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Quattro volte (Le)


Regia:Frammartino Michelangelo

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Michelangelo Frammartino, fotografia: Andrea Locatelli; montaggio: Benni Atria, Maurizio Grillo; scenografia: Matthew Broussard; costumi: Gabriella Maiolo: produzione: Gregorio Paonessa e Marta Donzelli per Vivo Film-Susanne Marian e Philippe Bober per Essential Filmproduktion-Gabriella Manfre' per Invisibile Film-Elda Guidinetti e Andres Pfaeffli per Ventura Film, in associazione con Altamarea Film-Caravan Pass; distribuzione: Cinecitta' Luce; origine: Italia-Svizzera-Germania, 2010; durata: 88’.

Trama:Sullo sfondo panoramico della Calabria Jonica si intrecciano quattro episodi, frammenti in realtà di un'unica storia. Quella di un'anima che attraversa in successione quattro vite: un vecchio pastore che vive i suoi ultimi giorni; la nascita e le prime settimane di vita di un capretto fino al primo pascolo; la vita di un abete nel corso delle stagioni; la trasformazione del vecchio abete in carbone attraverso il mestiere dei carbonai.

Critica (1):Fa sorridere che un film italiano, muto e decisamente anticonvenzionale, faccia più chiasso di un Draquila. Ovviamente è un paradosso, ma la copertina di “Le film français” prima e l'entusiasmo degli applausi dopo l'anteprima di domenica, hanno portato Le quattro volte di Michelangelo Frammartino (...) nella ristretta categoria delle cose migliori del festival. (...) Tra momenti strazianti (l'ultimo fotogramma del capretto), emozionanti (la sua nascita), persino comici (la fuga del gregge a causa di un cane monello), sentiamo quest'opera prendere forma con una grazia e una forza sorprendenti e intensi, con un bel lavoro alla macchina da presa – si veda il piano sequenza centrale – e in scrittura. Sarà anche difficile entrare nel film, svestirsi delle abitudini visive e narrative che abbiamo, seguire un tipo di cinema a cui lo spettatore non è abituato e che impone un livello alto di attenzione e disponibilità. Ma poi ti lascia dentro qualcosa di profondo, inspiegabile, dolce. Una presa di contatto con qualcosa che ormai abbiamo dimenticato, il senso profondo ed elementare della vita, forse. Frammartino è un ottimo regista, ma qui c'è qualcosa in più: un fascino inevitabile, racchiuso in quell'invisibile che il cineasta cerca con ostinazione.
Boris Sollazzo, Liberazione, 19/5/2010

Critica (2):Prendiamo a prestito una calzante affermazione altrui: Caulonia per Michelangelo Frammartino è come la Monument Valley per John Ford. L'uomo che si eclissa dentro al paesaggio, al luogo, alla terra diventandone oggetto paritario, poi finendo a bordo quadro, infine fuori campo o fuori vista. Le quattro volte spezza i legami con la classicità antropocentrica del cinema occidentale dialogato, ponendo al centro dell'obiettivo, in totale ed ancestrale silenzio (Paolo Benvenuti al suono), il ciclo naturale uomo-animale-vegetale-materia. Il pastore, la capra, l'albero, il carbone di Caulonia, Messandra del Carretto, Serra San Bruno (sudest della Calabria). L'anima trasmigra da un contenitore esteriore all'altro e la regia di Frammartino più che testimoniarne il passaggio, diventa occhio intermediario tra la materia inquadrata e la forma che essa prende nel trasformarsi. Cinema senza protagonisti e protagonismi, rigoroso rispetto al canone estetico di purezza di sguardo, come i primi documentari di Vittorio De Seta o l'asinello Balthazar di Bresson.
Davide Turrini, Liberazione, 28/5/2010

Critica (3):(...) Il 29 dicembre scorso, trascinato da un'entu­siastica, intera pagina, con richiamo in prima, dedicatagli da LeMonde, è uscito nelle salefrancesi Le quattro volte, capola­voro della stagione 2010 a firma Michelangelo Frammartino. Uscito in Italia al­la chetichella, appena dopo l'eccellente accoglienza alla Quinzaine di Cannes lo scorso maggio, Le quattro volte si è dota­to di un solido distributore internazio­nale come Le film du Losange (Haneke, Ioseliani e Rivette tra le sue punte di dia­mante) e da quindici giorni veleggia su trentacinque schermi francesi, di cui ben cinque pargini: «solo nella prima setti­mana abbiamo avuto più di quindicimi­la ingressi. Numeri che ci aspettavamo da Le film du Losange –racconta Fram­martino – la cosa che però mi ha vera­mente stupito è che Coproduction offi­ce, il venditore internazionale, ha ven­duto il film in più di cinquanta paesi”. (...)
(...) “Capisco che il film risulti strano e quin­di sono contento che l'istituto Luce ab­bia avuto il coraggio, comunque, di di­stribuirlo. Magari avevano il timore che il film non venisse capito e hanno cercato di investire sul fatto che è un film liri­co, legato alla campagna. Le film du Lo­sange investe più sul linguaggio. Sono scelte del singolo distributore.
(...) M'ha stupi­to tantissimo vedere una finestrella con la foto del mio pastore sulla prima pagi­na di Le Monde. Mi è sembrato che in Francia avere un'identità particolare sia considerato una ricchezza e non un'anomalia o una stranezza che fa inti­morire gli esercenti o i critici. Le piccole cose con identità forte, che magari pos­sono migliorare in futuro, sono una ri­sorsa a cui viene dato spazio in sala e sul­la stampa, nonostante mandino colos­si distributivi a spingerli Mi sembra che lì ci sia un vero interesse culturale".
(...) “Questo tipo di cinema, o quello alla Pietro Marcello de La bocca del lupo, è così intriso di realtà, fatto di viaggi, permanenze, di anni di vita che conduci in determinati luoghi lontano da casa. Non è il classico lavoro al tavo­lo di scrittura che dura qualche mese, con i tuoi fondi di sviluppo nel cassetto. È più complicato. Le strategie e gli iter produttivi standard ancora non preve­dono una forma di finanziamento che rispetti le modalità così inconsuete di questo cinema.”
Davide Turrini, intervista al regista in Liberazione, 13/1/2011

Critica (4):
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