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Tom à la ferme


Regia:Dolan Xavier

Cast e credits:
Soggetto: dall’opera teatrale di Michel Marc Bouchard; sceneggiatura: Xavier Dolan; fotografia: André Turpin; musiche: Gabriel Yared; montaggio: Xavier Dolan; scenografia: Colombe Raby; costumi: Xavier Dolan; interpreti: Xavier Dolan (Tom), Pierre-Yves Cardinal (Francis), Lise Roy (Agathe), Evelyne Brochu (Sara), Manuel Tadros (Barman), Jacques Lavallée (sacerdote), Anne Caron (medico), Olivier Morin (Paul); produzione: Xavier Dolan, Nathanaël Karmitz, Charles Gillibert per Mk2 Productions; origine: Canada-Francia , 2013; durata: 102’.

Trama:Tom, un giovane pubblicitario, arriva in una zona di campagna per presenziare a un funerale. Giunto sul posto, però, scopre che laggiù nessuno ha mai sentito parlare di lui, né è a conoscenza del legame che aveva con il defunto. Durante un macabro gioco di ruolo imposto da uno dei familiari per proteggere la madre e l'onore della famiglia, tra lui e Tom ha inizio un perfida sfida che potrà terminare solo con l'affiorare della verità...

Critica (1):Ci sono gli scontri e ci sono le scintille, in Tom à la ferme. Ci sono i poli opposti, che inevitabilmente si attraggono. Ci sono le traiettorie insolite di un desiderio che turba e sconvolge, e che, in un modo o nell'altro, si è sempre costretti ad affrontare: magari anche solo in forma fantasmatica. Il Tom di Dolan è un organismo alieno che deflagra all'interno di un organismo altro: un virus metropolitano, raffinato e gay che invade timidamente un mondo rurale e familiare piatto, conservatore, sanguigno e terrestre, e che rischia di soccombere ai suoi anticorpi. Riuscirà a salvarsi, a sfuggire al fagocitamento tentatore, ma non prima di esserne stato corrotto e contaminato, né di aver corrotto e contaminato a sua volta. Il Tom di Dolan (ri)porta una vitalità fatta di sesso e trasgressione laddove erano stati banditi, per scelta o circostanza: quando legge all'ignara madre del fidanzato morto la lettera in cui lui parla di sesso, la donna esplode in un riso irrefrenabile; e la sua presenza, la sua istanza, basta a scatenare in Francis, fratello del defunto, pulsioni violente e proibite, a scoperchiare un vaso di Pandora che era stato chiuso con forza e sangue. Eppure quel mondo così claustrofobico e tuttavia apertissimo, quella violenza ruvida, quel modo sanguigno, quel mettere le mani fisicamente nella natura, come quando porta in braccio un vitello appena nato, seducono Tom in maniera altrettanto perversa e liberatoria. Tanto che quando un altro organismo alieno s'insinua nella relazione tra lui e Francis, l'equilibrio si rompe, la fuga si rende necessaria. Dotato di un talento evidente, eppure acerbo, Xavier Dolan gira un thriller che è hitchockiano ben oltre la colonna sonora di Gabriel Yared che pare una campionatura del lavoro di Bernard Hermann, ma che lo è nel raccontare sguardi, osservazioni, ruoli e identità con uno stile malato ed elegante. Uno stile che s'insinua sottopelle, che corrompe e contamina, che anche quando la visione è terminata lavora dentro e cambia, che costringe a trovarsi faccia a faccia con rimossi e pulsioni che nascono e terminano nella brutalità aspra della vita. Tom à la ferme è cinema vivo, pulsante, imperfetto. Sporco e affascinante. Un cinema nervoso, non conciliato, che provoca a livelli assai meno banali di quelli superficiali e sessuali. La sessualità, nel film di Dolan, l'erotismo, sono tanto più intensi quanto più sottili e sottratti; negati eppure sempre sfacciati, sempre immanenti.
Così come, in fondo, negata ma immanente è la violenza. Tanto è vero che il regista stesso opta per un ambiziosissimo cambio di formato nei due momenti più fisicamente nervosi e concitati del film, due momenti di fuga e di scontro fisico, come a suggerire che quelle cose lì sono per uno sguardo diverso, per un racconto differente. E allora sessualità e violenza, sguardo e desiderio, continuano a ossessionare lo spettatore dopo la visione (fantasmatica) di Tom à la ferme, così come ossessiona e ossessionerà Tom la visione altrettanto fantasmatica di quelle cicatrici e quel volto deturpato che si trova di fronte alla fine (all'inizio?) della sua avventura. Cicatrici e volto che di sessualità e violenza sono sintesi indelebile. Perché dalle ossessioni, sembra dirci Dolan con il finale del suo film, non si scappa: possiamo correre lontano, ma loro saranno sempre lì, immote, ad aspettarci.
Federico Gironi, Cineforum n. 528, 10/2013

Critica (2):«Non dire niente a mia madre, ha già sofferto abbastanza. Farai un bel discorso al funerale e subito dopo te ne andrai». Questo è il benvenuto che Francis, il fratello maggiore di Guillaume, dà a Tom. Tom era il compagno di Guillaume.
Xavier Dolan, gay dichiarato, ha 24 anni. È il regista più giovane nella storia della Mostra di Venezia. Non può non sorprendere che i suoi primi tre film, da lui definiti «una trilogia sull'amore impossibile», siano andati nelle sezioni collaterali del Festival di Cannes. Il quarto, Tom à la ferme, è un thriller psicologico in concorso al Lido. L'ha coprodotto, ha curato regia, sceneggiatura, costumi. Ed è anche il protagonista, Tom, il giovane con i capelli ossigenati di biondo che sbucando dal nulla entra a far parte della famiglia del compagno morto. Non l'avevano mai visto prima, ma Francis (Pierre-Yves Cardinal) sapeva della relazione di Tom con suo fratello. La madre (Lise Roy) ignorava che il figlio minore fosse omosessuale. Francis conosce un unico modo di comunicare: la violenza. Tom soccombe alla sua furia, è pieno di lividi, se ne dovrebbe andare a gambe levate ma non andrà via da quella casa, almeno per il momento.
«Il mio personaggio non sente la violenza che subisce, dice Xavier Dolan -, fa parte del suo percorso di redenzione e lutto. E film, che nasce dalla piéce teatrale di Michel Marc Bouchard, è una psicosi, un tuffo nella nevrosi di due persone che cercano di colmare il vuoto comune per la scomparsa di Guillaume».
Sono relazioni malate basate sulla menzogna, sull'omofobia diffusa, immaginazione e memoria diventano una cosa indistinta, solo che la verità prende nomi diversi. La madre (Lise Roy) vuole sapere qualcosa della fidanzata (E elyne Brochu), che in realtà il suo Guillaume non ha mai avuto. Tom-Xavier libera i ricordi e mette in bocca alla ragazza quello che aveva vissuto lui con il suo compagno. Poi fa arrivare la giovane, ne chiede la complicità, deve consolare una donna anziana che non conosce. La madre vuole vederla di persona perché è un modo per ricomporre il ritratto sbiadito di un figlio che se n'è andato di casa senza dar più notizia di sé. È scappato, una fuga: da lei. «È anche un film sulla sofferenza materna», dice Dolan.
Ma c'è una parte oscura, quella madre è severa, repressiva, incapace di una carezza. Non è difficile capire l'origine della "rabbia in corpo" di Francis. «Forse – dice l'attore che lo interpreta – ha una predisposizione alla violenza, ma la sua violenza nasce tra quelle pareti». La solitudine, la mancanza di affetto, la perdita del padre e ora del fratello. Francis gonfia di botte il malcapitato ospite, e lui, Tom, lo supplica di stringere più forte le sue mani attorno al collo. Dolcezza e violenza si sfiorano, le labbra dei due giovani, il carnefice e la vittima, sono vicine quando nella stalla entra la madre, che non vede o non vuol vedere quella scena, dice di aver preparato una crostata, è il suo modo di dire ti voglio bene. Ci vorrà un estraneo, un barista, per risvegliare Tom e farlo uscire da quell'incubo: gli racconta una vecchia storia, l'ex compagno di Guillaume è stato sfigurato dall'ira incontrollata del fratello maggiore.
Xavier Dolan è cresciuto nella campagna alla periferia di Montréal. Dice di non avere una cultura cinematografica e di trarre ispirazione «dai quadri e dalle foto. A volte mi baso su un'atmosfera». Ma ha amato I giorni del cielo di Terrence Malick, ambientato in una piantagione di grano: «Per riavere quella fattoria avrei dovuto disporre di un budget di otto milioni di dollari». Voleva realizzare un gioco di specchi tra l'assenza e la realtà inafferrabile dei personaggi con l'ambiente circostante. Non aveva bisogno del canto dei galli che annunciano l'alba in un maniero isolato. Nel suo Québec ha trovato una fattoria non lontana dall'ambiente urbano, uno spazio verde in mezzo a un campo di mais che si perde all'orizzonte dove avrebbe potuto bussare la porta ai vicini e mettersi subito in salvo, qualcosa di simile a un deserto verde d'estate che diventa un deserto bianco d'inverno, un tipico paesaggio di quella regione canadese. Ha fermato lì la troupe, e ha cominciato a girare.
Valerlo Cappelli, Corriere della Sera, 3/9/2013

Critica (3): Ambizione, serietà, maturità. Queste sono i termini che ritornarono spesso per descrivere il terzo film di Xavier Dolan, Laurence Anyways (2012). Finalmente, così si sentiva dire, il giovane prodigio del Quebec aveva saputo portare ai vertici il suo cinema, liberarlo dai suoi vezzi chic, inspirarvi l’ampiezza romantica e tragica che finora gli era mancata. La critica, anche la più restìa verso la produzione del regista, applaudiva il suo gesto, il Festival di Cannes gli concedeva l'onore di una selezione (certamente non ancora nella competizione ufficiale), in breve Xavier Dolan breve aveva vinto la sua scommessa.
Ma ci si sarebbe potuti preoccupare un po' di questa svolta prestigiosa che prendeva la carriera del regista, diffidare della sua corsa al riconoscimento (lui che ci era sembrato essere il più scatenato dei ragazzacci), rimpiangere la fantasia pop e il fascino disinvolto delle sue prime opere, J’ai tué ma mère (2009) e Les amours imaginaires (2010). Si poteva temere, in fondo, che cedesse al suo stesso accademismo e abbandonasse quello che ci sembrava di essere il cuore pulsante del suo modo di creare: il suo candore assoluto, il suo modo, allo stesso tempo consapevole e istintivo, di rivisitare la storia del cinema per inventare un nuovo territorio immaginario.
Preoccupazioni che Tom à la ferme spazza via con vigore e caparbietà. Girato di nascosto e a basso costo, questo adattamento di una pièce teatrale del drammaturgo Michel Marc Bouchard sembra tornare al primo slanci impulsivi e sperimentali della filmografia di Xavier Dolan, che riassume così le sue intenzioni: "Avevo bisogno di un sceneggiatura lampo per un film da girare velocemente." Ha quindi affrontato un nuovo genere, apparentemente molto lontano da ciò che abitualmente gli è più comodo: il film di serie B, i suoi codici e tutte le sue figure obbligate, che il regista fa sue con uno spirito ribelle e gioioso.
Sulla carta, Tom à la ferme somiglia a un thriller psicologico. Vi scopriamo una un pubblicitario alla moda, Tom (lo stesso Xavier Dolan, che sfoggia un taglio di capelli biondi ossigenati e un abbigliamento in cuoio stile anni ’80), scaricato in aperta campagna per partecipare ai funerali del suo ragazzo, morto qualche giorno prima.
In questo ambiente rurale piuttosto inospitale, con il quale si scontra per la prima volta, il giovane viene a conoscenza dell'impensabile: la madre del compagno non sa nulla di omosessualità del figlio morto, un figlio maggiore brutale e minaccioso si occupa di tenerla nella menzogna.. Al momento del funerale, Tom dovrà partecipare a questa mascherata organizzata: recitare la parte dell’etero per la madre in lutto, inventarsi un passato per il defunto, tra cui una ex fidanzata, e mettere a tacere le sue preferenze sessuali di fronte a un fratello del morto sempre più preoccupante. Ma partecipare a questa sceneggiata non è senza conseguenze, e presto Tom cadrà nella sua stessa trappola, accettando il ruolo assegnatogli da questo strana microcosmo familiare.
Trasferimenti identità, bugie e illusioni, Tom à la ferme mette in scena perfettamente il suo repertorio hitchcockiano (un po’ di Psycho, molto di Vertigo), ma lo fa alla maniera di Dolan, vale a dire secondo una logica di sampling iconoclasta e incessantemente inventivo. Sia che affronti il campo del thriller o del melodramma lirico alla Wong Kar-wai, il giovane regista adotta sempre lo stesso metodo: pescare dai grandi maestri alcuni motivi o effetti di stile a partire dai quali tracciare il suo proprio cammino, e lasciar libero il suo gusto per le rotture improvvise di tono.
Ciò che più colpisce è così il modo in cui il film si snoda continuamente tra diversi generi e stati d'animo, passando da una scena di terrore alla sega elettrica che sembra uscita da Texas Chainsaw Massacre ad una situazione da commedia (un tango indiavolato tra Tom e suo “cognato”), passando dal polar al boulevard, dall’orrore al melodramma queer, e così via.
Moltiplicata dallo spirito ludico proprio del thriller, questa arte piuttosto esasperata della dissonanza a volte incappa in alcune goffaggini (un’inquadratura più stretto nelle scene di suspense, una tendenza all’enfasi), ma si riscatta soprattutto attraverso la verve e lo spirito derisorio di Dolan. Nell’abile gioco di maschere di Tom à la ferme, questo piccolo teatro delle apparenze dove si amano i morti e le menzogne, Xavier Dolan avrà così trovato l'ambiente ideale per un esercizio di stile, e una nuova variante per il suo tema fondamentale: l'amore come pura creazione immaginario, anche se da incubo.
Romain Blondeau, Les Inrockuptibles, lesinrocks.com, 2014/04/15

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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