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Diario di una donna perduta - Tagebuch einer Verlorenen (Das)


Regia:Pabst Georg Wilhelm

Cast e credits:
Soggetto
: dai drammi Lo spirito della terra e Il vaso di Pandora di Frank Wedekind; sceneggiatura: Ladislaus Vajda; fotografia: Günther Krampf; interpreti: Louise Brooks, Fritz Kortner, Carl Goetz, Gustav Diessl, Franz Lederer, Michael von Newlinsky, Alice Roberts; produzione: Nero Film; origine: Germania, 1928; durata: 92'.
Da Cineteca del Comune di Bologna, Deutsches Institut fur Filmkunde di Wiesbaden, Cinémathèque Royale de Belgique, Archivo Nacional de la Imagen - Sodre.

Trama:Nella casa del farmacista Henning, la figlia Thymian riceve dalla zia un diario come regalo della Prima Comunione. Lo stesso giorno la domestica Elizabeth, che è stata violentata dal farmacista o dall'assistente Meinert, è cacciata di casa e si suicida. Meinert seduce e mette incinta Thymian. L'uomo, giudicando insufficiente la dote, rifiuta di sposarla. Per soffocare lo scandalo il neonato è collocato presso una nutrice (dove morirà poco dopo) e la ragazza affidata ad una casa di correzione. Il farmacista sposa Marta, la nuova domestica. Il correzionale è retto con inflessibile sadismo dalla direttrice e dall'istitutore. Una sera le ragazze si rivoltano: Thymian evade e con l'amica Erika trova rifugio in un bordello, dove viene raggiunta al giovane Osdorff scacciato dal conte suo zio a causa della sua inettitudine. Alla morte del padre, Thymian cede la sua eredità a Meta, che Meinert, diventato proprietario della farmacia, ha messo sul lastrico con due bambini. Osdorff, che contava sull'eredità della ragazza, folle di rabbia si getta dalla finestra. Al funerale Thymian conosce il conte e lo sposa. Diventa patronessa della casa di correzione, e in tale veste, impedisce che Erika vi sia nuovamente rinchiusa.

Critica (1):La presente edizione si basa principalmente sulle uniche tre copie positive d'epoca sopravvissute, tutte incomplete: una copia conservata dalla Cinémathèque Française, con didascalie franco-tedesche; una copia conservata dalla Cinémathèque Royale Belge con didascalie franco-fiamminghe; una copia ritrovata presso l'Archivo Nacional de la Imagen - Sodre di Montevideo, ottenuta montando diverse copie positive di varia provenienza, con didascalie spagnole e con alcune didascalie flash originali tedesche, e contenente quattro delle cinque scene che risultano essere state tagliate dalla censura tedesca. La copia belga e la copia francese provengono da due negativi diversi, mentre la copia uruguayana è montata in gran parte con scene stampate dallo stesso negativo della copia francese, ma contiene anche scene provenienti da negativi diversi. Visto lo stato delle copie, non si è potuto arrivare ad una versione completa utilizzando scene provenienti unicamente da un solo negativo, si è però cercato di mantenere coerenza di materiali all'interno delle varie scene, laddove possibile. Il testo delle didascalie è stato stabilito sulla base delle didascalie franco-tedesche della copia parigina, testo che si è rivelato identico a quello delle didascalie originali "flash" contenute nella copia uruguayana. In un solo caso - la scena del risveglio di Thymian nella casa di appuntamenti, mancante nelle altre copie - si è dovuti ricorrere alle didascalie franco-fiamminghe della copia belga, il cui testo è manifestamente difforme da quello originale. Gli inserti sono tutti originali, tranne tre, il cui testo è stato ricostruito sulla base di indizi contenuti nelle immagini sopravvissute.

Critica (2):Due aspetti colpiscono nella bobina recentemente recuperata a Montevideo del Tagebuch einer Verlorenen di Pabst, che in precedenza non erano - o non erano ancora - chiaramente evidenti: la continua presenza visiva del denaro in forma di banconote e la comicità, garantita già dalla sola apparizione di Siegfried Arno. Finora il suo nome compariva solamente nello staff del film; finalmente siamo venuti a conoscenza del piccolo film nel film che lui interpreta. Nucleo di questo episodio è la comicità che si genera dalla relazione tra denaro e appagamento sessuale - per dirla con Henri Bergson: la relazione tra un atto meccanico, la spesa di denaro gestito dal capitale, ed un atto vivo, vitale, lo spendersi sessualmente. In questo senso l'episodio ritrovato sembra essere il pendant comico della tragedia nella Freudlose Gasse. La recente ricostruzione di questo film illumina a sua volta sull'associazione tra capitale e sessualità: la casa di piacere della Signora Greiner raccoglie le ragazze che la potenza del capitale ha espulso dalla società, che sono finite nella "via senza gioia", per farne una società ad uso dei capitalisti. Il capitale che produce divide, ma il capitale che consuma riunisce. Mentre nella Freudlose Gasse l'unione di denaro e sessualità conduce alla catastrofe - la fine della famiglia nella casa di piacere in fiamme - nel Tagebuch dà luogo alla risata.
Heide Schlüpmann, Cinegrafie, n. 10, 1997

Critica (3):Maria (traduzione italiana di Thymian) è, al tempo stesso, soggetto ed oggetto, vittima e memorialista; mentre la Lulu di Die Büchse der Pandora, incapace di prender coscienza di quanto le accade, "subisce" fino in fondo le conseguenze della propria condotta, devastata dall'atonia morale, ma riscattata da una generosità di sé esente da calcolo, o precauzione, o patema. Grazie appunto al contributo della Brooks, che sa fondere il momento critico col momento esistenziale del personaggio, Das Tagebuch einer Verlorenen resta un modello, forse insuperato, di film in equilibrio tra la terza e la prima persona: "spaccato" di una società e autobiografia di una donna che, dalla società, apprende a soffrire, a "bruciarsi", e, in ultimo, a ribellarsi (...)
Col Tagebuch Pabst porta a perfezione la sua, corrosiva e attraente, tecnica drammaturgica. Una tecnica basata su antitesi estreme (Louise Brooks in bianco tra le viscide braccia di Rasp), su circostanze raccapriccianti (evasa dal correzionale, Maria si reca a visitare la propria bambina, ma sulle scale incrocia un uomo con una piccola bara sottobraccio: la bara della figlia), su particolari ossessivi (la scritta Verboten, Verboten, Verboten, ripetuta da tutti i muri del riformatorio), su inquadrature morbose (tra cuccetta e cuccetta, ad altezza di ventre, gli abiti delle ragazze si sfilano all'unisono, scoprendo, tutta eguale, la biancheria di tutte), su scene vagamente demoniache (la ribellione notturna delle ragazze della camerata, con quel loro saltar di letto in letto passandosi a volo il diario, e, poi, quella violenza collettiva esercitata sul direttore e sulla sorvegliante: specie di tortura a cento mani, tra perfida e grottesca.
Francesco Savio

Critica (4):La cronologia pabstiana registra, dopo Lulù, la sfortunata parentesi di un film in collaborazione: nel 1929 il regista firmò con Arnold Fanck, specialista di film di montagna, La Tragedia di Pizzo Palù, accurato studio d’ambiente che si segnala per alcune affascinanti soluzioni visive, per “i voli temerari di Ernst Udet” (Kracauer) e l’interpretazione della futura cineasta ufficiale del nazionalsocialismo Leni Riefensthal. In realtà l’effettiva conclusione del discorso che Die Büchse der Pandora lasciava in sospeso è costituita da Tagebuch einer Verlorenen (t.l.: Il diario di una ragazza perduta, 1929). In conformità al programma dell’Associazione Popolare per l’Arte Cinematografica (“Volksverband für Filmkunst”) fondata nel 1928 per “combattere le porcherie reazionarie e creare un cinema artisticamente progressista” (Schwartzkopf, “Close Up”, 1928) che annoverava Pabst tra i più ardenti sostenitori accanto a Piscator, Karl Freund e Heinrich Mann, il regista cercò di rinnovare il personaggio Brooks impegnandosi a fondo in un paradosso iconoclasta e irriverente (se non, com’era probabilmente nelle intenzioni, “rivoluzionario”): dimostrare con assoluta obiettività e scientifico distacco che solo nel contesto di una borghesia irrimediabilmente compromessa poteva rinascere, con connotati ispirati a un’analoga “incoscienza”, la nuova Lulù degli anni Trenta. Lo scenario originale è eloquente in proposito. Thymiane, adolescente borghese, festeggia la prima comunione (che avviene a sedici anni compiuti, secondo il rito protestante). Tra i doni c’è anche un diario. Occorre notare con quanta ironia Pabst insista sul dettaglio: il diario è un altro dei suoi famosi oggetti inanimati, ma qui la sua presenza riveste una funzione radicalmente diversa. Accompagnando l’eroina lungo tutto l’arco di una parabola visualizzata dall’enfasi, tra romantica e barocca, dell’immagine, l’oggetto è l’inquietante riflesso metaforico di un’arte – il cinema – che cita la scrittura per oltrepassarla lasciandone intatto solo il residuo su cui un tempo si esercitava il suo potere: la carta, il manoscritto, i fogli. [...] Se dell’iniziazione sessuale di Lulù era dato intuire solo a posteriori l’ambigua commistione dei ruoli negli atteggiamenti obbligati che la protagonista scambiava con Schigolch il motore che attira Thymiane verso la conoscenza carnale di un uomo ripugnante come Meinert sembra essere l’insaziabile curiosità adolescente, la spinta biologica della pubertà. Per questa scena emblematica conviene ricordare la posizione assunta a suo tempo da Arnheim. Citiamo alla lettera: “(Thymiane e Meinert) stanno in piedi presso la porta a vetri della bottega. La scena è vista prima dall’interno. La macchina da presa è sistemata nella bottega. L’inquadratura mostra i due che si baciano e dietro di loro la porta che dà sulla strada. Poi, di colpo, ecco la scena vista da un altro angolo: la coppia rimane esattamente nella stessa posizione ma la camera è ora collocata fuori della porta e i due sono visti dall’esterno attraverso il vetro. Non si capisce però che senso abbia questo cambiamento nella posizione della macchina. In realtà non significa nulla ” (Film come Arte). A noi pare, invece, estremamente significativo. Dall’intemo – nella realtà – la situazione è quella che è: nient’altro che uno stupro legalizzato – per lui – dalla acquiescenza di lei. Dall’esterno – a chi vede dalla strada e quindi riceve i fatti solo come riflesso, fugace percezione ottica – la situazione può ancora definirsi “romantica”. Le inquadrature successive rafforzano l’acre ironia contenuta ai margini di questa doppia esposizione, critica e realistica, dell’Argomento: Thymiane è incinta. Quando partorisce, le si chiede il nome del seduttore. La ragazza indica Meinert che, richiesto dal clan familiare di sposarla, rifiuta. La famiglia Henning decide allora di lasciare Thymiane al suo destino che, nella riduttiva scala di valori tipica di una classe arroccata su posizioni difensive, può solo essere oggi il correzonale e domani il bordello. Il distinto signor Henning, proprietario della farmacia, legalizzerà la unione con la nuova governante-amante e non licenzierà Meinert, reo di un unico passeggero cedimento dei sensi. Sbarazzatisi della neonata, messa a balia da una donna di cui l’obiettivo s’incarica di dimostrarci la perversione, la famiglia scaccia Thymiane che entra nella prima delle istituzioni chiuse destinate a trasformarla in Lulù. Purtroppo l’amorale coscienza del proprio corpo in quanto veicolo sessuale non sembra, da questo film, di pertinenza della borghesia. Thymiane si configura piuttosto come Justine che come Lulù. A Sade, ai suoi castelli, ai suoi raffinati Esercizi di Crudeltà fa pensare l’organizzazione planimetrica dello spazio chiuso che imprigiona Louise Brooks. Alla perversa ingenuità di Justine fa pensare la fluttuante personalità dell’eroina che, priva di una psicologia originale, si aggira fra situazioni e avvenimenti disparati, con la singolare innocenza che si addice al neofita e non a un’ex-vergine cui la maternità dovrebbe aver rivelato l’acquisizione totale della sessualità. A Sade fa inoltre pensare l’esumazione pabstiana di Valeska Gert che, smesso il mezzobusto agghindato a sardonico riso di scherno della mezzana in La via senza gioia, torna a riempire lo schermo con la schiacciante autorità della sua presenza. In combutta con la maschera impressionante di Andrews Engelmann, forma il sinistro duetto degli aguzzini: mentre la perversione erotica dell’uno è additata nel celebre episodio del rossetto confiscato per poter impunemente tergersi le spesse labbra che gli pendono, ripugnanti appendici, dal viso, la depravazione sessuale dell’altra è scandita dal ritmo frenetico con cui accompagna ogni minimo gesto imposto alle ragazze fino a raggiungere, in quegli occhi che paiono accendersi e spegnersi a lampi intermittenti, l’orgasmo. Evasa con l’amica Erika in seguito a una rivolta che coglie di sorpresa i due custodi dell’orribile luogo destinato al dovere, Thymiane finalmente raggiunge il mitico luogo destinato al piacere, classico topos che da Sade travalica all’estetismo décadent e al disperato nichilismo di Wedekind. Stavolta la neoLulù arriva al bordello senza nemmeno chiedersi quale sia la funzione del nuovo établissement cui le circostanze la conducono: scambia i suoi abiti con la lieve trina impalpabile del négligé, si concede a un cliente in una danza dall’andamento estatico e sinuoso che resta tra gli esempi più alti (e elusivi) raggiunti da un cineasta nell’illustrare per via traslata tutte le fasi che scandiscono il codice erotico del Maschio e della Femmina. Durante l’amplesso Thymiane dimostra la stessa anomala disponibilità che ha segnato la sua tacita accettazione della copula nella farmacia: l’unica differenza visibile è costituita dall’assenza di piacere (implicita, al passato, in una scelta coatta) e, nel bordello, dalla presenza del piacere che trapela a ogni minimo gesto della “debuttante” (e che non mancò di essere rilevato dalla censura, che mutilò vergognosamente la sequenza). L’iniziazione, suggerisce Pabst, può avvenire solo nell’ambito di una istituzione che la borghesia prevede a garanzia del perfetto funzionamento della macchina sociale. Si tratta, tuttavia, di un’iniziazione parziale: non potendo evadere dalla matrice che l’ha generato il neofita è inabilitato a ripudiarne l’ambiguo codice di valori. L’iniziazione è traslata. Avviene nella macchina-corpo ma il dato non è mediato dall’intelligenza: l’ego non lo registra né come acquisizione né come perdita. Dalla condizione borghese non si può fuggire poiché è innegabile l’appartenenza alla matrice originaria di una specie degradata a classe. È qui che Justine si scontra col fantasma ultimo di Lulù: dalla coniugazione di queste degradazioni di segno opposto (la perversa innocenza di chi vuole ad ogni costo preservare una presunta integrità morale, a dispetto del piacere che gli procura il contrabbando della carne, si specchia nello spontaneo rifluire dell’inconscio di Lulù nel grembo originario della Madre Terra) nasce in Thymiane una sessualità inconciliabile con l’imperativo sociale. Mai Thymiane, libero animale di natura che la classe borghese ha adorato come un prezioso ninnolo da boudoir prima di distruggerlo in un raptus di fastidio, sarà in grado di comprendere le leggi che determinano la compravendita del corpo femminile. Giungerà al punto di scambiare il bordello con il paradiso e il contatto carnale con la grazia. Il meccanismo socio-economico all’origine di questo nuovo microcosmo chiuso le resterà del tutto estraneo, come ignote e inconcepibili le leggi che ne sanciscono il funzionamento.
Enrico Groppali, Georg W. Pabst, Il Castoro cinema, La Nuova Italia, 1983
Georg Wilhelm Pabst
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