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Watermelon Man


Regia:van Peebles Melvin

Cast e credits:
Sceneggiatura: Herman Raucher; fotografia: Wallace Kelley; montaggio: Carl Kress; scenografia: Malcolm C. Bert, Sydney Z. Litwack; musica: Melvin Van Peebles; interpreti: Godfrey Cambridge (Jeff Gerber), Estelle Parsons (Althea Gerber), Howard Caine (signor Townsend), D’Urville Martin (conducente del bus), Mantan Moreland (Counterman), Kay Kimberly (Erica), Kay E. Kuter (dottor Wainwright), Scott Garrett (Burton Gerber), Erin Moran (Janice Gerber); produzione: Johanna Productions; distribuzione: Cineteca di Bologna???; origine: Usa, 1970; durata: 97’.

Trama:Assicuratore bianco, classe media, moglie e due bambini, piuttosto bigotto e conservatore, fastidiosamente noto per il flusso inarrestabile delle sue battutacce razziste e sessiste, ossessionato dalla forma fisica: fa ginnastica nella palestra domestica, beve miscugli organici, si sottopone a due lampade abbronzanti al giorno e ogni mattina ingaggia una gara di corsa con l’autobus che porta gli impiegati dai sobborghi al lavoro in città. Si chiama Jeff Gerber e un giorno si sveglia nero. Irrimediabilmente, nonostante usi tutti gli acidi sbiancanti sul mercato e maceri per ore in una vasca piena di latte. Non è stata colpa delle troppe lampade e della troppa soia ingurgitata nei suoi beveroni; forse c’è una ragione genetica.

Critica (1):Comincia così Watermelon Man, opera chiave del cinema afroamericano, che fu diretta nel 1970 da Melvin Van Peebles e che è stata presentata nella versione restaurata da Sony Pictures alla XXXV edizione del Cinema Ritrovato di Bologna. Lo produsse la Columbia, sulla base di una sceneggiatura dello scrittore liberal Herman Raucher, e, volendo un regista di colore, lo affidò a Van Peebles, che aveva già diretto alcuni cortometraggi e un lungometraggio e che rivoluzionò la sceneggiatura, trasformandola da una critica al razzismo latente nei bianchi liberal (come voleva Raucher, e che resta nel personaggio della moglie di Jeff) in una incitazione alla presa di coscienza e alla lotta degli afroamericani.
C’è molto da imparare da Watermelon Man, che elabora il suo percorso dal razzismo più mediocre e borghese alla consapevolezza black senza distaccarsi mai dalla leggerezza della satira. Commedia, se vogliamo, “nerissima”, nella quale provi sulla tua pelle quello che succede quando il suo colore cambia: luoghi consueti che diventano inaccessibili, passanti che urlano al ladro se ti vedono correre, segretarie che ti schivano e altre che invece si aspettano da te prestazioni sessuali eccezionali, un capufficio che passa tutti i tuoi clienti a un collega e ti affida invece una fetta di mercato (nera) inesplorata, fino agli amici e vicini che arrivano a darti 100.000 dollari purché tu te ne vada da quella casa e quel quartiere. Non c’è bisogno che si presenti il Ku Klux Klan alla tua porta perché tu abbia la vita distrutta. E, via via che il tuo abbigliamento cambia dalla flanella grigia a completi più sgargianti, anche la tua testa cambia, e capisci che tutto quell’esercizio fisico e quel logorio mentale puoi indirizzarli verso una causa. Immerso nei colori pop e lucidati degli anni 70, che si fanno più pastosi via via che Jeff si addentra nell’universo black, Watermelon Man dà la percezione precisa delle limitazioni, le storture, le assurdità dell’essere nero in un universo quotidiano bianco. Mai predicatorio, eppure va dritto al punto.
Ci fa ridere di Jeff bianco, e poi di Jeff bianco/nero, finché non riusciamo anche noi ad attraversare, con lui, quel confine cromatico, a essere dalla sua parte, non di testa, ma a pelle. Ridendo, appunto. Far ridere, tra l’altro, era il mestiere del protagonista: Godfrey Cambridge, noto stand-up comedian e attore televisivo e cinematografico, che Van Peebles volle a tutti i costi, mentre la Columbia avrebbe preferito un interprete bianco, poi truccato da nero. Invece, Cambridge, complice l’eccesso di soia e di lampade, fu “sbiancato” nel primo terzo del film, con effetti surreali, accentuati dalla sua comicità fisica. Watermelon Man ebbe un buon successo, tanto che la Columbia offrì a Van Peebles un contratto per altri tre film, che l’autore rifiutò perché voleva che il suo lavoro successivo fosse completamente indipendente. Nacque così Sweet Sweetback’s Baadasssss Song, pietra miliare del cinema black.
Emanuela Martini, cineforum.it, 30/7/2021

Critica (2):Può essere difficile valutare fino a che punto Melvin Van Peebles abbia plasmato il cinema black, e forse è ancor più difficile misurare la sua influenza sugli artisti afroamericani in generale. Van Peebles è diventato una leggenda e il suo successo è stato visto come una testimonianza di tenacia e fiducia in se stessi. Come minimo Van Peebles rappresenta uno sguardo indipendente e pionieristico che ha costretto gli studios di Hollywood a prendere coscienza di un nuovo approccio alla rappresentazione cinematografica degli afroamericani […]. Fin dal suo titolo Watermelon Man provoca una reazione che attinge alla storia razziale americana e agli stereotipi afroamericani. Sceneggiato come una commedia dallo scrittore bianco Herman Raucher, il film intendeva proporre uno sguardo satirico sul presunto progressismo della concezione borghese di eguaglianza. Nel film è evidente la sensibilità di regista indipendente di Van Peebles. Anche se Watermelon Man ha le sue finezze, Van Peebles – che è sia regista, sia autore delle musiche – punta costantemente alla satira attraverso una pesante sperimentazione visiva e sonora. La trama si incentra su un assicuratore bianco della classe media di nome Jeff Gerber (Godfrey Cambridge, all’inizio truccato da bianco). Fanatico razzista e sessista dichiarato, Gerber un mattino si sveglia e scopre di essere diventato nero […]. L’elemento più memorabile del film è l’interpretazione di Cambridge. Chiamato a sfoderare un umorismo fisico e verbale, insieme al pathos di un uomo emotivamente perduto, Cambridge offre un’interpretazione sempre smagliante in un ruolo piuttosto enigmatico. Per quanto riguarda le specifiche scelte registiche […], una di queste riguarda la metafora visiva del ‘nero che corre’ […]. L’immagine del ‘nero che corre’ ha sia un significato storico (la fuga dalla schiavitù verso la libertà), sia un significato politico (i neri che fuggono dall’egemonia razziale) e serve efficacemente a rivelare i fardelli imposti ai neri da un sistema che non smetterà mai di qualificare e punire il loro essere neri.
Melvin Donaldson, Black Directors in Hollywood, University of Texas Press, Austin 2003
(dal sito di Il Cinema Ritrovato)

Critica (3):Geniale commedia del leggendario maestro del cinema afroamericano indipendente Melvin Van Peebles, è il suo primo film americano e l’unico prodotto da una major. Protagonista è Jeff Gerber, un assicuratore bianco della media borghesia, dichiaratamente razzista e sessista, che una mattina scopre d’essersi trasformato in un nero. Satira acuminata del razzismo e degli stereotipi imperanti nella società americana, si trasforma gradualmente nel ritratto di una presa di coscienza. Memorabile interpretazione di Godfrey Cambridge, attore afroamericano che nella prima parte del film, con un ribaltamento ironico della pratica del blackface, è chiamato a interpretare un bianco.
ilcinemaritrovato.it

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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