Manhunter - Frammenti di un omicidio - Manhunter
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Regia: | Mann Michael |
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Cast e credits: |
Soggetto: basato sul romanzo "Red Dragon" di Thomas Harris; sceneggiatura: Michael Mann; fotografia: Dante Spinotti; musica: Reds & Michel Rubini; montaggio: Dov Hoenig; scenografia: Mel Bourne; costumi: Colleen Atwood; suono: John Miichell; inierpreii: Williain L. Petersen (Will Graham), Kim Greist (Molly Graham), Joan Allen (Reba), Brían Cox (Dottor Lektor), Dennis Farina (Jack Crawford), Stephen Lang (Freddie Lounds), Toni Noonam (Francis Dollarhyde); produzione: Richard Roth, per Richard Roth produclion; distribuzione: FILMAURO; origine: USA;, 1996 durata: 117. |
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Trama: | Will Graham, ex agente dell'Fbi, si è ritirato a vita privata a causa delle ossessioni mentali che gli ha procurato la caccia ad Hannibal Lecter, maniaco cannibale. Su invito di un collega decide però di tornare al lavoro. Un nuovo maniaco agisce in città, e per catturarlo Will non esita a rivolgersi allo stesso dottor Lecter, rinchiuso in prigione. |
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Critica (1): | I primi istanti di Manhunter sono un gioiello di virtuosismo barocco. Nella macchina c'è una pellicola per interni ad elevatissima sensibilità: niente illuminazione o quasi; solo una grana disordinata nell'immagine che scava nell'oscurità, e si attarda sul volto della prima vittima. Le angolazioni delle inquadrature sono rigorosamente insensate e complesse. Lo stile è chiaramente espressionista; ma il bravo Dante Spinotti obbedisce ad una logica che gli impedisce di abbandonarsi al virtuosismo gratuito. La m.d.p. detta legge nel film: ma è anche il veicolo, non solo estetico, per la digressione in una realtà alternativa e speculare sul baratro della follia.
Manhunter è un'altra pietra miliare che dimostra il rifiuto netto dei nuovi autori a filmare fa quotidianità. La rassicurante luce del giorno viene presto dimenticata dalle prime inquadrature. Regnano le tenebre, in un trip verso i territori sconosciuti dell'anima. Questo è cinema dell'inconscio. Alcuni passi oltre la follia di Qualcuno volò sul nido del cuculo e Shining, in successione naturale a Nightmare - Dal profondo della notte. Il percorso verso la verità è maledettamente pericoloso. Solo per scoprire che neri c'è soluzione; oppure esisteva già dall'inizio
Michael Mann è il talento sottovalutato del nuovo cinema americano. Background: il Tv-movie Jericho Mile, quindi Strade violente e The Keep. Il cinema l'ha rifiutato per un flop. Ha dovuto congegnare il telefilm-video-clip di successo Miami Vice per farsi restituire il passaporto di regista per il grande schermo. Non più destinazione Hollywood, ma il North Carolina di Dino De Laurentiis: dove il successo di un film è relativo, tanto bastano le vendite all'estero per colmare i buchi finanziari. Mann è anche uno stilista, che punta all'istintività e alle barbarie nascosta dell'uomo. Per il momento, data la sua difficoltà a trovare uno script da girare, assomiglia ad un Michael Cimino dopo la condanna di Heaven's Gate. Ed è forse il timore dell'insuccesso ripetitivo a scatenare la rabbia e la foga dei suoi personaggi. Manhunter è un naturale passo successivo a The Keep: immutata la struttura, anche se nel nuovo capitolo l'orrore è celato nella mente. Nel penultimo film di Mann, soldati nazisti venivano grottescamente fusi alle foro amni o ad un castello della Transilvania, da un invisibile nemico. Restava l'inquietante traccia del crimine. Per trovare l'assassino, era innanzitutto necessario studiare le sue origini, guardare all'interno dell'animo omicida delle SS. Allo stesso modo in Manhunter, il momento del delitto non viene inquadrato. E cancellato è il desiderio escatologico del ricorrere all'effetto speciale privo di creatività. Mann non fotografa fa morte. Si accontenta del sangue sulle pareti, il risultato dell'autopsia e due fotografie-verité del crimine; con il risultato di ingigantire l'effetto shock del massacro.
Will Graham è un ex cacciatore di maniaci per l'FBI. Per catturarli, deve prima "entrare" nella loro personalità, diventare uno di loro. E così nei nuovi omicidi commessi nelle notti di luna piena, Graham deve farsi un'idea dell'aspetto dello psicopatico; e rischiare al limite di somigliargli troppo fedelmente per individuarlo. Ma la funzione di Manhunter non è smascherare la pedina in nero: il volto e il nome dell'assassino sono già noti verso la metà del film. Inizia solo allora la vera indagine di Michael Manni. All'interno dell'abitazione del folle, per fornire una logica al suo comportamento. La caratterizzazione è doppiamente ambigua. Dollarhyde, il pazzo, è innanzitutto un uomo. Ha il volto semideformato da una malattia congenita, ma vive, agisce, ama e viene accecato dalla gelosia come un uomo qualsiasi. Come Will Graham, Mann passa rapidamente da un carattere all'altro, individuando i due punti di vista della storia, avvicinandoli e allontanandoli tra loro per confermare che tra poliziotto e assassino c'è sempre stata un'enorme specularità. Questo è reso ancora più incisivo dalla lucida prestazione di William Petersen, già agente in Vivere e morire a Los Angeles.
L'aspetto più perverso di Manhunter è il dettaglio della diversità. Dollarhyde uccide perché un pubblico di morti possa applaudirlo e riverirlo come un dio. La sua purezza viene messa in dubbio quando s'innamora di una ragazza cieca. Ed è la propria devianza a manifestarsi quando crede di vede e fa fidanzata tra le braccia di un altro uomo. La sua invincibilità è stata sconfitta. Vince Will Graham, vince l'equilibrio, vince la fiducia.
Come in un noir postmoderno, torna fa luce solare solo nelle ultime inquadrature. Michael Mann è uno dei pochissimi autori ad aver filmato da vicino, con una soggettiva inquietante, il carattere più intimo della perversione. Adesso sarebbe un dramma se fosse costretto ad altri tre anni di televisione dai moguls di Hollywood. II suo talento non deve essere accantonato.
Gianni Salza, Segno Cinema n. 28 maggio 1967 |
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