Tough enough - Knallhart
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Regia: | Buck Detlev |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Zoran Drvenkar, Gregor Tressnow; fotografia: Kolja Brandt; scenografia: Udo Kramer; costumi: Jale Kustaloglu; interpreti: David Kross (Michael Polischka), Jenny Elvers-Elbertzhagen (Miriam Polischka), Jan Henrik Stahlberg (Dottor Peters), Erhan Emre (Hamal), Kida Ramadan (Barut), Oktay Özdemir (Errol), Arnel Taci (Crille), Hans Löw (Gerber), Kai Michael Müller (Matze), Eva Loebau (Elke); produzione: Boje Buck Produktion; distribuzione: Teodora Film; origine: Germania, 2006; durata: 98'. |
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Trama: | Quando la madre di Michael rompe una relazione con un ricco dottore, i due sono costretti ad andarsene in un quartiere popolare di Berlino. Michael, fino a quel momento cresciuto in un'elegante zona residenziale è costretto ad affrontare la violenza della strada e le prepotenze di alcuni bulli nella sua nuova scuola. Gradualmente il giovane entrerà nel mondo delle gang e del crimine organizzato legato al narcotraffico. |
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Critica (1): | Berlino, anno 2006. Michael Polischka si trasferisce da una zona alta e borghese della città a un quartiere proletario. Scaricati dal ricco amante della madre, Miriam e Michael cercano di adattarsi alla nuova condizione: la giovane donna passando per amanti occasionali e quasi sempre squattrinati, il ragazzo cercando di sfuggire alle vessazioni e alle percosse di Errol, un compagno di scuola ripetente con figli a carico che abusa dei più deboli a cui estorce denaro, cellulari, scarpe e vestiti. Le esplosioni di violenza di Errol vengono presto ridimensionate dall'intervento di un cattivo più cattivo di lui, Hamal, un arabo spacciatore di sesso e droga. Finito sotto la sua protezione, Michael comincia a lavorare per Hamal migliorando il suo tenore di vita. Una scelta che, prima o poi, si paga. Come l'Edmund Koeler di Rossellini, Michael è biondo, è tedesco e vive d'espedienti in una sorta di Germania anno zero postmoderna, tra palazzi fatiscenti che ospitano un'umanità multietnica. Per girare il suo film, Detlev Buck ha attraversato le strade dei quartieri più degradati di Berlino, a caccia di adolescenti e delle loro storie. La sua macchina da presa si è mossa tra le macerie morali di una città che in fondo è tutte le città del mondo. È anche Napoli, coi suoi Mario "in guerra" che soccombono perché manca loro un'alternativa, una possibilità, anche solo ridotta, di vincere la guerra. L'investigazione sociale di Buck, contrariamente a quella di Rossellini, non si risolve in una condanna senza appello del giovane protagonista. Lo sguardo di Michael è sempre rivolto al cielo, a un altro 'alto' a cui tendere per resistere; quello di Edmund, nella Germania post bellica, era volto verso il basso, verso un gesto definitivo che lo avrebbe precipitato al suolo, uccidendolo. A morire, nel film di Buck, non è il protagonista ma è comunque un ragazzo che come Edmund è colpevole solo di "non essere duro abbastanza". In questo caso il titolo è più che significativo.
Marzia Gandolfi, mymovies.it |
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Critica (2): | Faccia pulita e aspetto distinto. 15 anni appena compiuti e una vita da ricostruire altrove. Nuovo quartiere, nuovi compagni di scuola, nuove leggi da rispettare. Michael si muove tra la gente che affolla i marciapiedi di Berlino, come fosse uno dei tanti, invisibile pedina nelle mani di un destino già scritto a grandi lettere. Da una tappa all'altra, passando persone, luoghi e culture diverse, senza cambiare espressione, senza lasciare trasparire nulla di sé. È come se non ci fosse altro all'infuori del "qui ed ora", del freddo accadere di un oggi violento, a cui rispondere colpo su colpo, con immediata sfrontatezza. Adesso non importa quello che succederà poi, non serve calcolare, ragionare sulle conseguenze. Bisogna reagire alle provocazioni di un presente difficile, per mantenere un equilibrio che, per quanto fittizio, possa dare l'illusione di una ormai raggiunta tranquillità.
Gli eventi di cui Michael/Polischka (si fa chiamare da tutti per cognome, conservando la sua identità più profonda e personale per relazionarsi con sua madre, amica-nemica nel privato) è spettatore/attore, si susseguono secondo un climax di crescente complessità e angoscia, fino a comporre una ragnatela di filo tagliente, dalla quale sarà impossibile liberarsi. Complice dell'effetto claustrofobico del film, la musica spesso ipnotica che accompagna il protagonista in tutti i suoi spostamenti, dall'abitazione di Crille e Matze al barbiere di Hamal, dalla macchina di Barut fino alla stazione di polizia. Suoni e immagini danno corpo alle sensazioni di Michael, ne costruiscono con accuratezza le diverse facce del suo mondo interiore, diversamente impenetrabile. Parla poco Michael e non è certo facile riuscire a vedere al di là del suo sguardo, sempre impassibile qualunque cosa accada. Arriva dritta al cuore dello spettatore però, la paura che lo invade nel momento dell'ennesima aggressione della banda di teppisti capeggiata da Erol; basta osservarlo mentre attende impotente di essere colpito, nell'interminabile sequenza che filma, da una parte i lenti movimenti della mazza di Erol e, dall'altra, gli inutili tentativi di fuga di Michael.
Tutto il film procede secondo un ritmo costante, tenendo sempre attenta l'attenzione di uno spettatore spesso scioccato dalla violenza delle immagini. Non mancano i momenti di tensione, come la scena finale, in cui i tempi si dilatano pericolosamente, lasciando tutti nell'immobilità più angosciante. Poi l'epilogo: si torna al punto di partenza, per chiudere il cerchio e riaccendere le luci.
Giovanna Canta, sentieriselvaggi.it, 17/7/2006 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Detlev Buck |
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