sequenza della ricreazione dove i ragazzi reinventano un loro personale linguaggio, alla ricerca di una preziosa – perché autonoma – espressività poetica.
La presenza di un rigoroso disegno strutturale è confermata infine dalla relazione tra i due personaggi che sono presenti più a lungo sullo schermo, il biondo Patrick ed il bruno Julien.
Il primo, privo di madre, deve accudire al padre paralizzato su una sedia a rotelle e riversa il suo duplice bisogno della donna e della mamma nell’attrazione verso la madre dell’amico Laurent; il secondo, emarginato e vessato dalla madre e dalla nonna che lo picchiano per un semplice piatto rotto, è costretto dalla violenza esercitata su di lui e dal bisogno (non c’è per lui nessun argent de poche) a reagire con i furti e gli espedienti, forme disperate di necessità e di rivolta.
L’uno oberato da responsabilità sociali troppo grandi, l’altro condannato a crescere “selvaggio”, ai margini della società (vive in una baracca in mezzo a un bosco) falsamente reso uguale agli altri in classe, quando è invece discriminato nella vita: entrambi “martiri” della famiglia e della società.
Attraverso questi personaggi, che rispecchiano chiaramente Antoine Doinel e Victor de l’Aveyron, Truffaut torna alla sua riflessione sul conflitto tra società e natura, tra educazione e libertà, che era alla base del suo film più “ideologico”, L’enfant sauvage.
Così quella che sembrava essere una semplice “cronaca collettiva” rivela la sua natura di “commedia sociale” e di rappresentazione “unanimista” (come l’ha definita lo stesso Truffaut), dove si scoprono, tra le pieghe di quel “delicato equilibrio tra serietà e leggerezza” che l’autore si era posto come principio ispiratore del suo lavoro gli interrogativi fondamentali di sempre.
François Truffaut, “I’homme qui aime les femmes et les enfants”, nella sua presentazione al film, ha usato un’espressione bellissima: “il bambino inventa la vita”. È questa l’emozione più forte che il suo film riesce a dare.
Vittorio Giacci,
Cineforum n. 166, luglio/agosto 1977

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