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Strada (La)


Regia:Fellini Federico

Cast e credits:
Soggetto: Federico Fellini e Tullio Pinelli; sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flajano, Tullio Pinelli; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Mario Ravasco; costumi: Margherita Marinari; musica: Nino Rota; montaggio: Leo Cattozzo; interpreti: Giulietta Masina (Gelsomina), Anthony Quirm (Zampanò) Richard Basehart (il “matto”), Aldo Silvani (il sig. Giraffa), Marcella Rovere (la vedova), Lidia Venturini (la suorina); produzione: Ponti/De Laurentiis; origine: Italia, 1954; durata: 107'.

Trama:Uomo di natura violenta, Zampanò si esibisce nelle piazze e nelle fiere di paese come mangiatore di fuoco. Da una povera contadina carica di figli compra per diecimila lire Gelsomina, una ragazza ingenua e ignorante, per usarla come “spalla” nei suoi spettacoli. Diventata a forza la sua amante Gelsomina, creatura sensibile, tenta più volte di fuggire da Zampanò, che ormai la considera come un oggetto e la maltratta in ogni occasione. Finiscono in un circo, e Gelsomina si invaghisce del Matto, strana figura di girovago anch’egli, mite e gentile, tutto l’opposto di Zampanò. Questi, in un litigio con il rivale, lo uccide, forse involontariamente, e poi lo getta sotto un treno. La tragedia fa uscire di senno Gelsomina, turbata giorno e notte dal ricordo del Matto. Zampanò allora l’abbandona, continuando la sua vita di vagabondo e temendo di essere scoperto e arrestato. Alcuni anni dopo scopre per caso che Gelsomina è morta, e improvvisamente prende coscienza della sua solitudine: abbandonato da tutti piange su una spiaggia deserta.

Critica (1):Fellini è maestro nel raccontare: ed il film fluisce infatti in una narrazione leggera e misuratissima che cerca le sue svolte, i suoi rimbalzi, le sue concatenazioni e le sue risoluzioni in piccoli particolari, in notazioni delicate, in toni discreti che si incastonano naturalmente nella dimessa orditura di una vicenda apparentemente vuota di eventi. Eppure quante intenzioni e quanti fermenti arricchiscono tanta semplicità: sono tutti compiutamente espressi, non tutti chiaramente evidenti, non tutti tradotti in una piena eloquenza umana e poetica, ma tutti suggeriti da una sensibile finezza, tutti sorretti da una sottile carica emotiva. Ermanno Contini, Il Secolo XIX, 8 settembre 1954 La strada è un’opera che presuppone dal suo autore, oltre alla genialità d’espressione, una perfetta conoscenza di certi problemi spirituali ed una riflessione su di essi. Questo film, infatti, tratta del sacro, non dico del religioso né della religione. Parlo di quel bisogno primitivo e specifico all’uomo che ci spinge ad andare oltre, all’attività metafisica, sia sotto forma religiosa che sotto quella artistica, bisogno fondamentale come quello della “durata”. Sembra che Federico Fellini sappia perfettamente che questo istinto è all’origine sia delle religioni che dell’arte. Ce lo mostra allo stato puro in Gelsomina. Ricordiamoci di una delle prime immagini del film. Gelsomina ha due volti, uno triste e uno gioioso, quello gioioso si volge verso il mare in un sorriso di soddisfazione solitaria e irreprensibile. “A me piace fare l’artista!”, dichiara poco dopo.
Dominique Aubier, Cahiers du Cinéma, n. 49, juillet 1955

Critica (2):Già dal titolo, La strada, in bilico tra realismo e allegoria, descrizione e cronaca di due saltimbanchi attraverso paesi e villaggi, lungo il ciclo ricorrente delle stagioni, e insieme itinerario di grazia nella ricerca di una comunicazione soprannaturale attraverso i valori più elementari della natura e dell'esistenza, si coglie, immediata, esplicita, la duplice vocazione di Federico Fellini. Gli urgono dall'interno, consustanziati e insieme ambigui, di una realistica naturalezza e insieme di una suggestione magica, richiami e stimoli diversi, realtà e fantasia, documentazione e invenzione, moralità e ricordo.
C'è infatti in Fellini con l'invenzione fantastica della memoria anche la ricerca problematizzata del reale, due componenti che strutturalmente divaricano su due versanti, da una parte una memoria proustiana, quasi una nostalgica e mitizzata "recherche du temps perdu" verso personaggi, paesaggi, abitudini, tradizioni di un fabuloso passato, e dall'altra un bisogno morale di accoppiare alla visione il giudizio, alla rappresentazione la valutazione, per sé e per gli altri, e non solo per trovare un modo di comunicazione con il mondo, ma per la convinzione tutta romantica e sentimentale di poter essere o diventare con i propri film interprete di umori, crisi, tensioni propri della generazione cresciuta tra il fascismo e la guerra, e turbata dalle tragiche esperienze della nostra penultima storia.
Con La strada si avvertono con nettezza di disegno queste due componenti: il tema personale della solitudine, della scontrosità, dell'impotenza di un essere a comunicare con l'altro che gli sta vicino da mesi, da anni senza sapergli confessare nulla, della difficoltà di trovare il mezzo e l'occasione di dire qualcosa, si confonde con l'altro, programmatico, sociomorale, del senso trascendentale della creatura umana, della dimensione metafisica dell'esistenza.
La strada non è soltanto la rappresentazione della drammatica evoluzione di due personaggi qualsiasi, di Zampanò, saltimbanco vagabondo e rozzo, e di Gelsomina, scema patetica, né i personaggi sono soltanto concrete figure immerse in una realtà ambientale. Il film, tematicamente, è anche la tragedia di due esseri che si riconoscono troppo tardi per ricominciare, quando la vita e la morte li ha per sempre divisi e tuttavia sono ancora capaci di imboccare un itinerario invisibile, da cui Zampanò alla fine resta gratificato e di cui Gelsomina è la mediatrice inconsapevole.
Zampanò è uno zingaro solitario, primitivo, bestiale che passa d borgata in borgata ripetendo sulle piazze i consueti numeri plateali dell'Ercole a buon mercato che spezza catene con la forza dei muscoli pettorali o del mangiatore di fuoco; Gelsomina invece, è una ragazza insignificante che Zampanò compera da una madre affamata: ancora acerba e infantile, non conosce le volgarità della vita, sorride con ebete allegrezza quando Zampanò la tradisce e infantilmente si incanta ad ogni segno arcano della natura, come alla musica dolce e sottile di uno scordato violino o alla malinconia di un suono di tromba. I due resterebbero sempre così, divisi da un muro di incomprensione e di gelo se Gelsomína non si rendesse conto a poco a poco del suo stato di necessità vocazionale e del suo ruolo di donna redentrice, dapprima partecipando a una processione, sfilata di ceri, stendardi, immagini sacre, in un clima di sbigottita cupezza e di superstizione panica, che si conclude, quasi senza frattura, con l'apparizione, lassù in alto, illuminato a tondo nel buio della piazza, del matto funambolo, poi incontrando un bambino ammalato che soffre, e più in là sostando a un convento, e infine assistendo con raccapriccio alla morte del Matto ucciso da Zampanò. Soprattutto per le attenzioni e le buone parole del Matto, che le matura dentro l'istintiva vibratilità alle cose della natura con un discorso di disponibilità e apertura, Gelsomina supera la sua condizione di emarginata, capisce di non essere né sola, né inutile e più ostinatamente si attacca a Zampanò ("se non ci sto io con lui, chi ci sta?") e lo segue, pedissequa, fedele, nonostante gli schiaffi e gli insulti. Non importa che lo zingaro la abbandoni insieme con la sua tromba: molti anni più tardi, Zampanò viene a conoscere come è morta Gelsomina e in un momento di supremo sconforto corre verso la riva del mare dove il dolore finalmente lo spietra e gli concede il dono delle lacrime, forse per la prima volta nella vita.
Alberto Pesce, Cineproposte, 1978

Critica (3):

Critica (4):
Federico Fellini
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