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Due orfanelli (I)


Regia:Mattoli Mario

Cast e credits:
Soggetto: Mario Mattòli, Steno (Stefano Vanzina) ; sceneggiatura: Age (Agenore Incrocci) , Steno, Jean-Jacques Rastier; fotografia: Jan Stallich, Tino Santoni; scenografia: Gastone Medin; musica: Eldo Di Lazzaro; direzione musicale: Pippo Barzizza; montaggio: Ferdinando Tropea; direttore di produzione: Livio Pavanelli; interpreti: Totò (Gaspare), Carlo Campanini Battista), Isa Barzizza (Matilde), Nerio Bernardi (il duce Filippo , Raymond Bussières (il signor Deval) , Franca Marzi (Susanne de La Plein), Ada Dondini (la direttrice dell'orfanatrofio); produzione: Excelsa, Roma; prima distribuzione italiana: Minerva Film; origine: Italia; durata: 90'; anno: 1947.

Trama:
Gaspare e Bastiano, due attempati orfanelli, dopo aver ascoltato una chiromante, partono alla ricerca delle proprie famiglie.

Critica (1):I due orfanelli, con il suo grande successo, sancì una svolta nella carriera di Totò, che fino a quel momento era apparso solo in film di scarso valore sia artistico che commerciale; così si può considerare I due
orfanelli come l'ideale spartiacque fra la prima fase dell'attività artistica di Totò, quella teatrale, e la seconda fase, quella cinematografica.
Il tutto nacque, (è il caso di dirlo?) all'insegna dell'approssimazione; finito di girare il polpettone" storico Il Fiacre n. 13, il regista Mattòli si ritrovò con degli scenari in falso stile '800 da utilizzare, e allora lo sceneggiatore Age (ps. di Agenore Incrocci) creò in breve tempo il canovaccio della sceneggiatura de I due orfanelli.
Si consideri l'anno: 1947. 11 fascismo era finito, la guerra fredda non ancora cominciata, e per questi motivi, anche in campo cinematografico, si respirava un aria del tutto nuova; fu per questa ragione che i due orfanelli potè essere girato e distribuito e visto da tante persone, senza suscitare molti scandali, visto i suoi contenuti.
Tutto il film è un colossale monumento all'antimilitarismo, alla negazione dei "valori" tipici della media borghesia: i riferimenti agli americani, ai partiti di governo, alla Democrazia Cristiana, si sprecano, in un turbinoso susseguirsi di colpi di scena degni, a punto, della "peggiore (e quindi migliore letteratura sensazionalistica d'appendice... Non a caso le fonti di travestimento estetico sono quelle canoniche del genere: dal romanzo strappalacrime de Le due Orfanelle, ai lavori di Raoul De Navery, Balzac e Victor Hugo; dai romanzi di Xavier du Montèpin ai classici di Dumas padre e figlio (l'abate Faria, transfuga da Il conte di Montecristo...), alle operette di Labichè, alle pochades, fino ai capolavori Offenbachiani, della rive gauche...
E dietro questi cascami polimaterici di letteratura popolare un finissimo discorso rivoluzionario, esplicato senza mezzi termini, con idee, per l'epoca, davvero rivoluzionarie; così che tutto viene messo sotto accusa, la Magistratura (tacciata di corruzione), l'Esercito (accusato di infingardaggine ed incompetenza), la Monarchia (non dimentichiamoci delle grandi lotte che s'erano appena concluse in Italia, tra monarchici e repubblicani, con la vittoriosa affermazione della nostra Repubblica!) le donne (viste come arrampicatrici sociali, o, nel migliore dei casi, stupide oche...), i partiti politici, la società divisa in classi, la guerra...Ad un certo punto del film, vi è una digressione del tutto surrealista, che vede Totò impegnato nei panni di Napoleone (ma chiaramente la caratterizzazione sottointende i vari Hitler, Stalin Churchill, ecc...), condurre la sua guerra personale, dilatata fino ai vertici dell'assurdo, con gli uomini e i soldati visti come marionette mandate al massacro senza alcun motivo logico; alla fine, premiato al valor militare risulterà essere un imboscato, un tipo placido, furbo, tranquillo e menefreghista, vero e proprio ritratto dell'uomo qualunque che allora imperversava anche a livello politico, e non solo morale come oggi (qualunquismo)... E ancora: nel film si assiste al dileggio anche delle tesi portate avanti a sinistra dal Fronte Popolare; in alcune scene, i contadini sono intenti alla "riappropriazione" delle terre incolte, prima dello scontro con una "nobilità" armata sempre pronta al revanscismo... Insomma, I due orfanelli é una vera e propria orgia di citazioni visive variamente articolate, dalla battuta pesante nell'argutissima satira non sempre facilmente avvertibile; nulla vi viene tralasciato, dagli aiuti americani al nostro paese ai famigerati piani UNNRA, dal costituendo patto Atlantico al terrorismo anarchico, il razzismo, la pace...
In tutto questo Totò, fresco dai successi di avanspettacolo come Eravamo sette sorelle, e ormai nel pieno della sua maturità artistica, funzionò da vero e proprio catalizzatore; la sua recitazione, staccata e parodistica, risente ancora, é vero, di alcune iterative tipiche del palcoscenico, e siamo ancora lontani dalla grandissima arte di Totò a Colori e di Miseria e Nobiltà, ma il personaggio cinematografico "Totò" é ben decollato, con tutte le sue caratteristiche mimiche e seriali destinate a grandi, memorabili imprese nel regno della celluloide.
Chiaramente, al solito, non si può ancora parlare di capolavoro tout court per I due orfanelli, rovinato in alcune parti da vizi di fondo contenutistici, nonchè dai soliti attori comprimari del tutto insignificanti a paragone con la mostruosità recitativa di Totò; pensiamo con fastidio a tutte le insopportabili scene con le orfanelle, le orfane e i dragoni imperiali, le orfanelle e la chiromante.
E che dire del feticismo smaccatamente plebeo di alcune scene francamente più ridicole che satiriche: il bagno delle orfanelle che si tramuta in un carosello voyeuristico alla Cecil B. De Mille, o l'ombra del sesso del bimbo nato sulle scale, proiettata cupamente sul muro? Migliori invece certe scene di un erotismo larvale, tutto tinto di comica ribalderia, come ad esempio l'entrata di Totò, ormai riconosciuto come un ricco rampollo nobiliare, nella garçonnière della maliarda (una bellissima Franca Marzi): come sottofondo musicale, l'incredibilmente kitsch sonata di una vergine (un tempo, l'incubo dei fanciulli apprendisti al pianoforte), mentre Totò avanza verso il "peccato" con un giglio in mano, simbolo fallico e insieme simbolo di verginità, mentre l'aspetto trasgressivo della situazione si focalizza nelle calze nere e nei piedi della maliarda (e infatti, coerentemente all'economia delle microtrame strutturali del testo, poi Totò verrà sfidato a duello, non per aver fatto qualcosa di serio, ma per aver osato entrare a "piedi scalzi" nella garçonnière....) in una scena molto efficace e ben giocata. I due orfanelli, partito con la "quest" simbolica dei due protagonisti alla ricerca della propria identità, si concluderà con un onirico male alla Renè Clair, in cui Antonio/Totò, ghigliottinato proprio dal suo amico, scopertosi figlio del boia (ovvero, tanto per restare in termini di tradizione feuilletonesca, erede del "Signore di Parigi"), recupererà la propria testa (o anima, o intelletto che dir si voglia) per ritornare alla realtà, poiché "realtà é uguale al sogno"; e come l'ultima, amara satira del film, si assiste alla scenetta in cui due gendarmi arrestano un povero cieco, colpevole di niente, accusandolo di chissà quale reato, ma poco importa, poiché commenterà Totò, "anche il cieco sogna", é così... (...)

D. Cammarata, Il Cinema di Totò, Roma, Fanucci, 1985

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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