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Honeyland - Il Regno delle Api


Regia:Kotevska Tamara, Stefanov Ljubo

Cast e credits:
Sceneggiatura: Tamara Kotevska, Ljubo Stefanov; fotografia: Fejmi Daut, Samir Ljuma; musiche: Foltin; montaggio: Atanas Georgiev; suono: Rana Eid; interpreti: Hatidze Muratova, Nazife Muratova, Hussein Sam, Ljutvie Sam; produzione: Apolo Media, Trice Films con Apolo Media e Pharmachem – Skopje; distribuzione: Stefilm International; origine: Macedonia, 2019; durata: 85’.

Trama:Hatidze vive con l'anziana madre in un villaggio remoto e abbandonato, privo di strade, elettricità e acqua corrente. Lei è l'ultima donna di una generazione di apicoltori. Sembra uscita da una fiaba. Si arrampica per le montagne su sentieri a picco su alti strapiombi per estrarre il miele dai favi selvatici. Poi canta alle api e il suo modo di fare è così naturale che i suoi movimenti sembrano quasi una danza. Il poco miele che ricava lo rivenderà al mercato di Skopje, dopo quattro ore di cammino. Un giorno la pacifica esistenza di Hatidze viene sconvolta dall'arrivo di una chiassosa famiglia nomade con cento mucche e sette bambini scatenati. Hatidze accetta ottimisticamente l'idea di avere dei vicini di casa offrendo il suo affetto e i suoi consigli sull'apicoltura. Ma non ci vorrà molto prima che Hussein, il patriarca della famiglia nomade, fiuti l'opportunità e sviluppi interesse per la vendita del proprio miele. Hussein ha sette giovani bocche da sfamare e nessun pascolo per il suo bestiame e presto mette da parte i consigli di Hatidze per una sfrenata caccia al profitto. Questo causa una rottura nell'ordine naturale e provoca un conflitto insanabile con Hatidze. L'arrivo di questa famiglia fornisce a Hatidze una tregua dall'isolamento e dalla solitudine, ma mette in grave pericolo la vita delle api e con essa l'unica forma di sostentamento di Hatidze.

Critica (1):Per portare a termine Honeyland ci sono voluti quattro anni e 400 ore di ripresa. Il documentario premiato al Sundance, ed arrivato all’attenzione degli Oscar, dove ha ricevuto due candidature (miglior documentario, miglior film straniero), nasce in realtà da un progetto iniziale molto diverso. L’idea era di confezionare un video promozionale del territorio dove scorre il fiume Bregalnica, nel Nord della Macedonia, corretta in corsa dopo l’incontro della troupe con Hatidze Muratova, una apicoltrice che accudisce amorevolmente la madre anziana e malata. La vita delle donne si svolge in perfetto isolamento, fatta eccezione per gli animali, e la passione di Hatidze per le api le permette di ricavare quel tanto che basta per la loro sussistenza attraverso la vendita del miele nel mercato di Skopje. Le finalità economiche sono un’appendice, l’armonia resta il cardine di un rispetto per l’ecosistema che nella reciprocità continua a replicarsi e donarsi supporto. Infatti le tecniche utilizzate dalla protagonista per l’allevamento e la produzione del prodotto evitano con attenzione di alterare un equilibrio costruito nel tempo, per tutelare la genuinità e garantire il decorso del ciclo naturale.
L’arrivo furibondo di una famiglia turca nei terreni limitrofi, uomo, donna, sette figli, insomma quanto di più simile ad una carovana, stravolge questo piccolo angolo dominato dai rumori della routine bucolica. Hussein Sam è anch’esso un apicoltore e proprietario di vacche che conduce una vita nomade. La sua relazione con la terra è di tipo rapace, per sfamare la numerosa prole è disposto ad esercitare uno sfruttamento intensivo degli animali, anche a costo di mettere a repentaglio la loro stessa vita e danneggiare irrimediabilmente l’habitat. Motivati da visioni così distanti, basta poco affinché il rapporto di buon vicinato cominci a guastarsi. Dal contrasto generazionale colpisce invece l’esistenza di un bioritmo precoce, la presenza di uno stadio educativo dettato dalla necessità di imparare abbastanza per sopravvivere, ed anche sotto questo aspetto possono rilevarsi delle sfumature significative nel modo giusto per relazionarsi con il pianeta, optando per uno scambio simbiotico o soltanto parassitario.
Quale che sia l’approccio umano, l’attenzione del film si concentra sugli aspetti della vita contadina piena di spiragli di mirabile bellezza ma ugualmente faticosa, fatta di una durezza senza appello, sorda alle necessità quanto generosa nell’elargire doni. Evita di raccontare un idillio incrollabile, marca invece le fragilità, e lo fa soprattutto descrivendo i pericoli insiti nel processo di smielatura durante l’estrazione dei favi dall’apiario, dove la salvaguardia e la cautela lavorano per lo stesso obiettivo.
Honeyland parla dunque del disastro ambientale riflettendo sulla posizione invasiva dell’uomo, convinto di meritare dei riguardi speciali, talmente accecato di egocentrismo da riservare per sé gli onori, pronto a lasciare gli oneri ai posteri. Un lascito avvelenato di irresponsabilità. Le conseguenze del suo passaggio coprono la parte centrale del film, costruita rispettando una certa fedeltà cronologica dall’arrivo, con l’invasione dello spazio e la baraonda, per poi arrivare alla partenza e l’impatto ambientale degradante indicato dai segni lasciati a terra.
Resta la sensibilità di sguardo della protagonista, il volto scavato dalle rughe e dalle lacrime, simbolo di una diversità piena di speranza ma condannata all’impotenza da comportamenti sciagurati, ultimo baluardo prima di una deriva irreversibile. Un piccolo universo specchio di qualcosa di molto più grande, capace di farsi portatore di un messaggio di allerta planetario. Gettando una luce sul mondo delle api, insetto sociale e primo indicatore sul grado di inquinamento, sentinella eccellente e laboriosa, considerata ormai come specie a rischio d’estinzione.
Antonio D’Onofrio, sentieriselvaggi.it

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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