Irma la dolce - Irma la Douce
| | | | | | |
Regia: | Wilder Billy |
|
Cast e credits: |
Soggetto: dalla commedia di Alexander Breffort; sceneggiatura: Billy Wilder e I. A. L. Diamond; fotografia: Joseph La Shelle; scenografia: Maurice BarnaThan, E. G. Boyle; musica: Marguerite Monnot, André Prévin; montaggio: Daniel Mandell; interpreti: Shirley MacLaine (Irma), Jack Lemmon (Nestor Patou), Lou Jacobi (Moustache), Bruce Yarnell (Hippolyte), Herschel Bernardi (Ispettore Lefevre), Hope Holiday (Lolita), Cliff Osmond (poliziotto); produzione: B. Wilder, Mirtish Company, E. L. Alperson; origine: USA, 1963; durata: 142’ |
|
Trama: | Nestor, ex poliziotto, s'innamora di Irma, una prostituta parigina. Lei ha una cagnetta che ama la birra, occhi piccoli e calze verdi, lui ha un cuore d'oro, ma è anche parecchio ingenuo. Per impedirle di esercitare la professione, Nestor impersona un fantomatico e generosissimo Mister X che sarà così il suo unico cliente. Poi Mister X scompare e Nestor viene accusato del suo omicidio. Ma l'amico Moustache mette le cose a posto. |
|
Critica (1): | Tratto dalla commedia di Breffort, Irma la Douce, racconta la storia d’un flic, Nestor Patou, che si innamora d’una prostituta di Parigi, Irma, detta la Dolce. Geloso della donna, frustrato dal mestiere che ella continua a esercitare, Nestor cerca di monopolizzare le sue prestazioni attraverso una serie di travestimenti, finché Irma non si innamora davvero di lui. Per Wilder, “straniero a Hollywood”, il ritorno, vero e simulato, a temi europei, riveste un’importanza tutta particolare. Nella stessa profonda provincia USA di Kiss Me, Stupid, l’arrivo di un “diverso”, il cantante d’origine italiana Dino (Dean Martin), attraverso gli stereotipi stessi del suo comportamento (canto, gallismo ecc.), fa deflagrare tensioni, maturare situazioni ecc., proprio come avverrà ai personaggi anglosassoni di Avanti! a contatto con l’ “italianità” (era questo, notiamolo per inciso, il tema del Viaggio in Italia rosselliniano); il ritorno al territorio europeo è un ritorno connotato nostalgicamente, ma la nostalgia (eventualmente retrodatata, come avviene per l’Inghilterra di Sherlock Holmes) si situa sempre a livello di stereotipo. La Parigi di Irma la dolce è una Parigi paradossale, ricostruita in studio – “più vera del vero” – da Alexandre Trauner. Come ben dice Ciment: “…la forza del cliché è tale che è miglior cosa utilizzarla come un boomerang, dimostrandone l’essenziale falsità col moltiplicarne le convenzioni. Perché questa falsità spinta all’estremo ritrova una verità, come la caricatura. La Parigi di Irma la Douce, i tedeschi di One, Two, Three raggiungono al di là delle loro convenzioni una verità di secondo grado…”. Il paradosso aggiuntivo di Irma è che la maniacale precisione con cui Trauner ha ricostruito il quartiere delle Halles, raccogliendo tra l’altro una formidabile documentazione fotografica, ha finito per rimanere l’unica “realtà” superstite d’un quartiere poco dopo completamente demolito dall’avanzare del rinnovamento urbano di Parigi. Anche M. Mardore notava, sul n. 149 dei “Cahiers”, che “l’irreale cauziona il verismo, invece di falsarlo”: le Halles, le camere a ore, i bistrot, le strade, assumono lo statuto inquietante di doppi del reale, investimenti libidici di quell’astuzia/tenerezza di cui parlava Godard, rallegrandosi (nel n. 150-151 sempre dei “Cahiers”) che Wilder avesse deciso, dopo “sette anni di riflessione”, di “non prendere più il tragico sottogamba” ma, al contrario, di “prendere il comico sul serio”.
In questa Parigi autenticamente falsa (se così può dirsi), in questa Parigi paradossale, raddoppiata al di là dell’Atlantico negli studios di Los Angeles, giustamente si svolge, in forma giocosa, un dramma dello sdoppiamento di personalità: il flic Nestor (Jack Lemmon), innamorato di Irma (Shirley MacLaine), si trasforma in Lord X, distinto gentiluomo la cui impotenza stessa, rimarcata dal simbolo di castrazione dell’occhio mancante, provoca l’innamoramento di Irma, e quindi la gelosia di Nestor verso il suo doppio. Il travestimento, atto, a livello di story, analogo al raddoppio a livello di scenografia, connota e marca lo sdoppiamento di personalità, la perdita di centro. Si è notato che il film “sembra lento”, “non fa ridere molto”, ecc.; a noi pare difatti che, tra i film comici di Wilder, questo sia in realtà il più vicino al dramma. Notava giustamente Mardore (art. cit.): “Irma la douce è girato con serietà imperturbabile, e la sua messa in scena attiene al cinema drammatico, ivi compresa la direzione degli attori, malgrado tutte le smorfie”. Wilder arriva dunque, qui, al limite estremo del procedimento di contestazione dall’interno del genere-commedia che abbiamo visto svilupparsi almeno da Sabrina in poi; non si tratta di una contaminazione dei generi, per esempio secondo gli sviluppi del western, in cui la commistione di stilemi, forme e tematiche appartenenti ad universi filmici diversi ha il preciso scopo di rivitalizzarne reciprocamente la forza (e il risultato è un nuovo lustro, un acquisto di spessore e di profondità, un aggregarsi di valenze, sul cui sfondo composito si disegnano ancora più marcatamente, per contrasto, i materiali differenti); si tratta, invece, di un affievolimento interno della gag, di un abbassamento del suo ritmo dinamico, derivante dalla presa alla lettera dei suoi meccanismi, della sua messa in scena “secca”, senza nessuna aggiunta di “aura”. Lo “spensierato” Wilder vive così, dopo averla anticipata, la crisi-trasformazione della Hollywood degli anni sessanta, mettendo a nudo nella sua perfezione scheletrica di meccanismo il gesto che le connotazioni supplementari, nella commedia classica, si incaricavano di ispessire e, quindi, di velare. La messa in scena di Irma la dolce sembra sempre più l’esibizione della messa in scena, non attraverso il barocco e l’accumulazione o, al contrario, l’estraneazione didattica, ma invece attraverso la scarnificazione successiva del gag, fino alla sua pura meccanica gestuale e ritmica.
Alessandro Cappabianca, Wilder, Il castoro cinema, 1976 |
|
Critica (2): | |
|
Critica (3): | |
|
Critica (4): | |
| Billy Wilder |
| |
|