Monica e il desiderio - Sommaren Med Monika
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Regia: | Bergman Ingmar |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal romanzo di Per Anders Fogelström; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; musiche: Walle Soderlund, Erik Nordgren, Eskil Eckert-Lundin; montaggio: Gosta Lewin, Tage Holmberg; interpreti: Bengt Brunskog (Sicke), Åke Grönberg (operaio), John Harryson (Lelle), Nils Hultgren, Magnus Kesster, Torsten Lilliecrona, Sigge Fürst, Gösta Prüzelius, Gustaf Faringborg, Hanny Schedin, Georg Skarstedt (padre di Harry), Einar Soderback, Ivar Wahlgren, Gordon Lowenadler, Arthur Fischer, Åke Fridell (padre di Monica), Andres Andelius, Gosta Eriksson, Carl Axel Elfving, Bengt Eklund, Nils Whiten, Dagmar Ebbesen (patrigno di Harry), Ernst Brunman, Lars Ekborg (Harry), Naemi Briese (madre di Monica), Tor Borong, Astrid Bodin, Renée Björling, Wiktor Andersson, Harriet Andersson (Monica), Bnirger Sahlberg; produzione: Svensk Filmindustri; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Svezia, 1952; durata: 92’. |
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Trama: | Monica, commessa di negozio, non sopporta la mediocrità della vita che conduce, le piatte galanterie dei suoi compagni di lavoro, il disordine e il subbuglio della famiglia numerosa in cui vive, con una madre stanca, nevrastenica e un padre alcoolizzato, a volte violento. Suo unico rifugio è il sogno di evadere nel mondo irreale e roseo ispirato dai rotocalchi e dal cinema. La ragazza incontra Harry, un giovanotto tranquillo ed ingenuo, anch'egli commesso in un magazzino, anch'egli stanco della propria grigia esistenza. Insieme, un bel giorno, i due abbandonano il lavoro e vanno a vivere in una delle innumerevoli isole dell'arcipelago di Stoccolma: spensierati e felici si abbandonano al richiamo della natura, divenendo amanti. A poco a poco, passato il primo momento d'euforia, le preoccupazioni e la noia s'insinuano nella loro spensierata felicità. Quando l'estate ed il denaro finiscono, Monica aspetta un bambino. Tornati a Stoccolma, Harry sposa la sua compagna e s'accinge ad affrontare come meglio può le nuove responsabilità che gravano sulle sue spalle, ma la ragazza, insoddisfatta e delusa del nuovo stato, non esita a riallacciare un'antica relazione sentimentale. Harry non tarda ad accorgersene: fra i due i contrasti si moltiplicano sino alla frattura insanabile. Monica se ne andrà verso il proprio destino mentre Harry terrà presso di sé la piccina, nata dall'infelice amore: sarà ormai l'unica sua ragione di vita. |
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Critica (1): | Alla fine, di Monica e del suo desiderio (di quell'estate con Monica), rimane solo un fantasma, un riflesso della memoria. Il timido serio Harry, innamorato e gabbato, porta in braccio il bambino che lei ha rifiutato, riflesso nello specchio in cui Monica era apparsa all'inizio del film. Ed eccola, un'ultima volta, completamente nuda, che si confonde con le rocce e il mare. Eccola sdraiata sul motoscafo, che procede verso l'orizzonte, con le onde che si allargano e sembrano abbracciare il mondo, in quell'estate in cui il tempo si era fermato, liberato (attraverso i piani sequenza estatici e un montaggio “magico” sincopato). Quindi era tutta un'illusione? Lui si allontana e dentro lo specchio rimangono tre vecchi che portano via tutto, gli stessi su cui Bergman aveva chiuso la magnifica scena dell'incontro tra lei e lui: loro già lo sapevano che dopo ogni primavera arrivano l'autunno e l'inverno. Poco prima c'era stato quello sguardo in camera di Monica (nel 1953!), sguardo di sfida, sfacciato e doloroso, «il più triste della storia del cinema» diceva Godard. Anche l'ultima sequenza non scherza. Ancora Godard: Bergman è come un «Proust moltiplicato per Joyce e Rousseau». In ogni istante, che non finisce mai, c'è tutto il niente di cui non possiamo fare a meno. Vitale, carnale, cupo, indimenticabile film.
Fabrizio Tassi, cineforum.it, 18/7/2018 |
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Critica (2): | Nel 1952 Bergman sviluppa il tema dell'addio all'estate, cioè dell'addio alla giovinezza. La sua poetica, sempre pessimistica — se cosí, schematicamente, si può dire — germina metodicamente e freddamente dalla coscienza del tempo che passa, senza riempire l'eternità né di senso né di sentimento, regalando se mai a un capriccio la durata di una stagione. É la sua « regola del gioco » e lo sarà ancora per molti anni dopo il '52. Sentiamo intanto l'avvicinarsi delle grandi opere tragiche: il ripensamento degli anni inghiottiti, il timore del futuro, l'assillo dei miracoli che non si producono. Ma l'amore giovane, egoista, libero, cosí autosufficiente da rappresentare l'unico miracolo possibile, non colmerà piú i film di Bergman dopo Monica e il desiderio.
Monica e il suo ragazzo danzano dunque, come tanti altri adolescenti della narrativa, del teatro e del cinema scandinavi, una sola estate. Fuggono insieme dalla città, in barca, fra le isole dell'arcipelago di Stoccolma, per costruirvi non un amore duraturo né una sicura esistenza, bensí un ricordo per le ore brutte che verranno e 'che già essi presentono. Piccola fuga che essi d'altronde non considerano tale, perché della vita condotta tino a quel momento nulla accettano, nulla riconoscono come vero. È la loro replica alla miseria, un consapevole inganno alla realtà. La loro estate sarà irragionevole, irreale, senza calendari e con poche provviste. A loro rischio i due giovani rompono per un po' le smorte regole, le «ripetizioni» della vita. Al ritorno il mondo fa le sue ovvie vendette. Povertà, delusione. Nasce un bambino e i due si sposano. L'insofferenza cresce. Monica abbandona la casa, il marito ripara, col figlio, dai suoi genitori. Tutto ciò succede, ma è remoto e vano come un sogno. La vita vera è quella finita con il finire dell'estate, nell'isola. Harry e Monica pagano perché hanno osato spostare i livelli, bruciando l'eternità nel ciclo di qualche mese.
Il racconto di Monica e il desiderio è Bergman tipico, e non ci sentiremmo di dirlo immaturo o incompleto. Se mai — contrariamente a quanto avviene nei Bergman successivi — si può constatare nel film l'interferenza di almeno altre due personalità, l'una con influsso positivo, la seconda con influsso negativo. Ad esempio è fuor di dubbio che il consueto direttore della fotografia di Bergman, Gunnar Fischer, fosse già un maestro nel proprio campo quando il regista ancora non lo era nel suo. Nei film che vengono dopo, fino al 1960, Fischer è sempre valente ma non può considerarsi che un prolungamento dell'occhio di Bergman. Al tempo di Monica e il desiderio il suo contributo impreziosisce e agevola l'opera della regia. La prima parte di Monica è un discorso di luci e reca principalmente la firma del suo operatore.
Nella seconda metà, per contro, si insinua nel film il gusto realisticamente borghese dell'autore del racconto da cui Monica è tratto, Anders Fogelström. Un gusto notevolmente diverso da quello di Bergman. È uno dei rari casi, notiamo, in cui Bergman dirige su copione altrui. Dal che una indistinta mancanza di convinzione, un lieve appiattimento dell'estro, che riconduce a taluni saggi naturalistici del cinema svedese piú generico. Evidentemente Bergman dura fatica a desumere da tale materia la sua argentea e immateriale tristezza, una «morale» che gli conosciamo e che poco ha a che vedere col pessimismo volgare. Nelle scene sull'isolotto tali esitazioni si avvertono meno: prevale, di Bergman, la elasticità ambientale, il tocco di un paesaggio percepito e tuttavia sfuggente. Piú avanti (la degradazione e il distacco della coppia) l'estraneità dalle cornici suggerite da Fogelström incide sulla severità di sguardo e di giudizio del regista. (…)
Tino Ranieri, Ingmar Bergman, Il Castoro cinema, 12/1974. |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
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