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Casa delle brave donne (La) - Rebro Adama


Regia:Krichtofovitch Viatcheslav

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di Anatole Kourtchatkine; sceneggiatura: Vladimir Koumne; fotografia: Pavel Lebedev; scenografia: Serguei Kwtimski, Alexandre Samoulekine; musica: Vadim Khrapatchev; interpreti: Inna Tchourikova, Svetlana Riabova, Macha Goloubkina, Andrei Toloubeiev, Elena Bogdanova, Andrei Kasianov; produzione: Mosfilm/Studio RITM; distribuzione: Mikado; durata: 73'; origine: Russia; anno: 1991.

Trama:
In un modesto appartamento alla periferia di Mosca abitano quattro donne: la nonna paralitica e muta, la madre cinquantenne e due figlie, nate da matrimoni diversi, la bella Nina e l'irrequieta quindicenne Nasta.

Critica (1):Le uscite di fine stagione non cessano di sorprendere. Dopo titoli come Viaggio all'inferno o Vita da Bohème ecco approdare, nelle poche sale rimaste aperte, un'altra opera decisamente più che dignitosa, La casa delle brave donne (ma il titolo originale, "La costola di Adamo", rispecchia assai meglio contenuto e significato) dal sovietico Viatchevslav Krichtofovitch, proveniente da Cannes '91 (Quinzaine des Rèalisateurs) e costituente l'opera terza di un regista soprattutto televisivo. Un'opera che descrive la vita quotidiana di una famiglia di Mosca ma che propone, innanzitutto, un discorso sulla condizione della donna nella Russia di oggi, estendibile alla generale crisi dei ruoli - di coppia, familiari - di cui siamo ultimamente testimoni e all'incapacità dell'uomo di decidere, agire, essere al fianco della compagna, che sceglie, allora, la solitudine; o, come nel nostro film, il sostegno di altre donne nella medesima condizione. Le protagoniste del film di Krichtofovitch si trovano infatti in un momento critico nel rapporto con l'altro sesso: Lida è stata tradita dal proprio amante, peraltro sposato, Nastja, la sorella minore, è incinta di un giovane che non stima, Nina, madre di entrambe e reduce da due divorzi, è in procinto di cominciare una storia di cui avverte, tuttavia, fin dall'inizio l'insufficienza. La coscienza dell'effettiva solitudine di ciascuna, e della donna su un piano più generale, le porterà ad unirsi in una sorta di cameratismo e a ritrovare quell'equilibrio che la quotidiana convivenza, appesantita dall'infermità e dal mutismo della vecchia nonna, aveva guastato; equilibrio peraltro infranto dalla nonna stessa, che nella scena finale rottosi inspiegabilmente il campanaccio con cui chiamava la figlia, si alzerà e si metterà a cantare. C'è qualcosa che rende, in ogni caso, questo "gruppo di famiglia" decisamente particolare. I temi, innanzitutto. Accanto all'indagine sulla condizione femminile che abbiamo visto, un autentico spaccato dei rapporti che si possono instaurare fra una madre e le figlie nonché fra le figlie stesse, dunque fra due generazioni che si estendono in questo caso a tre data la presenza, imprescindibile, della nonna inferma, che si serve del campanaccio per affermare il proprio potere, che pretende dalla figlia una disponibilità assoluta, che finge di schermirsi delle percosse che questa mai le darebbe, che ha fatto fallire i suoi matrimoni, che, confessa Nina in un dolente monologo, non le ha mai permesso di vivere come voleva. Ma che comunque le protagoniste rispettano e curano, provando forse, per lei, un sentimento più forte di quello che provano per le figure maschili da cui sono attorniate. Apprezzate, fra l'altro, queste più nella veste di padri che in quella di amanti; anche se la bellissima sequenza della cena di compleanno, con gli uomini che Nina ha amato e con quello che forse ora ama, evidenzia una desolazione e una rassegnazione annegate emblematicamente nell'alcool, che coinvolgono qualsiasi tipo di figura maschile, anche quella del protagonista dell'umica storia che sembra procedere. Il tomo, inoltre, di ordinario realismo, di quotidianità usuale ma al contempo pregnante, di concreta semplicità ma di dettagliata analisi, impercettibilmente condotta, dei sentimenti dei personaggi, dei loro reciproci rapporti, della loro psicologia. I personaggi, dunque; in particolare la figura di Nastja, quindicenne insofferente - della famiglia, del rapporto di lavoro, del proprio Paese -ma al contempo realisticamente rassegnata alle situazioni, fino all'evento che la porterà, al termine di un processo di evoluzione/maturazione a ritrovare la propria forza nel mutato rapporto con madre e sorella. La struttura, poi: 3 giorni, sostanzialmente 3 interni - la casa, l'ufficio di Lida, il museo di Nina - e rarissimi esterni, 3 donne (più la nonna, che rappresenta una terza generazione) e 3 uomoni (più i due respinti, Andrei e Micha), l'inizio al mattino - il risveglio delle tre negli ordinari dissapori - e la conclusione la sera - la solidale unione delle tre donne sole -, preceduto l'uno e seguito l'altro da un morceau riguardante la nonna, i ricordi b.n. all'inizio, e l'inquadratura bloccata, e poi dissolta su mero, di lei in piedi alla fine, e la teatralità dell'impianto e di alcuni momenti - si é parlato non a caso di Cechov - e, che non lede tutavia il carattere propriamente cinematografico del film. Dovuto innanzitutto, e veniamo all'ultimo punto che volevamo toccare, allo stile adottato, molto semplice, misurato, essenziale ma non privo di accorgimenti di grande efficacia: l'accostamento dei p.p. delle tre donne che non riescono, la stessa sera, a prendere sonno, gli squarci domestici che si rivelano essere soggettive della nonna, l'intrusione nel bagno di Nastja della porte scorrevole in cui sono riflessi i volti delle altre due, la composizione - e il colore - di alcune inquadrature, assolutamente notevoli e mai ricercate.
Paola Brunetta, Cineforum m. 317 settembre 1992

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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