Crazy Heart - Crazy Heart
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Regia: | Cooper Scott |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo di Thomas Cobb; sceneggiatura: Scott Cooper; fotografia: Barry Markowitz; musiche: T-Bone Burnett, Stephen Bruton - la canzone "The Weary Kind" è di T-Bone Burnett e Ryan Bingham; montaggio: John Axelrad; scenografia: Waldemar Kalinowski; arredamento: Carla Curry; costumi: Douglas Hall; interpreti: Jeff Bridges (Bad Blake), Maggie Gyllenhaal (Jean Craddock), Robert Duvall (Wayne Kramer), Colin Farrell (Tommy Sweet), Ryan Bingham (Tony), Jack Nation (Buddy), Paul Herman (Jack Greene), Tom Bower (Bill Wilson), Beth Grant (Jo Ann), Rick Dial (Wesley Barnes), Debrianna Mansini (Ann), Ryil Adamson (Ralphie), David Manzanares (Nick), Richard W. Gallegos (Jesus/Juan), Brian Gleason (Steven Reynolds); produzione: Robert Duvall, Robert Carliner, Judy Cairo, Scott Cooper e T-Bone Burnett per Cmt Films-Informant Media-Butchers Run Films; distribuzione: 20th Century Fox Italia; origine: Usa, 2009; durata:112’. |
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Trama: | Bad Blake è un cantante di musica country a pezzi, che ha vissuto troppi matrimoni, troppi anni on the road e troppi drink. Tuttavia, Bad prova a cercare la salvezza con l'aiuto di Jean, una giornalista che scopre l'uomo vero dietro al musicista. Mentre lui lotta nella strada verso la redenzione, impara nel modo più duro come una vita difficile possa dipendere dal cuore folle di un uomo. |
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Critica (1): | Qualche giorno fa ci si sbilanciava su queste pagine, per celebrare un incantevole esordio, a stabilire una connessione un po' forzata (nel senso di evocativa e molto indiretta poiché si parlava di un film molto originale e per nulla imitativo), tra il film norvegese Nord e le atmosfere "on the road" di quel cinema americano primi anni Settanta che tanto segnò l' apprendistato cinematografico di una generazione. Rinnovando probabilmente la stessa fascinazione che la generazione precedente aveva incontrato nel western: spazi, libertà, irriducibile individualismo. Con l' aggiunta di tutti i (veri o presunti) anticonformismi propri del cinema post- Easy Rider. Ecco, questo Crazy Heart (debutto a sua volta, di uno sceneggiatore, Scott Cooper) è invece in linea di discendenza diretta e letterale rispetto a quel cinema, a quei tipi, a quei climi. Li cita, dal primo all' ultimo momento. Non senza effetti molto suggestivi. Uomo bandiera di questa citazione è l' attore protagonista del film, Jeff Bridges, 61 anni nella vita mentre il suo personaggio qui ne denuncia 57 carichi di fallimenti, derive e delusioni inferte agli altri e a se stesso. Jeff Bridges che mosse i suoi primi passi in due titoli epocali di quella ormai remota stagione - erano L' ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich del 1971 e Città amara di John Huston del ' 72 - mentre affidandosi alle cure dei fratelli Joel e Etan Coen e affiancato da due spalle di lusso come Steve Buscemi e John Goodman ma senza dimenticare Julianne Moore, John Turturro e Philip Seymour Hoffman, avrebbe quasi trent' anni dopo, e con impareggiabile senso dell' autoironia e dell' umorismo nero, messo la parola conclusiva alla storia di quel tipo umano. Parola conclusiva imposta dai limiti di tempo e di età, maturi per il pensionamento e per spogliare la mitologia della sua retorica. Nel Grande Lebowski, naturalmente, capolavoro assoluto della commedia malinconica moderna. Jeff Bridges si trascina sulle quattro ruote del suo pickup sgangherato tra Texas, Arizona, New Mexico, sullo sfondo di strade dritte, assolate e deserte, di scenari quanto mai pittoreschi e fotogenici. Con il nome d' arte di Bad Blake è stato un cantautore country di successo. Ma ha gettato via il proprio talento e la propria vita. Non scrive un pezzo da anni. Vivacchia con ingaggi mortificanti che lo portano a esibirsi nei locali più squallidi e periferici. Ha avuto molte donne e anche molte mogli, anche un figlio che ora ha ventotto anni ma mai più rivisto da quando ne aveva quattro. Stivali e cappellaccio texano calcato in testa, tra bar, bowling e motel spersi nel nulla, Bad passa la vita attaccato alla sigaretta e alla bottiglia. Sa di essere un fallito ma due circostanze impreviste lo fanno finalmente vergognare di essersi ridotto così. Uno. Il ritrovare sulla sua strada Tommy Sweet (Colin Farrell) suo giovane ex protetto che al contrario di lui ha saputo far fruttare la fama e il successo: niente di più umiliante per Bad del dover accettare dal suo agente la proposta di aprire il concerto di Tommy. Due. La conoscenza di una ragazza, Jean (Maggie Gyllenhaal), apprendista giornalista musicale per un giornaletto provinciale, che lo avvicina per chiedergli un' intervista. Jean ha il suo bagaglio di scelte sbagliate alle spalle, è ragazza madre di un bimbetto di quattri anni (proprio la stessa età del figlio di Bad quando lo abbandonò), e si lascia andare con molte riserve al sentimento che nasce tra di loro. Per amore Bad sembra mettercela tutta ma l' incontro che potrebbe segnare il riscatto della sua vita giunge troppo tardi, quando il suo percorso di rinuncia e di autolesionismo sembra proprio arrivato al capolinea. Un incidente riguardante la sicurezza del bimbo di Jean, e la fiducia che dopo tante resistenze lei ha accreditato a quest' uomo vinto e finito, decide come le cose debbano andare. Nel frattempo però la ventata di fiducia che Jean e il suo bambino sono riusciti a infondere in lui ha risvegliato la sua creatività, mentre con l' aiuto del vecchio amico, interpretato da Robert Duvall, Bad saprà intraprendere
la faticosa strada della disintossicazione "giorno dopo giorno". (...)
Paolo D’Agostini, La Repubblica, 3/3/2010 |
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Critica (2): | Un cantante country in declino che trascina la sua chitarra e il suo fegato ingrossato fra bowling e localacci. Un incontro casuale - una cronista di provincia che vuole intervistarlo, lui quasi non ci crede - che sfocia in amore. Una tournée malinconica e inesorabile come la voce di quel vecchio leone che ha il broncio, il carisma, la simpatia, la vulnerabilità di uno dei più geniali antidivi d'America. Difficile dire se Crazy Heart ci piacerebbe altrettanto senza Jeff Bridges, ma forse la domanda non ha senso perché il film è impensabile senza la presenza quieta e così americana, l'America che amavamo tutti senza eccezioni qualche decennio addietro, di questo attore. Che sembra sempre uguale e invece ogni volta è diverso, come succede solo ai più grandi. È la sua forza che rende gli incontri di cui è costellato il film così toccanti, anche quando sulla carta sfiorano il cliché. È grazie a Jeff Bridges che il vecchio amico Robert Duvall, altro peso massimo, l'ex-allievo che ha superato il maestro (Colin Farrell), e la ragazza-con-figlio troppo bisognosa di stabilità per le sue tendenze autodistruttive (Maggie Gyllenhaal), brillano di quella luce così rara nel cinema Usa d'oggi. (...)
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 5/3/2010 |
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Critica (3): | |
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