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Se permettete. parliamo di donne - Se permettete, parliamo di donne


Regia:Scola Ettore

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola; fotografia: Alessandro D'Eva; scenografia: Arrigo Breschi; musica: Armando Trovajoli; montaggio: Marcello Malvestiti; interpreti: Vittorio Gassman (il proteiforme Adamo), Maria Fiore (la moglie del "picciotto"), Sylva Koscina (la fidanzata difficile), Antonella Lualdi (la bella frettolosa), Giovanna Ralli (la "professionista"), Eleonora Rossi Drago (la sofisticata), Jeanne Vallerei (la moglie del carcerato), Walter Chiari, Umberto D'Orsi, Riccardo Garrone, Attilio Dottesio, Edda Ferronao, Mario Brega, Heidj Stroh, Olga Romanelli; produzione: Mario Cecchi Gori per la Fair Film (Roma)/Concordia Film (Parigi); distribuzione: Cineteca Nazionale; anno: 1964; durata: 114'.

Trama:Primo film del regista Ettore Scola. Film a episodi con la presenza mattatoriale di Vittorio Gassman.

Critica (1):Scola serba un buon ricordo di questa sua "opera prima", accompagnata da un lusinghiero successo di pubblico e da feroci stroncature da parte della critica. Il film incassa 748 milioni di allora: più de Il gaucho (521), sceneggiato in quella stessa stagione per Risi, il doppio ai Deserto rosso (423), innumerevoli volte di più di Prima della Rivoluzione ... tutt'altro che un esordio in sordina, insomma. "Si tratta - scrive Tullio Kezich - di un'antologia di barzellette sceneggiate, dove il Mattatore appare ripetutamente in mutande, si abbottona i pantaloni, mangia facendo rumore con la bocca, beve succhiando e con il mignolo alzato, fa le corna, rutta, si gratta il didietro, palpeggia le donne, abbraccia gli uomini e pronuncia un congruo numero di espressioni che non riferiremo". E più avanti: "...siamo in parecchi ad uscire con un senso di vergogna. Spettacoli dove l'umorismo ha perso ogni carica aggressiva e si risolve tutto nella dimensione licenziosa; per riprendere una distinzione di Freud: niente satira di costume ma oscenità compiaciuta". Ad un certo punto, però, gli sorge un dubbio: "Se un marziano (si riferisce al racconto di Flaiano, n.d.r.) dovesse veramente arrivare sulla Terra a giudicare la civiltà in cui viviamo dai nostri divertimenti, che cosa potrebbe dire? Se permettete, parliamo di donne informa sull'alienazione con maggiore franchezza di un film di Antonioni: è il ritratto di una società che si sfrena nel possesso delle cose, che sfoga i suoi istinti profondi nell'umiliazione della donna ridotta ad oggetto, che consuma i suoi tetri saturnali senza luce né di pensiero né di poesia". E dopo il dubbio, il sospetto e una certezza. Il sospetto riguarda Gassman: "Se avesse voluto addossarsi in un certo senso i malanni della nostra società per denunciarli, potremmo anche essergli grati. Ma abbiamo il sospetto, invece, che l'attore stia attraversando un momento di confusione". La certezza, Scola: "...che esordio deprimente per uno sceneggiatore non privo di ingegno".
Se ci siamo dilungati sulla recensione di Kesich (oggi in Il Film Sessanta, Milano 1979), è perché a differenza di numerose altre stroncature, dove si insiste sulla trivialità "avulsa" e con i rimproveri a Gassman per essersi "prestato" a simili nefandezze, qui il dubbio, benché retorico, emerge. "Triviale" è il reale o la rappresentazione grottesca che Scola ne dà? E la denuncia consiste nel dire o nel mostrare? Nodi irrisolti (ma in parte decantati) della commedia. Certo che allora la critica era molto meno disponibile a simili interrogativi: quella di sinistra in nome dell'impegno, quella di destra in osservanza al monito dei buoni costumi, l'una e l'altra portate a misconoscere la carica di per sé eversiva del comico, quand'anche scurrile e "compiaciuto" (o forse la seconda ben più consapevole di tale intrinseca eversione). Indubbiamente, una buona dose di compiacimento, di "complicità", vi era in quell'eccesso di rappresentazione. Parla chiaro, del resto, il botteghino quando annichilisce Bertolucci e svilisce Antonioni per premiare l'esordiente Scola. Ma, ugualmente, l'insistere su quelle "virtù" degli italiani non corrispondeva ad un aprire (e far aprire) gli occhi sull'Italia del boom? Il discorso vale per Scola come per altri: è possibile che sulla "mostruosità" degli eroi della commedia il pubblico trovasse ben poco da ridire, applaudendo a scena aperta, ma non per questo la "mostruosità" era meno mostruosa, a saperla (e volerla) cogliere. A tanti anni di distanza, è bene dunque che il giudizio non si lasci influenzare dal comune (di allora) senso del pudore. E faccia piuttosto i conti con le qualità dei singoli film.
Se permettete... è un'opera diseguale, che alterna momenti ed episodi di grande comicità ad altri di oggettiva debolezza. Ha ragione Gassman quando trova che gli interventi dello stracciarolo e del carcerato rimangono "assolutamente irresistibili". Ma altri sono vene di sapida costruzione: ad esempio il quadretto siciliano di apertura, o la rimpatriata dei vecchi amici a spese della mondana. Il loro quid sta nella deflagrante tensione della parabola, imprevedibile radiografia di una banalissima "tranche de vie" sfociante nell'assurdo. L'avidità dello stracciarolo, la buona fede del carcerato, la paura della donna sicula sono tasselli di una quotidianità deformata alle origini, dove uomini e donne (fa poca differenza, almeno in questa prima (fase) sono chiamati a interpretare il medesimo copione più che se stessi, vittime o profittatori che siano. La casistica offerta dalla vita di tutti i giorni è infinita e fa leva, invariabilmente, sull'egoismo. Ciascuno bada al proprio tornaconto frega, come può, il prossimo: la fidanzata, il marito, la moglie dell'amico, la famiglia, la società. Fosse veramente atterrato un marziano a Roma in quegli anni, questo avrebbe probabilmente visto, gironzolando per la città prima ancora di recarsi al cinema, al cospetto di un esordiente qui e là magari non del tutto convinto e convincente, un tantino convenzionale nel modo di procedere, intransigente nella satira, ma senza mai assumere atteggiamenti troppo moralistici, di sicuro avvenire nonostante il pollice verso della critica e tanto meno licenzioso di quanto il pubblico da pernacchiette poteva desiderare.
Roberto Ellero, Scola La nuova Italia gennaio-febbraio 1988

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