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No smoking - No smoking


Regia:Resnais Alain

Cast e credits:
Soggetto
: dalla commedia teatrale “Intimate Exchanges” di Alan Ayckbourn; sceneggiatura: Jean-Pierre Bacri, Agnes Jaoui; fotografia: Renato Berta; musica: John Pattison; montaggio: Albert Jurgenson; interpreti: Sabine Azèma (Celia, Rowena, Sylvie, Irene, Josephine), Pierre Arditi (Toby, Miles, Lionel, Joe); produzione: Alia Film / Arena Films / Vega Film / Camèra One / France 2 Cinéma; origine :Francia, 1993/94; durata: 140'.

Trama:“No Smoking” inizia allo stesso modo, ma Celia Teasdale quella sigaretta decide di non fumarla.

Critica (1):[...] Resnais, sulla scorta di alcuni testi teatrali (“Intimate Exchanges”) dell’inglese Alan Ayckbourn, crea un luogo narrativo (potenzialmente) illimitato. Giocoliere del racconto, da sempre restìo ad accettare confini e costrizioni nel continuo spazio-temporale del suo cinema, Resnais si lancia in un parossistico labirinto narrativo che (apparentemente) apre la rigidità del racconto verso abissi di infinità. Smoking e No smoking possono essere visti nell’ordine che si preferisce, prima l’uno oppure prima l’altro: tanto, cambiando l’ordine degli addendi, la somma narrativa non cambia. Siamo in Inghilterra, in un tipico e soffocante villaggio dello Yorkshire, fornito di chiesa cimitero scuola ristorante indiano. (In realtà siamo su un palcoscenico-set, che Resnais, incallito metteur en scène, ci offre come tale). Ci sono il preside della scuola, sua moglie, sua suocera, la donna che fa le pulizie in casa del preside, la vicepreside, l’amico del preside, la moglie dell’amico del preside, il custode della scuola, il padre paralitico del custode della scuola (e tutti i personaggi sono interpretati da Sabine Azéma e Pierre Arditi.) Ordinate le pedine sulla scacchiera, si fa la prima mossa. In Smoking, la moglie del preside esce in giardino, si accende una sigaretta e le cose prendono una certa piega; in No smoking, l’apertura, per usare un termine scacchistico, è diversa: la signora esce in giardino, decide di non accendere la sigaretta e il mondo va da un’altra parte. C’è dunque un big bang narrativo da cui tutto ha inizio: la signora che esce in giardino; e c’è un narratore demiurgo innamorato, d’un amore impossibile, di tutte le storie possibili, non solo di quelle che ci racconta ma anche di tutte le altre che avrebbe potuto raccontarci. Celia Tesadale esce di casa e si mostra sul palcoscenico-set. Dopo cinque secondi, si incontra la prima biforcazione: fumare o non fumare. Presa una strada, cinque giorni dopo, si incontra un altro bivio; cinque settimane dopo, un altro ancora; cinque anni dopo, un provvisorio punto di arrivo oltre il quale Resnais non si azzarda a procedere. Gli ou bien ( ad ogni ritorno all’indietro del racconto per riprendere la strada prima scartata appare la scritta ou bien), gli oppure, i se invece finiscono qui. Il racconto infinito non può ancora esistere (ma in colonna sonora Resnais ha messo la quarta sinfonia di Carl Nielsen, “L’inestinguibile”). Resnais ha disegnato in uno schema ad albero il percorso esplorato dal film: l’inizio e le due strade, che cinque giorni dopo diventano quattro, che cinque settimane dopo sono sei (due vengono lasciate cadere), che cinque anni dopo portano a dodici situazioni conclusive. In tutto: 25 posizioni. C’è di che perdersi in questo kamasutra narrativo; e infatti ci si perde dentro l’albero delle storie, nessuna delle quali ci viene data per “vera”. Il nostro narratore non ci concede di sapere quale sia l’itinerario privilegiato, quello che potrebbe servire da termine di confronto per tutti gli altri. I percorsi diventano così tutti possibili ou bien provvisori. Le troppe storie ci rintronano. Il narratore è onnipotente e noi ci sentiamo abbandonati. Non sappiamo come sono davvero andate le cose, non possiamo paragonare ad un percorso “vero” tutti gli altri soltanto “possibili”: il risultato è la sensazione che tutto è sempre uguale in qualsiasi modo le cose vadano (in uno dei 25 modi che i film gemelli mostrano, o in uno degli altri infiniti modi che non ci vengono raccontati ma che siamo lasciati liberi di immaginare). La più completa libertà narrativa, invece che al regno di cuccagna dove tutte le storie sono a nostra disposizione, ci conduce alla confusione e allo stordimento. Eppure un vincitore c’è: ed è il luogo dove le storie avvengono, un luogo che è palcoscenico e insieme (ou bien) set cinematografico. Anche su questo, sulla indistinzione tra teatro e cinema, Resnais non decide. Il giardino di casa Teasdale (che non è l’unico luogo delle narrazioni ma è quello che torna più spesso) è il vincitore vero della sfida, spazio infinito e insieme (ou bien) stretta prigione di tutte le storie. Ancora una volta, e lo fa da sempre, Resnais assegna la vittoria al cinema (ou bien al teatro). (Questo ou bien non è dunque una particella disgiuntiva, il segno di una opposizione, quanto piuttosto il segnale della congiunzione e dell’affiancamento di mondi e storie. Resnais non istituisce rigidi confronti tra storie incompatibili. E regista allegro e bizantino che suggerisce possibilità).
Bruno Fornara, Cineforum n. 333 aprile 1994

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Alain Resnais
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