Verso oriente - Kedma - Kedma
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Regia: | Gitai Amos |
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Cast e credits: |
Soggetto: Marie-José Sanselme, Amos Gitaï ; sceneggiatura: Marie-José Sanselme, Amos Gitaï; fotografia: Yorgos Arvanitis; musiche: Manfred Eicher, David Darling; montaggio: Kobi Netanel; scenografia: Eitan Levi; interpreti: Andrei Kashkar (Yanush), Menahem Lang (Menachem), Yussuf Abu-Warda (Yussuf ), Moni Moshonov (Klibanov), Helena Yaralova (Rosa), Jiliano Merr (Mussa), Sandy Bar (Yardena), Tomer Ruso (Milek), Veronica Nicole (Hanka), Leron Levo (Gideon), Roman Hazanowski (Roman), Dalia Shachaf (Dalia), Keren Ben Raphael (Aisha), Gal Altsculer (Ygal); produzione: Agav Films-Arte France Cinema-Agav Hafakot-Mp Productions-Bim Distribuzione- Eurimages-Israel Film Fund-Tel Aviv Foundation-Mk2-Canal +-Telad-Rai Cinema-Cnc; distribuzione: Bim Distribuzione; origine: Francia-Israele-Italia, 2002; durata: 100'. |
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Trama: | Una cronaca epico-musicale dell'arrivo della prima nave che nel 1948 porta in Palestina i sopravvissuti alla Shoah e degli scontri con le truppe inglesi, nel racconto di un palestinese e di un ebreo. |
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Critica (1): | Sette maggio 1948: all'alba una vecchia nave, la Kedma, s'avvicina alla costa, in vista di Cesarea. Ammassati nella stiva e sul ponte, viaggiano centinaia di uomini e di donne sopravvissuti allo Sterminio. Alle loro spalle c'è un vuoto orrido che la memoria vorrebbe lasciare. Davanti c'è la Palestina, anzi Israele, spazio aperto della speranza. Questo momento fermano sullo schermo, Amos Gitai e la cosceneggiatrice Marie-José Sanselme, questo momento sospeso, non più passato e non ancora futuro.
Nelle poche ore che seguono lo sbarco a Cesarea sta tutto Kedma - Verso oriente (...). E però il suo "tempo" vero va oltre quel venerdì lontano. All'indietro, torna alla memoria e all'Europa, all'odio e alla morte. In avanti, giunge fino alla coscienza dell'oggi, e purtroppo di nuovo all'odio, alla morte. Mai Gitai è riuscito a scendere così a fondo nella sua propria memoria e nella sua propria coscienza. E mai il suo cinema è stato tanto cinema: ossia, tanto capace per se stesso - per le sue immagini e per i suoi ritmi - di esprimere dolore fisico, comprensione intellettuale, compassione umana, coraggio morale.
Torniamo all'inizio, al tempo sospeso che s'annuncia in vista di Cesarea. A bordo della Kedma c'è Rosa (Helena Yaralova), che è scampata al gelo della Siberia. E ci sono Yanush (Andrei Kashkar) e Roman (Roman Hazanowski), che vengono dalla Polonia e dal ghetto, e Menachem (Menachem Lang), che nel suo libro di preghiere non trova più Dio. Al suo fianco, tenera come una madre ancor più che come una compagna, lo protegge Hanka (Veronica Nicole). E poi ci sono tutti gli altri, nel grigio freddo del mattino, in attesa.
Egualmente in attesa, ma con le armi in pugno, stanno sulla terraferma Mussa (Juliano Merr) e i suoi, uomini e donne dell'esercito segreto ebraico. E poi, di fianco a loro e non visti, ci sono i soldati inglesi, che il cinema mostra tragicamente goffi, quasi patetici nel loro formalismo militaresco e patriottico. Ben presto, in fuga verso Gerusalemme assediata o asserragliati nelle loro case con mortai e fucili, ci saranno anche i palestinesi, a completare la "scena".
Che di una scena in senso alto e forte si tratti, è ormai chiaro. Della spiaggia, delle rocce, delle colline, delle strade di quel pezzo di Palestina Gitai fa un palcoscenico dell'odio. Su di esso si muovono, si incontrano, si scontrano, si uccidono i personaggi d'una tragedia che viene da lontano, e che ancora non finisce. Per quanto situazioni, fatti e nomi rimandino al dato storico - una settimana più tardi, il 14 maggio, Ben Gurion proclamerà l'indipendenza dello Stato d'Israele -, tuttavia non è realistico ma metaforico il senso più profondo di questo teatro di un'umanità senza pace, divisa già nelle molte lingue che (nell'edizione originale) si sovrappongono e si confondono.
Appena sbarcati, a Rosa, a Yanush, a Roman, a Menachem, a Hanka e agli altri capita quello che è loro capitato in Europa: devono fuggire ancora una volta, devono disperdersi e nascondersi. Ancora una volta la speranza non ha diritti, se non quelli che riesca a rubare all'odio e alla paura. Ma resta l'apertura del tempo sospeso, di un futuro che s'annuncia. Che cosa fanno, Rosa e Yanush, vicino a un fuoco che non vuole spegnersi, l'una nella braccia del l'altro e fermi, nonostante i soldati inglesi e nonostante la fretta di Mussa? Sono radicalmente, disperatamente in attesa: immobili sulla soglia dell'inizio, a farsene addolcire di quiete il corpo e l'anima.
Poi si mettono in cammino, insieme con i loro compagni. Ed entrano nella Storia e nelle sue miserie. La loro strada più d'una volta incrocia quella - speculare anche nel dolore - dei palestinesi: in fuga come loro, e come loro carichi di povertà e d'abbandono. Quando si incontrano, il risentimento produce morte, e la morte produce risentimento.
Preso dal dolore e dalla tragedia degli uni e degli altri, Gitai non dimentica la loro uguale umanità. Così, in un tempo sospeso che minaccia di consumarsi nell'immobilità, affida all'ebreo Yanush e al palestinese Yussuf (Yussef Abu Warda) il compito di esprimere la contraddizione fra due pene assolute. Tocca al secondo promettere vendetta (lo fa usando l'altezza poetica dell'arabo letterario, resa in doppiaggio con un italiano giustamente aulico): "Qui resteremo, malgrado voi, come un muro. Scriveremo poesie, e riempiremo le strade con le nostre immense manifestazioni... E i nostri bambini si ribelleranno, generazione dopo generazione". E tocca al primo invocare disperatamente un'altra storia, un altro progetto per il futuro "per mettere fine a quest'incubo disumano".
Roberto Escobar, Il Sole-24 Ore, 16/6/2002 |
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