Pummarò
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Regia: | Placido Michele |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: M. Placido, Stefano Rulli, Sandro Petraglia; fotografia: Vilko Filac; montaggio: Rugggero Mastroianni; musica: Lucio Dalla, Mauro Malavasi; interpreti: Thywill Abraham, Kwaku Amenya, Pamela Villoresi, Jacqueline Williams; produzione: Cineuropa 92-Numero Uno Int.; distribuzione: Filmauro; origine: Italia, 1990, colore; durata: 100'. |
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Trama: |
Laureato in medicina parte dal Ghana per l'Italia in cerca del fratello venuto a lavorare come raccoglitore di pomodori.
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Critica (1): | L'applauso forse più caldo di Cannes '90 é toccato proprio a lui, al commissario Cattani passato dietro la macchina da presa, quel Placido (con l'accento inesorabilmente tonico) che piace tanto ai francesi. Toccato dal neo-realismo di ritorno di Mery per sempre e prima di ritrovarsi in Afghanistan nei panni di un sergente sovietico, il popolare attore ha inforcato d'assalto, con il sostegno di scrittura di Petraglia e Rulli, uno dei temi scottanti di attualità nel nostro paese, immigrazione e razzismo. Con piglio semidocumentaristico (ma la cronaca quotidiana é ancora più drammatica delle immagini), Pummarò accompagna a ritmo di ballata le vicende in Italia di un giovane africano, Samuel, fresco fresco di college, che arriva in Campania alla ricerca del mitico fratello che aveva cercato scampo alla miseria, come migliaia di extracomunitari, clandestini e non, nella raccolta dei pomodori. Spirito inquieto, Pummarò (nomignolo napoletano affibbiato al fratello) si era rivoltato contro lo sfruttamento e i soprusi di camorra e padroncini, dandosi alla macchia. Al candido Samuel non resta che seguire le tracce del fratello, in un'odissea ora grottesca ora tragica che gli fa attraversare le condizioni di degrado, di squallore, di insopportabile servitù in cui versano le centinaia di lavoratori neri, privi delle più elementari condizioni igieniche e abitative (basta leggere le cronache da Villa Literno...) e continuamente minacciati dai ricatti e le violenze dei caporali locali. La quête lo rimbalza dal Sud al Nord, tra curiosi filosofi decaduti e solidali e generose prostitute di colore, fino ad approdare alla comprensione e all'affetto di un'assistente sociale bianca a Verona. Ma qui la città di Giulietta e Romeo gioca il prevedibile scherzo sentimentale al 'povero negro' e al film, facendolo scivolare nelle insidie dell'ovvio, azioni e reazioni dei benpensanti comprese.
Superato il romanzetto, il film di Placido ritorna alle cadenze dure dell'inizio, spostando in Germania l'epilogo assai poco consolatorio per Pummarò e i suoi fratelli. Un film certo imperfetto, acerbo, comunque generoso, a tratti commovente, sostenuto dall'istintiva credibilità dell'interprete, ora stupito ora indignato per la fatica di essere nero in terra bianca.
Giovanni M. Rossi, Vivi il Cinema n. 24-25 settembre ottobre 1990 |
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Critica (2): | Forse non c'é altra ragione di vedere Pummarò che quella di testimoniare una scelta civile. Il didatticismo, le scelte drammaturgiche, l'interpretazione volonterosa, le buone intenzioni degli autori sono troppo palesi. Diversamente sarebbe stato se Placido, invece di seguire le avventure di Kwaku alla ricerca del fratello raccoglitore di pomodori nel Napoletano - da qui il soprannome Pummarò -, ci avesse fatto seguire il personaggio del titolo. Eppure ci sono anche ragioni per sostenere che quest'opera prima di Placido é validamente destinata al pubblico televisivo di Raidue, che non é educato dal Samarcanda di Raitre, e che, come buona parte dei pubblici italiani, non é scevro da un generico e ordinario razzismo culturale. E' però un pubblico che all'ipocrita definizione di lavoratore extracomunitario, coniata dalle autorità governative, sostituisce il più brutale vu' cumprà, ottimo per rilevare i rapporti sociali, anche se, non facendo distinzione di razza o di provenienza, potenzialmente nega la rilevanza della dimensione culturale.
A questo pubblico Placido, Rulli e Petraglia, reduci dai più facili successi della Piovra, offrono una storia fatta di verità meno spettacolari, ma convincenti e documentate. Seguendo le tracce di Pummarò, in fuga perché in urto con la mafia, il protagonista compie un giro d'Italia, da Sud a Nord, con appendice in Germania, che sembra un'autentica Via Crucis con morte finale e pochissime concessioni al folklore. Le tappe sono ben rappresentative del dramma di questi aspiranti lavoratori; la semplificazione dei temi e l'abuso di immagini telefilmate sono solo un tributo alla massima comprensione; le parentesi melodrammatiche rischiano, anche quelle, di essere terribilmente vere. Si può forse rimproverare al regista l'episodio sentimentale, nella Verona di Giulietta e Romeo, ma esso serve a mettere in luce che non esiste solo il problema del lavoratore straniero, ma anche quello della posizione dei nativi di fronte a questo problema. Sorprende invece l'assenza dei riflessi sociali della dimensione religiosa, che in un reportage così accurato non si sa proprio come spiegare.
Giorgio Rinaldi, Cineforum n. 295 giugno 1990 |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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