Ultimo pastore (L')
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Regia: | Bonfanti Marco |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Marco Bonfanti; fotografia: Michele D'Attanasio; musiche: Danilo Caposeno - canzoni: "Pastore di nuvole" di Luigi Grechi e Guido Guglielmetti; “Daddy Lollo" de I Figli di Madre Ignota; "Ecm Haircuts" di Teho Teardo; "Nocturne no.2 in e flat, op.9 no.2 di Chopin" interpretata da João Pires; montaggio:Valentina Andreoli; suono: Claudio Bagni; interpreti: Renato Zucchelli, Piero Lombardi, Lucia Zucchelli, Gottardo Zucchelli, Giovanni Zucchelli Margherita Zucchelli, Domenico Zucchelli, Patrizia Frisoli (maestra), Hedy Krissane (macellaio), Barbara Sorrentini, Don Paolo Galli (prete); produzione: Franco Bocca Gelsi, Anna Godano per Gagarin-Zagora; distribuzione: Istituto Luce-Cinecittà; origine: Italia, 2012; durata: 76’. |
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Trama: | Renato Zucchelli è l'ultimo pastore rimasto in una metropoli come Milano, conduce una vita libera che si configura come una vera e propria 'fiaba arcaica', dove tutti i personaggi vivono felici nel veder realizzati i propri sogni, in un mondo, però, ormai lontano dalla maggior parte di noi. Renato ha un sogno: portare il suo gregge nel centro della città, in Piazza Duomo, per mostrarlo ai bambini... |
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Critica (1): | Nell'ottobre 2011 settecento pecore arrivano in piazza del Duomo, per la gioia dei bambini. A incoraggiare il pastore Renato Zucchelli ad avventurarsi nella metropoli è un giovane regista, Marco Bonfanti, che desidera girare un film su di lui. Nasce così L'ultimo pastore (…).«Qualcuno mi aveva detto di avere visto le pecore a Lambrate, lungo la Martesana. Sono andato alla loro ricerca e alla fine ho trovato Renato», racconta Marco, laureato in beni culturali, regista autodidatta con due corti pluripremiati alle spalle. «All'inizio era diffidente, pensava che fossi di "Striscia la notizia". Poi mi ha dato un contatto telefonico con sua moglie. Dopo due o tre mesi, li ho convinti a farsi riprendere. Gli piaceva che volessi girare una specie di fiaba. Renato è un uomo che ha realizzato il suo sogno. Si trattava di portarlo ai bambini milanesi».«All'inizio del film», continua Bonfanti, «Renato è un po' Don Chisciotte e un po' un ciclope. Alla fine è un bambino, un orco buono. Alla proiezione al festival di Tokyo, hanno paragonato Renato al Totoro di Miyazaki: uno spirito della natura che solo i bimbi possono vedere». Zucchelli, che vive tra le valli bergamasche e l'hinterland milanese, è un uomo libero che ama i film e le canzoni di Celentano. «È un resistente. Sa che il suo mestiere sta scomparendo, ogni anno ha meno prati. È anche uno degli ultimi quindici-venti al mondo che parlano il gaì, una lingua pre-medioevale di pastori, ma anche di vagabondi che non volevano farsi capire dagli altri». Nel film si scopre che Renato ha una famiglia molto normale. «La moglie è una persona straordinaria. È lei che si occupa di burocrazia e permessi, e di "proteggere" il marito».Che rapporto c'è stato con Renato? «Molto bello, fatto di poche parole; ci si capiva senza tanti discorsi. Quando ha visto il film ha detto solo: "Pensavo sarebbe stato più difficile". Io invece ci ho messo un anno a girarlo». Il film è stato invitato a Tokyo, Toronto, Dubai, Torino, e ora anche al Sundance. «La sparizione della tradizione, l'accelerazione del progresso sono temi che toccano tutto il mondo occidentalizzato. Spesso mi chiedono fin dove la storia di Renato è vera. Di mio ho solo cercato di metterci un po' di speranza. È il motivo per cui spesso ho gli spettatori commossi e felici».
Alberto Pezzotta, Corriere della Sera, 13 dicembre 2012 |
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Critica (2): | La fiaba del pastore che portò un gregge di 700 pecore in piazza Duomo a Milano. È L’ultimo pastore di Marco Bonfanti in prima italiana, dopo il successo al Festival di Tokyo, al Torino Film Festival nella sezione Festa mobile e presto nelle sale distribuito da Cinecittà Luce. Uno degli ultimi pastori transumanti lombardi, Renato Zucchelli, che d’estate fa pascolare il suo gregge nelle valli bergamasche e d’autunno si muove nell’hinterland di Milano a cercare terreni incolti e prati non falciati. Un quarantacinquenne cresciuto in una famiglia, “normale”, stanziale, che a 17 anni ha vinto le resistenze della madre e ha deciso di seguire una strada quasi del tutto abbandonata. Ora è sposato con Lucia e ha quattro figli, dai 4 ai 16 anni. Bonfanti ne racconta la storia mescolando finzione e documentario, senza stare troppo a sottolineare cos’è reale e cos’è creato, in un modo molto moderno di intendere il cinema del reale. Così, sentite alla radio le voci di bambini che non conoscono dal vero gli animali, l’uomo decide di portare da loro pecore e agnelli. Corpulento ed energico, le grandi mani di chi lavora, le parole sincere di chi sta a contatto con la natura, Zucchelli ha una sana dose di ingenuità e un tocco di utopia. Caratteristiche che diventano anche quelle del film, in positivo. Con immagini bellissime, sequenze montate a ritmo di musica con il gregge che si muove come onde bianche sui sentieri erbosi o sembra che danzi tra le auto e nelle anonime strade delle periferie grigie. Dietro il lavoro registico c’è molto pensiero ma niente intellettualismi, regista e protagonista sono uniti da una forza e una passione che vincono ogni retorica. Anche la Lombardia che sta cambiando e il film lo coglie e ricorda: gli immigrati musulmani sono diventati i maggiori acquirenti di ovini, mentre strade e capannoni consumano sempre di più la terra disponibile e il piccolo Domenico si troverà da adulto un paesaggio ancora più modificato. Si scopre (o si riscopre) un mondo, ma si ride anche, con la presenza spesso muta di Piero, il socio di Renato: quando divorziò scrisse sulla roulotte “sono un libero cittadino, cerco compagna” e gli amici la trainarono per le strade a fargli pubblicità. Zucchelli ha il candore e lo sguardo del bambino e la determinazione dei sognatori, la moglie Lucia è la fida compagna di sogni (…).Un’opera prima molto riuscita, nonostante tutto speranzosa i cui molti meriti surclassano i piccoli difetti (qualche lungaggine e ripetizione nella parte più di finzione). Un film che raggiunge il cuore di chiunque.
filmagazine.it |
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Critica (3): | "Per me è meglio un giorno da pecora che cento da leone, perché la pecora ha l'istinto di seguire il gruppo a testa bassa ma preso da solo è un animale molto intelligente". Così Renato Zucchelli parla delle sue amiche pecore ne L'ultimo pastore, la docu-fiction che racconta la storia del quarantacinquenne pastore bergamasco, uno degli ultimi pastori nomadi ancora attivi in Italia, l'unico ad essersi guadagnato l'aggettivo di 'metropolitano'. Una vita divisa tra le vette delle montagne e la provincia milanese, Renato non si è ancora stancato di esercitare il mestiere antico che aveva sempre voluto fare sin da bambino. Nonostante le difficoltà di farlo convivere con la modernità e con l'urbanizzazione selvaggia che ha sostituito prati e pascoli, Renato non ci pensa minimamente a mollare la sua attività. Incoraggiato e sostenuto moralmente dalla moglie, che in sua assenza deve badare a ben quattro figli, l'ultimo pastore cerca di trovare percorsi alternativi compatibili con le transumanze del suo gregge e si aggira con entusiasmo ancora oggi, nella Milano del 2012, con negli occhi la soddisfazione di aver realizzato un sogno.
Con il suo sguardo rassicurante ed il suo sorriso sincero, il ciclopico Renato ci accompagna in questo viaggio tra le montagne e i grattacieli di Milano insieme al suo cane Neru e al suo socio, un amico burbero e strillone che chiama e litiga di continuo con un cane immaginario. Il trentaduenne regista e sceneggiatore milanese Marco Bonfanti, al suo esordio nel lungometraggio, riflette sul concetto di libertà nel nostro secolo disegnando il ritratto di un uomo rassicurante e semplice, una persona di forti sentimenti e dallo sguardo stralunato che è l'emblema di un mondo fantastico rimasto sospeso tra modernità e tradizione. Col suo gregge al seguito Renato è pronto ad invadere la grande metropoli solo per far in modo che i bambini del XXI secolo possano conoscere la figura del pastore ed apprezzare i valori importantissimi del suo mestiere: dedizione, passione e sacrificio.
Docu-favola stravagante e colorata dai toni allegri e spensierati, L'ultimo pastore si distingue per lo sguardo incantato e sognante e per la bellissima colonna sonora originale, ad opera di Danilo Caposeno, che evoca atmosfere surreali e romantiche che trovano la giusta celebrazione nella scena finale, quella che ha fatto tanto parlare e che ha portato più di settecento pecore a spasso per piazza Duomo a Milano tra lo sbigottimento dei bambini e dei passanti. Un piccolo film indipendente capace di far sognare, di mettere in luce come la nostra presunta normalità spesso si costruisca su uno stravolgimento delle nostre radici e dei nostri bisogni reali e di mostrarci gli enormi limiti di una società che ha scambiato la felicità col progresso perdendo progressivamente il contatto con il suo passato. Significativa a questo proposito la risposta di uno dei bambini intervistati nel film, che alla domanda "se incontrassi un pastore cosa vorresti chiedergli?" replica ingenuamente "vorrei sapere come fa a portare tutte le mattine il latte al supermercato".
A cura di Luciana Morelli, movieplayer.it |
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Critica (4): | Un’opera prima di spettacolare, vivissima autenticità, capace di restituire intero il sapore arcaico di cielo e terra, poesia in immagini che, attraverso un’efficace commistione di realismo e fiaba, trasforma un uomo fiero del proprio sogno “impossibile” in un personaggio dal valore eroico, simbolo di speranza e monito ad abbattere tutte le barriere fra terra ed asfalto che hanno allontanato la vita delle metropoli dalla natura. Protagonista del docu-fiction è Renato Zucchelli, ultimo pastore nomade della Lombardia che ha scelto il suo lavoro assecondando il sogno – quasi anacronistico per un uomo nato nella provincia milanese – di vivere circondato dalla natura, accanto agli animali. Il regista, per realizzare una scena del lungometraggio, porta un gregge di oltre settecento pecore in Piazza del Duomo a Milano il primo ottobre 2011.
L’ultimo pastore è un canto d’immagini e musica che accompagna per le strade di Milano l’incedere eroico di un gregge assieme al suo pastore, un canto di genuina e romantica dolcezza intonato alla bellezza primigenia di un mondo che sta per scomparire ed essere dimenticato. Il cuore della messa in scena diviene, in un crescendo emotivo – esaltato dalla bellissima colonna sonora di Danilo Caposeno – la purezza del luogo incontaminato: il luogo inteso sia come spazio fisico che ospita le ricchezze naturali della terra, sia come spazio spirituale abitato da un’anima innocente, che permette ai bambini di percepire il mondo attraverso l’istinto ed amare in modo empatico tutte le creature.
Il sogno di Renato è dunque – attraverso la riconciliazione della vita urbana con quella pastorale – il simbolo di una necessità atavica che le barriere del progresso tecnologico, pur annullandola, non hanno mai distrutto, una speranza che i cuccioli dell’uomo cercano e sognano ancora nelle città di cemento e che questa favola vera veicola in modo fortissimo.
Renato oltrepassa il cemento e l’asfalto per ricondurre il valore della terra fino agli occhi e alle mani dei bambini, diviene Pastore di nuvole (canzone scritta e interpretata da Luigi Grechi), Don Chisciotte del terzo millennio che, solo attraverso la semplicità, riesce a sovvertire l’ordine imposto dalle contingenze.
sentieriselvaggi.it |
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