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Psycho (1998) - Psycho (1998)


Regia:Van Sant Gus

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Joseph Stefano, tratta dal film "Psycho" di Alfred Hitchcock, ispirato all'omonimo romanzo di Robert Bloch; fotografia: Chris Doyle; scenografia: Tom Foden; costumi: Beatrix Aruna Pasztor; musica: Bernard Herrmann, orchestrata da Danny Elfman; montaggio: Amy Duddleston; interpreti: Vince Vaughn (Norman Bates), Anne Heche (Marion Crane), Julianne Moore (Lila Crane), Viggo Mortensen (Sam Loomis), William H. Macy (Milton Arbogast), Robert Forster (Dr. Fred Simon), Philip Baker Hall (Sceriffo Al Chambers); prodotto da: Brian Grazer, Joseph Stefano; distribuzione: UIP; origine: Usa, 1998; durata: 103'.

Trama:Marion, impiegata in una società immobiliare, fugge dalla città per raggiungere il suo fidanzato con una forte somma sottratta ad un cliente. Prima di raggiungere la casa del fidanzato ha la malaugurata idea di pernottare in un motel gestito da Norman, un strano tipo oppresso dal carattere autoritario della madre.

Critica (1):Tornano gli orrori del Bates Motel. Tornano la paura senza nome di Marion Crane, massacrata nella doccia da una vecchia madre impazzita di gelosia, e la sorpresa agghiacciata del detective Arbogast che scivola all'indietro sulla scala mentre il coltello si protende sulla sua faccia. Su tutto, stride la musica di Bernard Herrmann, riarrangiata da Danny Elfman. operazione filologica in senso stretto, quella di Gus Van Sant: rifare Psycho, praticamente inquadratura per inquadratura, movimento di macchina per movimento di macchina; infatti la costruzione visiva degli effetti speciali terrificanti di Hitchcock (il montaggio spezzato della scena della doccia, lo zoom più carrello della caduta di Arbogast), per quanto realizzata elettronicamente nella nuova versione, è identica. Così, Anne Heche (sempre un po' fastidiosamente prima della classe) e Vince Vaughn (bravo) mimano, vezzo per vezzo, le interpretazioni di Janet Leigh e Anthony Perkins. Quanto al colore, la scelta di Van Sant e del direttore della fotografia Chris Doyle è correttamente caduta sui toni anni '50, come "Caccia al ladro" o "Intrigo internazionale" di Hitchcock. Proprio perché identico al primo (tranne un paio di inserti e un accenno di masturbazione), "Psycho" è bello e pop.
Emanuela Martini, Film TV, 5/5/1999

Critica (2):Pollice in alto per l'operazione Gus Van Sant. Psycho funziona. Ha il fascino della decomposizione, proprio come mamma Bates... Nel ruolo di Marion Crane - impiegata che sbaglia a Phoenix City, ma l'11 dicembre 1998, che seduce facile ma ha un corpo "imprendibile" - Anne Heche reincorpora mamma Janet ancor meglio di Jamie Lee Curtis. E il coltellaccio prestato al set da John Woo (leggiamo nei titoli di coda) non avrà mai veramente la sua carne...in quella che è la scena più sbagliata del film, rispetto all'originale, ma più ardita e sconvolgente di tutto il "corpus Van Sant" e di molta body bloody art. E Norman Bates-Vince Vaughn (cameriere in The lost World), è vero che si agita e ride troppo da "pazzo furioso" ma nessuno avrebbe retto il confronto con Perkins per più di un round. Meglio arrendersi, masturbarsi nervoso, invitarci nella sua stanza gay e iniziare a "impagliare" il capolavoro, sbatacchiando un culone da ragazzo midwest in un film a colori pastello anni '60 fino alla dimessa schizo-voce off del finale anticlimax...mentre allucinazioni visive klossowskiane, ragni raimiani sulle carogne e microsegnaletica splatter hanno già deturpato di segatura la geometrica bellezza del modello hitchockiano (che, leggiamo nel bel volume su Psycho di Stephen Rebello, era costruita soprattutto per distrarre i gonzi della censura). Remake perfetto. Perché più vicino si è alla copia più ci si allontana. La psicosi dilatante del remake cinematografico - o dell'istant movie che fotocopia drammi di cronaca o bestseller - non affligge infatti solo i produttori famelici, che - dopo Titanic - non vogliono perdere un solo cent e sanno come agganciarsi al consumo sicuro. Anche il pubblico, infatti, ha fame di fiabe sempre identiche (e cervello sufficiente per trarne gli insegnamenti che vuole), soprattutto adesso che ha modo di affezionarsi ai classici antichi e moderni, più volte riproposti in tv e sezionati/seviziati in homevideo. Nell'incubo a aria condizionata del Blockbuster cosa c'è di più rassicurante di un titolo amico? Ma il vero Psycho è un'altra cosa. Fu una mattonata in testa, un virus salutare nell'immaginario 1960. Sarà ridicolo a dirsi, ma quel film sconvolse il mondo. E allora, come oggi, si ha paura a vederlo sul grande schermo..., non come Delitto perfetto, l'impertinente e eterodosso mix di ben due hitch. Questo è perverso e warholiano, ma non lo sbandiera. È volgarmente bello. Ma non abbiate paura di essere volgari. Non sottraetevi al piacere colpevole di stropicciare un capolavoro inavvicinabile. Fate un gesto blasfemo. Pshyco va visto, divorato, temuto, amato. Perché? Perché fa paura esattamente come il primo (non solo, proverete sulla pelle gli stessi brividi, e negli stessi momenti del racconto: anche se questa volta, con la ragione e la memoria potreste disinnescare la suspense) e molto più dei remake ossessivi e concitati che Anthony Perkins, come droga, si iniettava nelle vene di tanto in tanto. Questo Psycho è come quello, ricalca, si sa: identici gli incubi sonori di Bernard Herrmann, i movimenti di macchina, i set up (dove piazzare la macchina da presa?), i dialoghi, il montaggio, il tempo di lavorazione (6 settimane), il budget. Ma nessuno, nemmeno chi ha visto il film cento volte troverà niente del primo. Ci sono quelle certe "variazioni Goldberg" che distiguevano una foto di Marylin da una foto di Marilyn deformata Warhol...il ricalco senza Janet Leight, Anthony Perkins e Martin Balsam è un oggetot-mostro, colorizzato e ricollocato, vacillante com'è, quasi ai giorni nostri. Gus Van Sant, un artista estremo e maledetto che ha saputo travestirsi da mainstream-man senza perdere l'anima (Good Will Hunting), fa qui con le punte pop della visualità contemporanea, come Luciano Berio (e Bach un tempo) faceva con le canzonette popolari. Così il director di Belli e dannati, Cowgirls: il nuovo sesso, Da morire e Drugstore cowboys, ha messo a ferro e fuoco non un film suspense qualunque ma il primatista mondiale del cinema "de paura". Ha perso e ha vinto.
Roberto Silvestri, il manifesto, 5/5/1999

Critica (3):

Critica (4):
Gus Van Sant
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