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Chien andalou (Un) - Chien andalou (Un)


Regia:Buñuel Luis

Cast e credits:
Sceneggiatura: Luis Buñuel, Salvador Dalí; fotografia: Albert Duverger; musiche: Tristano e Isotta di Wagner e tanghi Argentini; interpreti: Pierre Batcheff, Luis Buñuel, Salvador Dalí (il giovane, Jaime De Miravilles), Simone Mareuil (la ragazza); produzione: Ddss Buñuel (Francia); distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Francia;1929; durata:17.'

Trama:Ideato a quattro mani con Salvator Dalì, l'opera d'esordio del grande Buñuel raccoglie avvenimenti legati da una sorta di relazione onirica, senza un apparente nesso. Diventato celebre per alcune sequenze chiave. L'occhio tagliato da un rasoio, la mano piena di formiche e le mani del protagonista che carezzano i seni e le natiche della donna. Viene anche trascinato un pianoforte con due asini morti e due preti legati a delle funi. Uno dei due è Dalì.

Critica (1):È il primo film di Buñuel: circa 17 minuti di proiezione. Lo produsse lui stesso, con denari di sua madre. Gli si addice, secondo gli schemi classificatori della pratica cinematografica, la qualifica di cortometraggio sperimentale. Ma è anche qualcosa (molto) di piú. È un film surrealista, riconosciuto e accettato da Breton, che invece rifiutava La coquille et le clergyman (1926) di Germaine Dulac ("si tratta soltanto di un saggio estetico"). Del resto, Buñuel si attenne - nel realizzare Un chien andalou - alla definizione "ufficiale" del surrealismo, inteso come "un automatismo psichico inconscio capace di restituire alla mente la sua reale funzione, fuori di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, dalla morale o dalla estetica".
Ne consegue, anzitutto, il carattere estremistico del film. Non ci sono cani (né andalusi né di altre province): il titolo, suggerito da Dalí, riproduce quello di una raccolta poetica di Buñuel. Non c'è, in apparenza, una linea narrativa. C'è, invece, la visualizzazione di alcuni processi inconsci. Quanto siano connessi surrealismo e psicoanalisi è noto. Il film si avvale della materia e dei meccanismi dei sogni per cucire "illogicamente" una serie di associazioni mentali e ricavarne un effetto di choc sullo spettatore. Se ci riesca, e in che misura, è questione demandata non solo alla psiche di ognuno (giacché ognuno reagisce diversamente) ma anche alle tendenze delle varie epoche in cui il film è stato proiettato (non tutte le epoche, e non tutte le situazioni culturali, hanno assunto un atteggiamento univoco dinanzi al surrealismo). Un chien andalou non potrà non essere oggetto di polemiche, domani come lo fu ieri (nonostante lo strepitoso successo che ebbe: dopo la "prima", avvenuta nell'aprile del 1926 al parigino Studio des Ursulines, tenne il cartellone per nove mesi allo Studio 28).
Raccontare il film non significa nulla, ma il racconto (compresso e falsato, perché ogni inquadratura "scoppia" di segni) è questo. Un uomo affila un rasoio e taglia, in una notte di luna, un occhio di donna. Un giovanotto abbigliato in modo stravagante percorre in bicicletta una via: ha sul petto una scatola con il coperchio a strisce. Una donna lo vede dalla finestra, scende, lo bacia. Nella stanza della donna, lo strano abbigliamento del giovane è disposto sul letto. Una mano del giovanotto ha un buco al centro, pieno di formiche. Un'ascella di donna. Un riccio di mare. Dall'alto si vede una ragazza dai tratti mascolini che tocca con un bastone una mano tagliata. Un poliziotto le consegna la scatola col coperchio a strisce. La coppia nella stanza. Lui le salta addosso, le stringe i seni (in dissolvenza li si vede nudi). Poi trascina due pianoforti (che contengono asini morti) e due preti. La ragazza fugge, lui la insegue. Gli resta la mano intrappolata fra i battenti della porta, ancora piena di formiche. Il giovanotto è sul letto, vestito come prima. Entra un altro giovane, ma scopriamo che è lo stesso. Prende due libri, che si trasformano in pistole. Spara, uccide l'altro (cioè se stesso). Il cadavere in un bosco. La ragazza rientra nella stanza, vede una farfalla "testa di morto". Rivede lui, che si passa una mano sulla bocca e la "cancella". Su una spiaggia deserta la ragazza e il suo innamorato trovano gli strani indumenti e la scatola. Raccolgono, guardano e gettano via.
Le pulsioni dell'inconscio provocano le saldature fra gli oggetti e i gesti, determinano le apparizioni, le sparizioni e le sostituzioni. Il desiderio può realizzarsi solo dopo molte prove. O mai. Il desiderio, oppure la libertà. Un chien andalou è una violenza assoluta contro una realtà (sociale, psichica, morale) che della violenza si nutre. Il senso di questa violenza sul reale può essere interpretato in vari modi: l'essenziale è esercitarla, sino in fondo.
Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondadori,1978

Critica (2):«Questo film nacque dall'incontro fra due sogni. Appena giunto a Figueras, da Dalí, invitato a passarci qualche giorno, gli raccontai che avevo sognato da poco una nuvola lunga e sottile che tagliava la luna e una lama di rasoio che spaccava un occhio. Lui mi raccontò che la notte prima aveva visto in sogno una mano piena di formiche. Aggiungendo: "E se dai due sogni ne cavassimo un film?" La sceneggiatura fu scritta in meno di una settimana secondo una semplicissima regola adottata di comune accordo: non accettare alcuna idea, alcuna immagine in grado di portare a una spiegazione razionale, psicologica o culturale. Aprire le porte all'irrazionale. Accogliere soltanto le immagini che ci colpivano, senza cercar di capire perché. Tra noi non ci fu mai la minima contestazione. È stata una settimana di identificazione totale. Uno diceva, per esempio: "L'uomo trascina un contrabbasso". "No" diceva l'altro. E quello che aveva proposto l'idea accettava subito il rifiuto. Lo sentiva giusto. In compenso, quando l'immagine proposta da uno veniva accettata dall'altro, ci sembrava immediatamente luminosa, indiscutibile e la scrivevamo seduta stante. Quando la sceneggiatura fu terminata, mi resi conto che si trattava di un film assolutamente inconsueto, provocatorio, che nessuna produzione normale avrebbe mai accettato. Ragione per cui chiesi a mia madre una certa somma per poterlo produrre in proprio. Convinta grazie all'intervento del notaio, mi diede il denaro richiesto. [...]
Il surrealismo fu innanzitutto una specie di appello raccolto qua e là, negli Stati Uniti, in Germania, in Spagna, in Jugoslavia, da gente che già praticava una forma di espressione istintiva e irrazionale ancora prima di conoscersi. Le poesie che avevo pubblicato in Spagna, prima di sentir parlare del surrealismo, sono una testimonianza di questo appello, che ci faceva convergere tutti verso Parigi. Anche Dalí e io, quando lavoravamo a Un chien andalou, si praticava una specie di scrittura automatica: eravamo dei surrealisti, senza etichetta. (...) Dopo la "prima trionfale" di Un chien andalou il film fu acquistato da Mauclair dello "Studio 28" che mi diede subito mille franchi e poi, dato che il film aveva un grande successo (rimase in cartellone per otto mesi), ancora mille e altri mille ancora. Sette o ottomila in tutto credo.
Una cinquantina di persone si presentarono al commissariato di polizia per sporgere denuncia affermando: "Bisogna proibire quel film osceno e crudele". Era l'inizio di una lunga serie di insulti e minacce, che mi ha perseguitato fino alla vecchiaia. Ci furono perfino due aborti durante le proiezioni dei film. Pure, il film non venne proibito.
Accettando una proposta di Auriol e Jacques Brunius, avevo dato a "La Revue du Cinéma", edita da Gallimard, il permesso di pubblicare la sceneggiatura. Non sapevo quello che facevo.
Ed ecco come andò: la rivista belga "Variétés" aveva appena deciso di dedicare un intero numero al movimento surrealista. Eluard mi chiese di pubblicare la sceneggiatura su "Variétés". Dovetti dirgli che ero molto spiacente, ma l'avevo appena consegnata a "La Revue du Cinéma". E fu l'origine di un incidente che fece nascere in me un problema di coscienza particolarmente grave, e che può chiarire in concreto la mentalità e lo stato d'animo surrealista. Qualche giorno dopo la mia conversazione con Eluard, Bretón mi domandò: – Buñuel, può venire da me questa sera, per una piccola riunione?.
Dissi di sì, senza alcun sospetto, e trovai tutto il gruppo al completo. Si trattava di un processo in piena regola. Aragon faceva con grande autorità la parte del pubblico ministero, accusandomi pesantemente di avere ceduto la sceneggiatura a una rivista borghese. Tra l'altro, il successo commerciale di Un chien andalou cominciava a sembrare alquanto sospetto. Com'è che un film così provocatorio riusciva a riempire la sala? Qual era la mia spiegazione?
Solo, di fronte a un gruppo riunito, stentavo parecchio a difendermi. Tanto che ad un certo punto Breton mi domandò: - Ma sta con la polizia o con noi?
Mi trovavo davanti a un dilemma veramente drammatico, anche se oggi gli eccessi dell'accusa possono suscitare un sorriso. [...]
Alla fine domandai ai miei nuovi amici cosa dovevo fare.
"Proibisca a Gallimard di pubblicare il testo" mi risposero. Già, ma come vedere Gallimard? Come parlargli? Non sapevo neanche dove stava. "L'accompagnerà Eluard" mi disse Breton.
Ed eccoci entrambi da Gallimard, Eluard e io. Dico che ho cambiato idea, che rinuncio alla pubblicazione della sceneggiatura. Risposta: ma neanche per sogno, ha dato la sua parola. E il direttore della tipografia aggiunge che la composizione è già stata ultimata. Ritorno dagli amici e resoconto. Nuova decisione: devo procurarmi un martello, tornare da Gallimard e distruggere i piombi nella tipografia. Sempre accompagnato da Eluard torno da Gallimard, con un grosso martello nascosto sotto l'impermeabile. Questa volta è veramente troppo tardi. La rivista è già stampata. I primi numeri sono appena stati distribuiti.
La decisione ultima fu che la rivista "Variétés" avrebbe pubblicato ugualmente la sceneggiatura di Un chien andalou (il che avvenne) e che avrei spedito a sedici giornali parigini una lettera "di protesta indignata", affermando di essere vittima di un'infame macchinazione borghese. Sette o otto giornali pubblicarono la lettera. Per buona misura, scrissi su "Variétés" e "La Révolution surréaliste" un pezzo nel quale dichiaravo che il film era ai miei occhi nient'altro che un pubblico appello all'assassinio.»
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Milano, Rizzoli

Critica (3):

Critica (4):
Luis Buñuel
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