Peterloo
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Regia: | Leigh Mike |
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Cast e credits: |
Soggetto: Mike Leigh; sceneggiatura: Mike Leigh; fotografia: Dick Pope; musiche: Gary Yershon; montaggio: Jon Gregory; scenografia: Suzie Davies; arredamento: Charlotte Dirickx (Charlotte Watts); costumi: Jacqueline Durran; effetti: Nick Rideout, George Zwier; suono: Lee Herrick; interpreti: Rory Kinnear (Henry Hunt), Maxine Peake (Nellie), Pearce Quigley (Joshua), David Moorst (Joseph), Rachel Finnegan (Mary), Tom Meredith (Robert), Simona Bitmate (Esther Ogden), Robert Wilfort (Lord Liverpool, il Primo Ministro), Karl Johnson (Lord Sidmouth, Ministro degli interni), Sam Troughton (Mr. Hobhouse), Roger Sloman (Mr. Grout), Kenneth Hadley (Mr. Golightly), Alastair Mackenzie (Generale Sir John Byng), Neil Bell (Samuel Bamford), Lisa Millett (Jemima Bamford), Tim McInnerny (Il Principe reggente), Victoria Moseley (Susannah Saxton);
produzione: Georgina Lowe per Bfi Film Fund, Film4, Thin Man Films; distribuzione: Academy Two; origine: Gran Bretagna-Usa, 2018; durata: 154’. |
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Trama: | Manchester, 16 agosto 1819. La storia del massacro di Peterloo, in cui la cavalleria britannica sparò contro una folla di manifestanti, durante un comizio che chiedeva la riforma elettorale al parlamento britannico. |
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Critica (1): | I fatti, prima di tutto, poco noti fuori dall’Inghilterra: il 16 agosto 1819, in località St. Peter’s Field, a Manchester, la cavalleria uccise quindici persone, fra cui un bambino, durante un’assemblea formata principalmente da operai e organizzata dalle forze politiche riformatrici per richiedere il suffragio universale e il diritto alla rappresentanza in Parlamento di ogni regioni dell’Inghilterra. L’eco dei fatti fu tale che i giornali locali e quelli di Londra, in riferimento alla battaglia di Waterloo che quattro anni prima aveva dato agli inglesi la vittoria su Napoleone, crearono l'espressione “il massacro di Peterloo”: il momento da cui oggi si comincia a datare l’inizio della lunga battaglia per i diritti che 99 anni più tardi, nel 1918, avrebbe portato al suffragio universale maschile (e femminile, per le donne oltre i 30 anni) e nel 1928 a quello femminile esteso a tutte le donne maggiorenni.
Il film che Mike Leigh ha realizzato sul massacro di Peterloo espone i fatti nella maniera più lineare possibile: da un campo di battaglia all’altro, da Waterloo a St. Peter’s Field, passando per l’esposizione delle motivazioni sociali e politiche che in quattro anni portarono gli operai e la povera gente di Manchester e le loro guide politiche a riunirsi per richiedere più democrazia e le forze della corona – dai parlamentari ai giudici di pace, dai militari a ovviamente il principe reggente e futuro re Giorgio IV – a ordinare ed eseguire un eccidio per paura di una rivoluzione.
La ricostruzione fedele del fatto documentato passa soprattutto per una vera e propria retorica del racconto storico: l’attualità di Peterloo non sta solo nella messa in scena, a rivoluzione industriale avviata e a pochi decenni dall’industrializzazione dell’Inghilterra, dell’eterno scontro fra governatori e governati, ricchezza e miseria, sfruttamento e lavoro, ma nel costruire tali dinamiche – sempre uguali e sempre pertinenti a un preciso momento della Storia – a partire dalle parole usate dalle parti in campo. È un film sulla retorica del discorso politico, sull’importanza e la difficoltà di trovare le parole giuste per l’azione politica.
Le 2 ore e 54 minuti del film – che possono spaventare ma che la sceneggiatura dello stesso Leigh dipana mantenendo una straordinaria tensione di idee e opposte visioni della società – sono formate quasi esclusivamente da interventi e discorsi di riformisti, giudici, ministri, principi, rivoluzionari e gente del popolo. Le parole, usate per condannare, convincere, manipolare, ordinare, invocare, possono diventare vuote e pompose, o al contrario precise e illuminanti; per quanto urlate possono perdersi nel tumulto della battaglia e per quanto entusiastiche possono smorzarsi di fronte alla nuda realtà dei fatti; la retorica può influenzare tanto le lettere dei potenti privilegiati e grotteschi quanto i comizi dei militanti invasati. È una questione di misura, giustezza, contesto.
A inizio XIX secolo, agli albori del giornalismo come oggi lo intendiamo (grande protagonista del film, dal momento che la manifestazione a St. Peter’s Field fu organizzata da uno noto giornale di Manchester e prevedeva il discorso del celebre oratore Henry Hunt), la questione decisiva della politica moderna diventa quella della comunicazione: il popolo, destinatario dei messaggi delle forze progressiste, ha bisogno di parole adatte per capire, altrimenti si trasforma in massa manipolabile; i governanti hanno solo la Legge dalla loro parte, e non la mediazione di cui il potere ha bisogno per essere applicato; il principe comunica solamente con ringraziamenti pubblici e conferimento di onori che non comprendono la gravità dei fatti e la tragedia del suo Paese. Nei continui confronti a due di cui è composto il film, i dialoghi definiscono una struttura di potere che è sempre verticistica e classista anche negli strati più bassi della società: il re sopra i ministri, i ministri sopra i giudici, i giudici sopra il popolo, i riformisti di Londra sui riformisti di Manchester, i colti e benestanti sugli uomini e le donne rozzi e in miseria... E il momento in cui il rumore della folla copre sia la lettura del Riot Act da parte di un giudice sia il discorso di Hunt si fa emblema di una mancanza di una mediazione necessaria per la creazione di una democrazia.
Oltre la materia densa e complessa di cui è composto il film – con una ricostruzione storica a cui la fredda luce digitale toglie qualsiasi ombra di leziosità, anche a costo di un rigore visivo al limite della piattezza – la cornice romanzesca con la vicenda di un soldato sopravvissuto alla battaglia di Waterloo ma non a quella di Peterloo, povero diavolo ridotto al silenzio sia tra i compagni morti ammazzati sia dal cavaliere che lo infilza inerme, a segnare il cammino della Storia è sempre lo scontro fra il singolo e la collettività, fra la vicenda personale e quella collettiva.
Non è il singolo uomo a fare la Storia, dice ancora Mike Leigh, che già a fine anni Ottanta in Belle speranze piangeva la fine della sinistra di fronte alla tomba di Marx a Londra, ma sono gli individui, che dall’uno possono arrivare al molteplice, a dare il via al cammino delle riforme e alle rivoluzioni. La parola è il collante, il giornalismo l’azione, i diritti inalienabili di ogni uomo e ogni donna l’obiettivo.
Roberto Manassero, cineforum.it, 19/3/2019 |
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