Still Life
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Regia: | Pasolini Uberto |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Uberto Pisolini; fotografia: Stefano Falivene; musiche: Rachel Portman; montaggio: Tracy Granger, Gavin Buckley; scenografia: Lisa Hall; costumi: Pam Downe; interpreti: Eddie Marsan (John May), Joanne Froggatt (Kelly Stoke), Karen Drury (Mary), Andrew Buchan (Mr Pratchett), Ciaran McIntyre (Jumbo), Neil D'Souza (Shakthi), Bronson Webb (custode dell'obitorio), Wayne Foskett (Garry) Hebe Beardsall (Lucy), Deborah Frances-White (Miss Pilger), Tim Potter, Paul Anderson (senzatetto); produzione: Uberto Pasolini, Felix Vossen, Christopher Simon per Redwave Films-Embargo Films, in Associazione con Cinecittà Studios-Exponential Media-Beta Cinema e Rai Cinema; distribuzione: Bim; origine: Gran Bretagna-Italia, 2012; durata: 87’. |
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Trama: | Struggente racconto donchisciottesco sulla vita, l'amore e il 'post mortem'. Meticoloso e organizzato fino all'ossessione, John May è un impiegato del Comune incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti da soli. Quando il suo reparto viene ridimensionato, John concentra i suoi sforzi sul suo ultimo caso. Inizierà così un viaggio liberatorio che gli permetterà di iniziare a vivere, finalmente, la sua vita... |
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Critica (1): | John May apparecchia la tavola solitaria con la stessa ossessiva, precisione con cui ricostruisce le vite dei suoi clienti defunti. Il lavoro del travet londinese (la faccia lunare del caratterista Eddie Marsan) che veste sempre gli stessi abiti e compie gli stessi gesti, è di trovare i parenti più prossimi di coloro che sono morti in solitudine. Per lui si tratta di una missione e solo quando davvero tutte le strade sono state tentate, procede a organizzare lui stesso i funerali, scegliendo le musiche giuste, scrivendo discorsi che sarà il solo ad ascoltare alla cerimonia. Mentre indaga sulla morte del dirimpettaio alcolizzato viene informato dal suo capo che il dipartimento sarà chiuso. E quindi l'ultima ricerca si trasforma in un'avventura esistenziale che diventa apertura impercettibile verso un'altra possibile vita. Still Life, natura morta, è il titolo che Uberto Pasolini, italiano trapiantato a Londra, già produttore del fenomeno The Full Monty e regista di Machan, porta in concorso a Orizzonti (e poi sarà in sala per Bim). «Leggendo un articolo ho scoperto che c'era una categoria di impiegati comunali che fa questo lavoro. Ho parlato con molti di loro, nel settanta per cento dei casi non si trovano parenti e, quando si trovano, rifiutano di essere coinvolti. Ci sono migliaia di funerali d'ufficio, e l'idea di queste tombe sole e di questo abbandono della vita nella morte, questo dimenticarsi di chi è passato prima di noi sulla terra mi ha colpito».
Che tipo di film è?
«Mi piace pensare a un film poetico che cerca di capire perché in Occidente c'è questa povertà di senso sociale. La distruzione dci nuclei familiari estesi che esistevano solo qualche decennio fa, fatti di nonni, figli, e nipoti. E di vicini di casa. Oggi si entra e si esce dai quartieri senza nessun contattocon i vicini, nessun tipo di connessione umana».
Qualcosa che la tocca da vicino.
«Ho divorziato cinque anni fa, ho un ottimo rapporto con la mia ex moglie e le mie tre figlie. Ma improvvisamente mi sono ritrovato a entrare in una casa silenziosa, a luci spente. Mi sono confrontato con la solitudine. Still Life mi ha dato la possibilità di mischiare la curiosità sociale con l'analisi della mia solitudine. È una condizione condivisa da tanti».
Chi sono «i clienti» del suo personaggio?
«Persone di una certa età, ma anche giovani con problemi mentali. Prima c'erano servizi di assistenza, ma la crisi ha spazzato via tutto. La civiltà di una società si giudica da come tratta i più deboli, e chi è più indifeso di un morto? Siamo disposti a dimenticarli, come numeri, come corpi in fosse comuni».
Che tipo di viaggio farà lo spettatore?
«Rifletterà sulla propria vita. Quante persone ci saranno al mio funerale? Cosa rappresento per gli altri? La morte è solo la continuazione della vita e questo film, che non è affatto triste, vuole ricordare l'importanza di vivere la vita pienamente, in contatto con gli altri. Con generosità». (…)
Arianna Fino, la Repubblica, 28/8/2013 |
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Critica (2): | Restituire dignità alle vite dimenticate degli altri per dare senso alla propria. Il mestiere di John May è di quelli che fanno paura: rintracciare i parenti delle persone morte in solitudine e organizzarne le esequie, funerali a cui, il più delle volte, l'impiegato comunale, interpretato da un Eddie Marsan perfetto è l'unico a partecipare. Still Life di Uberto Pasolini (il produttore del fortunatissimo Full Monty, alla sua seconda regia dopo Machan, premiato qui a Venezia nel 2008) in gara in Orizzonti è stato accolto da applausi così calorosi da aver mezzo in imbarazzo l'autore, romano di nascita, ma ormai decisamente british di professione ed emotività. Lo spunto gli è venuto da un articolo su un giornale inglese. «Mi ha colpita l'idea di tante tombe solitarie, della perdita del senso della comunità che suggeriscono. Il mestiere di John esiste dappertutto, ma pochi lo fanno con il suo spirito, la sua passione composta». Che gli permette, partendo dagli oggetti lasciati dal defunto – la fotografia di un gatto, una collana, un rossetto, un biglietto – di scrivere trascinanti orazioni funebri che nessuno ascolterà. «Non inventa, parte da quegli oggetti per immaginare vite piene e felici, un regalo a chi non le ha avute». La sua sembra una specchio della loro: non ha famiglia, non ha amici. «Avendo vissuto una vita piena, io vivo la solitudine come una cosa tragica. Il mio protagonista invece non ha la percezione di essere solo, non è un uomo triste. E l'ultimo caso gli permetterà di aprirsi alla vita. Una sorpresa anche per lui». E per la Mostra.
S. U., Corriere della Sera, 4/9/2013 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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