Vinti (I)
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Regia: | Antonioni Michelangelo |
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Cast e credits: |
Soggetto: Michelangelo Antonioni, Suso Cecchi D'Amico, Diego Fabbri, Turi Vasile, Giorgio Bassani; sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Suso Cecchi D'Amico; fotografia: Enzo Serafin; montaggio: Eraldo da Roma; scenografia: Gianni Polidori, Ronald Berthon; musica: Giovanni Fusco; interpreti: EPISODIO FRANCESE Etchika Choureau (Simone), Jean Pierre Mocky (Pierre); EPISODIO ITALIANO Anna Maria Ferrero (Marina), Franco Interlenghi (Claudio), Evi Maltagliati (madre di Claudio); EPISODIO INGLESE Peter Reynolds (Aubray Hallan), Patrick Barr (Ken Watton); produzione: Film Costellazione Roma; origine: Italia, 1952; durata: 110'. |
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Trama: | Episodio francese: Pierre, studente di un liceo francese, è uno spaccone, che dà ad intendere ai compagni di guadagnare dei milioni. I compagni decidono di ucciderlo per derubarlo: Simone finge d'esserne innamorata per indurlo a scrivere una lettera, che servirà a costituire degli alibi. Andrè spara sul compagno, poi tutti fuggono. Pierre non muore subito e può raccontare l'accaduto. André, accompagnato dal padre, si costituisce al commissariato. Episodio italiano: Giulio, uno studente figlio di un professionista, pratica il contrabbando. Una notte viene sorpreso dalla polizia: nel fuggire, dopo aver ucciso un guardiano, cade da un'impalcatura riportando gravi lesioni, e si reca dalla sua fidanzata, la quale vorrebbe condurlo dal medico. Ma egli fugge a casa sua e muore mentre giungono gli agenti.Episodio inglese: in Inghilterra Aubrey Allan comunica ad un giornale di aver scoperto il cadavere di una donna. Viene avvertita la polizia: Aubrey scrive per il giornale un articolo sul rinvenimento del cadavere. Dopo qualche tempo Aubrey dichiara d'esser l'uccisore della donna. Egli crede d'aver compiuto un delitto perfetto, ma s'inganna: nella sua prima deposizione i giudici scoprono le prove della sua colpevolezza e lo condannano a morte. |
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Critica (1): | Michelangelo Antonioni con questo suo ultimo film I vinti ha voluto affrontare il cosiddetto problema (che, secondo noi, non esiste, almeno come problema a sé) della gioventù traviata e criminale. Il film che è composto di tre episodi, uno per l'Italia, uno per la Francia e uno per l'Inghilterra è preceduto da un'intrduzione di titoli e fotografie di giornali dedicati appunto a recenti casi di delinquenza giovanile e accompagnata da un "narratage" esplicativo. Si tratterebbe, secondo Antonioni, di «una generazione rovinata dalla guerra di cui, tra i tanti motivi, essa non avrebbe trattenuto e accettato che quello della violenza. Accanto alla violenza, poi, starebbe la vanità ossia il desiderio di compiere gesti eccezionali». Violenza e desiderio di far cose straordinarie porterebbero, appunto, al delitto. Non staremo a discutere con Antonioni su questa sua diagnosi tra moraleggiante e psicologistica. Ci limiteremo ad osservare che egli forse scambia gli effetti per cause. In realtà non ci sono "generazioni bruciate" se non dentro i limiti di particolari contingenze non troppo significative. E il "bruciamento" delle generazioni è ormai un fatto di cultura e storico vecchio almeno quanto il secolo, se non di più; e i padri e i nonni non sono meno "bruciati" dei figli e nipoti, da settant'anni in qua. Anche Raskolnikov in Delitto e castigo crede nella violenza e nel diritto di compiere gesti eccezionali. E allora? I tre episodi, come abbiamo detto, illustrano tre situazioni simili in tre paesi diversi. Quello italiano racconta il caso di un giovane di buona famiglia che per bisogno di danaro e per desiderio di avventura si dà al contrabbando delle sigarette. Scoperto e inseguito, spara e uccide un uomo e quindi, feritosi in seguito ad una caduta, va a morire in casa sua, sotto gli occhi dei genitori incomprensivi e desolati. L'episodio francese ricalca il fatto degli studenti di Parigi che qualche anno fa uccisero in circostanze particolarmente terribili e pietose un loro compagno fanfarone e mitomane, parte per invidia e parte per interesse. Finalmente l'episodio inglese è tratto dal fatto, anch'esso realmente avvenuto, del giovane che senza motivo, forse per suggestione dei libri gialli, strangolò una donna e poi volle sfruttare il delitto scrivendone il resoconto per i giornali.
Diciamo subito che Antonioni con questo film si è impigliato nella stessa contraddizione che viziava le sue opere precedenti. La sua ambizione formale lo porta ad un linguaggio elegante, asciutto, rapido, ad un modo di narrazione, insomma, tutto risolto nell'immagine e nel movimento, senza concessioni alla psicologia, all'intreccio e ai caratteri. Si pensi, per fare un esempio, alla maniera secca e apparentemente superficiale di un Mérimée. D'altra parte, però, Antonioni vorrebbe essere un moralista. E non un moralista volterriano, bensì un moralista moderno, attento alla cronaca al fatto del giorno, umanitario o, almeno, umano. Ora ci sembra che tra l'eleganza di superficie e il moralismo ammonitore ci sia una contraddizione invalicabile. Il moralismo richiederebbe un approfondimento e anche, se vogliamo, una commozione che l'eleganza esclude. Ne segue una curiosa mescolanza di esercizi di stile e di giudizio morale, una disparità tra il fine e i mezzi che producono il senso di freddezza e di aridità propri a tutti i film di Antonioni. D'altra parte, come è noto, moralismo e preoccupazione formale sono ambedue posizioni denotanti una certa immaturità.
Antonioni nei tre episodi dei Vinti fornisce ancora una volta una dimostrazione della sua grande bravura, fino a sfiorare il "pastiche" rispettivamente del cinema inglese, del cinema francese e del neorealismo italiano; ma sotto questa bravura si avverte non di rado una gracilità e una mancanza di partecipazione sconcertanti. Talvolta Antonioni sembra guardare con simpatia e pietà ad un personaggio, come per esempio al giovane assassinato dell'episodio francese, e allora il film si rialza, in un calore imprevisto. Dei tre episodi l'inglese, più semplice, è il migliore; quello francese ha momenti assai felici ma la sua complessità avrebbe meritato un approfondimento e uno sviluppo maggiori; quello italiano, rifatto tre volte (e l'ultimo rifacimento è certo il migliore), è il meno convincente.
Rispetto agli altri film di Antonioni, I vinti segna senza dubbio un progresso notevole. Nei Vinti ci sono una finezza e una sicurezza che mancavano, per esempio, nella Signora senza camelie. Basterà ricordare, tra le tante cose buone, l'incontro tra il giovane inglese e la sua vittima, la gita in campagna degli sciagurati studenti francesi. Ma vorremmo che Antonioni, ormai padrone dei suoi mezzi, facesse un film in cui ci dicesse qualche cosa che lo riguarda direttamente, e che non fosse soltanto un pretesto per la sua bravura.
Alberto Moravia, L'Europeo, 1/11/1953 |
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Critica (2): | Tre episodi: in Francia giovani studenti compiono un delitto gratuito; in Italia un ragazzo ricco diventa
dinamitardo per noia ed è ucciso in una retata; in Inghilterra un giovane paranoico commette un delitto perfetto perché senza movente. Antonioni tocca con concretezza il problema della gioventù deviante nei cui crimini si coagulano moventi oscuri e assurdi, peculiari di un clima sociale, ben resi soprattutto nella fusione di humour nero e sotterraneo sadismo dell'episodio inglese. Tartassato dalla censura, l'episodio italiano non è giudicabile.
Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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