Amanti di domani (Gli) - Cela s'appelle l'aurore
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Regia: | Buñuel Luis |
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Cast e credits: |
Sceneggiatura: Jean Ferry, Luis Buñuel, dal romanzo omonimo di Emmanuel Robles; fotografia: Robert Lefebvre; musiche: Joseph Kosma; montaggio: Marguerite Renoir; scenografia: Max Douy; interpreti: Simone Paris (Signora Gorzone), Henry Nassiet (padre di Angela), Gaston Modot (il sostituto), Pascal Mazotti (Azzopardi), Georges Marchal (Valerio), Robert Lefort (Pietro), Gianni Esposito (Sandro), Brigitte Elloy (Magda), Jean-Jacques Delbo (Gorzone), Lucia Bosé (Clara), Nelly Borgeaud (Angela), Julien Bertheau (Fasaro); produzione: Les Films Marceau - Laetitia Film; distribuzione: Cineteca dell'Aquila; origine: Francia - Italia, 1955; durata: 108'. Vietato 16 |
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Trama: | Una cittadina portuale in un'isola mediterranea che assomiglia alla Corsica. Sotto il sole, dei bambini giocano alla guerra e fingono la fucilazione di un prigioniero. Un uomo picchia il suo asino. In una fabbrica scoppia una caldaia e degli operai restano feriti. Il proprietario, Gorzone, sempre seguito dal suo portaborse Azzopardi, si preoccupa soprattutto della perdita di ore lavorative e all'infermeria, dove il dottor Valerio cura i feriti, si interessa soprattutto a una nuova infermiera a cui subito offre la sua "protezione".
Angela, la giovane moglie del dottore, vuole partire per Nizza per visitare il padre malato ma soprattutto perché sogna una nuova vita e un lavoro migliore per il marito. Quando egli le spiega l'importanza della sua missione sull'isola, lei ribatte che non vuole giustizia ma felicità. Valerio resta a curare anche gratuitamente i poveri. Uno di questi è Sandro, suo ex commilitone a cui salvò la vita, che ha la moglie Magda a letto ammalata. Eppure Gorzone, per il quale lavora come contadino, lo rimprovera perché trascura i suoi doveri. Il commissario di polizia Fasaro, un raffinato signore che legge Claudel e ha in ufficio una riproduzione di Dalí, viene chiamato con Valerio in un cascinale dove un vecchio ha violentato una bambina. È stato rinchiuso nel pollaio mentre la bambina è a letto circondata dalle donne piangenti. Con loro c'è anche Clara, una giovane ed elegante vedova italiana, e fra lei e Valerio nasce una immediata attrazione.
Sandro si reca a giustificarsi dal padrone, nella lussuosa villa dove questi vive da buon padre di famiglia, affettuoso e insieme autoritario. Ma la moglie non è all'oscuro delle sue scappatelle.
Valerio torna al villaggio a cercare Clara, la quale ha saputo che è sposato e vorrebbe partire. Ma egli insiste a esprimerle il suo amore e finiscono per baciarsi.
Li ritroviamo ormai amanti: Clara ha preso una casa accanto a quella del medico che ora vive stabilmente con lei. E lì che l'operaio Pietro, un amico di Sandro, viene a cercarlo quando Magda si aggrava. Per di più sono stati sfrattati e Sandro è stato licenziato. Valerio va a perorare la sua causa da Gorzone che finge di dargli ascolto ma resta sulle sue decisioni. E da Sandro arriva la famiglia mandata a occupare la sua casa, facendo nascere una guerra fra poveri che solo successivamente si tramuta in solidarietà. Egli è però costretto ad andarsene, attraversando la città in festa con un carretto su cui ha caricato anche la moglie. Ma quando giunge a casa di Pietro la donna è ormai spirata. Valerio redige l'atto di morte.
Dopo il funerale, Sandro vaga sconvolto per la città finché giunge alla villa di Gorzone dove è in corso un ricevimento. Vi entra fendendo la folla di invitati, si avvicina al suo ex padrone e gli spara, approfittando della confusione per fuggire. Si rifugia poi da Valerio, proprio nel giorno in cui sua moglie ritorna con il padre, che cerca di convincere il genero a trasferirsi a Nizza dove gli metterebbe a disposizione la somma per aprire una clinica. Scoprendo però che nasconde un ricercato e che non intende consegnarlo alla polizia, il suocero dopo un litigio decide di ripartire con la figlia. Sandro, per non compromettere l'amico, fugge prima dell'arrivo della polizia, certo avvisata da qualcuno. Viene infine braccato in un vicolo cieco, dove Valerio riesce a raggiungerlo e a parlargli, ma senza poter impedire che, con l'ultima pallottola, si uccida. Valerio e Clara restano sull'isola, in riva al mare l'aurora annuncia una nuova vita. Con loro ci sono tre operai compagni di Sandro. |
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Critica (1): | Il titolo Cela s'appelle l'aurore viene, attraverso il romanzo di Emmanuel Roblès, da Giraudoux, da quel finale della sua Elettra dal significato sempre un po' misterioso, poi ripreso anche da Godard in Prénom Carmen, in cui la Femme Narsès chiede: "Come si chiama quando il giorno appare, tutto è rovinato e saccheggiato, tutto è perduto e la città brucia, gli innocenti si uccidono fra loro, ma i colpevoli agonizzano e intanto sorge il giorno?" E un mendicante risponde: "Ha un bel nome, si chiama l'aurora".
In effetti il film che in Italia si intitolò Gli amanti di domani si conclude narrativamente e stilisticamente nella speranza e nella dolcezza, anche se deve passare per il conflitto, la violenza e le controversie. Le polemiche che esso fece nascere erano la naturale continuazione e realizzazione delle provocazioni che aveva volutamente messo in campo. Protestò e pretese di togliere il suo nome dai titoli di testa lo sceneggiatore già patafisico Jean Ferry perché il regista aveva sostituito una sua romantica scena d'amore con un'altra nella quale Valerio tornando dall'amante si toglie le scarpe come un marito qualsiasi e le offre in dono non un fiore ma una tartaruga. Protestò la figlia di Paul Claudel, perché Buñuel aveva inquadrato un libro del cattolico e nazionalista Accademico di Francia appoggiandovi sopra un paio di manette. Certo, siamo nell'ufficio di un Commissario di polizia e questi è un uomo colto poiché ha anche appeso al muro il prospettico Cristo di Port Lligat di Salvador Dalí (e perché non sfugga a nessuno esso appare, in scene diverse, in due diverse posizioni). Ma appunto Dalí e Claudel erano stati fra i pochi intellettuali europei che si erano schierati col franchismo e la duplice associazione, quella immediata e quella a leggera distanza, non nascondeva certo le sue intenzioni polemiche.
Altro scandalo suscitò una fotografia appesa in casa di Valerio, proprio accanto al contatore della luce, che mostra una statua lignea di Cristo usata come palo per sostenere una linea elettrica, con i ferri che sorreggono gli isolanti di porcellana piantati nel volto e negli occhi del Salvatore. Buñuel come al solito cercò di minimizzare spiegando che era una fotografia autentica, scattata in Africa nel corso della guerra. In realtà secondo Roblès era stata fatta apposta per il film e corrispondeva poco all'oggetto reale che egli aveva visto e descritto nel suo romanzo. In ogni caso Buñuel sapeva benissimo che, se voleva evitare le polemiche, bastava non metterla.
Il fatto è che la sua polemica religiosa e sociale - nel momento in cui tornava a misurarsi col cinema europeo - aveva forse un po' stancato e non venne generalmente presa con simpatia. Il suo Gorzone, che invece ha in casa un ritratto di Napoleone (perché siamo in Corsica, avrebbe certo detto il regista se richiesto di una spiegazione, ma sappiamo e vedremo che egli non amava molto il generale che aveva occupato la sua Saragozza), sembrava un padrone-dittatore troppo caratterizzato, anche nella sua falsità e nelle sue doppiezze di padre affettuoso e molestatore di impiegate, di spietato capitalista e cortese anfitrione. Ma anche il prete che beve champagne alla sua festa appartiene a una tipologia caricaturale che pare aver fatto il suo tempo, mentre il gesto finale di Valerio che rifiuta di stringere la mano al commissario, che vorrebbe fargli le condoglianze per la morte dell'amico, può sembrare troppo ostentato e teatrale.
Così la critica europea reagì abbastanza severamente, e anche Eric Rohmer ne approfittò per rivelare la scarsa considerazione che aveva per il regista spagnolo. Persino gli amici surrealisti, che naturalmente accettarono e lodarono la generosità sociale del film, l'inno per l'amore e contro lo sfruttamento, riconoscevano con Kyrou che il soggetto era bello ma che, a differenza di El o Estasi di un delitto, questo era un film che molti altri avrebbero potuto fare.
In realtà, Buñuel non si limita a trasporre il romanzo e a metterne in scena i temi e i conflitti al livello più evidente. Costruisce un mondo - un'isola, mai esplicitamente definita - in cui violenza e durezza di rapporti caratterizzano ogni manifestazione della vita. Il teatrino di strada coi bambini che mimano una guerra, prima apparizione di un motivo poi continuamente ripreso anche se mai esplicitamente tematizzato, è una variante della finta corrida di Los olvidados. L'asino picchiato dal suo padrone fa apparire subito il lato animalesco e selvaggio del luogo, quello che si concentra in quel paese dell'interno in cui una bambina viene violentata e un vecchio libidinoso è rinchiuso in un pollaio. Le inquietanti galline buflueliane ogni tanto fanno la loro apparizione e nelle notti, che siano di pena o d'amore, continuano a latrare i cani.
Dall'altra parte c'è un commissario di polizia raffinato e amante dell'arte, che sceglie accuratamente i guanti prima di uscire, un elegante gentiluomo come tutti i commissari e i questori di Buñuel. Ma che non tollera debolezze e rimprovera i suoi subalterni che hanno offerto un po' di tabacco a un uomo nei corridoi. Quando incontra il vecchio violentatore comincia a infliggergli un acconto di pena calpestandogli, distintamente, una mano col tacco della scarpa.
Eppure in quel villaggio primordiale, come un fiore nel letame, appare la bellissima Clara. E Valerio la ritroverà, tornando a cercarla, intenta proprio a cogliere fiori. Poiché nel film ci sono anche romanticismo e tenerezza. Persino gli animali, per una volta, sono anche portatori di affetto. Valerio, mentre Clara gli serve la cena, le fa trovare come regalo una tartarughina che accarezza affettuosamente. Sandro, attraversando il giardino per andare ad ammazzare Gorzone, trova un gattino, simile a quello che ha visto durante il funerale della moglie, lo prende in braccio e se lo tiene fino al momento in cui deve sparare.
Sono forse gli elementi che fecero vedere a Bazin la bellezza di una semplicità che poteva liberare Buñuel dalla necessità dello scandalo: "La sua crudeltà è una proiezione della sua tenerezza: egli vagheggia la giustizia sociale, l'amore sincero, la dolcezza del mondo. Questo è il film della semplicità e trasparenza che egli sogna".
Cela s'appelle l'aurore non tradisce insomma la dolcezza del suo titolo. Il suo inno all'amore, che infrange le barriere familiari e sociali, non è trascinante e lirico come in Cumbres burrascosas. È un film assai meno melodrammatico di quanto fu giudicato, come fra l'altro prova l'uso limitatissimo della musica - solo sui titoli di testa e nel finale - che prelude a un asciugamento o forse appunto a una europeizzazione dello stile di Buñuel. La provocazione e lo scandalo vengono rappresentati da residui, immagini isolate, frammenti di un lessico polemico inglobato in un linguaggio della conciliazione. E nel soggetto stesso del film, un'isola e l'isolamento e lo sradicamento che essa produce, c'è una riflessione sull'esilio e forse una nostalgia del ritorno.
Alberto Farassino, Tutto il cinema di Luis Buñuel, Baldini&Castoldi, 2000 |
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Critica (2): | T.P.Turrent - A volte ha definito Cela s'appelle l'aurore come uno dei suoi film preferiti.
Buñuel - E' un film di "amore sì - poliziano" e ne ho un buon ricordo. Il mio agente a Parigi mi aveva proposto il romanzo di Emanuel Robles l'anno in cui sono stato membro della giuria al festival di Cannes, nel 1954. Mi piacque il libro e cominciai a lavorare alla sceneggiatura con Jean Ferry, uno scrittore surrealista autore di uno studio su Raymond Roussel. (...) È un patafisico e con me gli successe una cosa curiosa. Scrisse una scena d'amore di tre pagine, con baci e frasi molto liriche. Io mi vergognavo a riprendere queste cose. Allora ho fatto in modo che il protagonista arrivi a casa della sua amante: i due parlano affettuosamente e lui, siccome è stanco, si scalza e, mentre lei serve la zuppa, dice: "Guarda nella mia borsa, ti ho portato un regalo". Lei trova nella borsa una tartaruga viva. L'uomo e la donna si baciano. In questo modo ho evitato tre pagine di dialoghi che scritti potevano andar bene, ma filmati erano impossibili. Ferry scrisse al produttore pretendendo che cancellassero il suo nome dai titoli perché io avevo trasformato una scena sublime in un'altra di scarpe, zuppa e trivialità.
(... )
T.P. Turrent - Alcuni critici dissero che in Cela s'appelle l'aurore lei abbia raggiunto la serenità. Però il film suscitò reazioni violente per la chiarezza delle sue posizioni.
Buñuel - Mi piace la scena finale quando Marchal si rifiuta di stringere la mano al commissario e si allontana con la sua
amante e con tre amici operai, abbracciandoli, e si sente una fisarmonica di sottofondo. È l'unica musica che si sente nel film. Riconosco che la scena è un po' simbolica.
T.P. Turrent - Al contrario di altri suoi personaggi, Marchal è molto chiaro, molto definito.
Buñuel - Però non dall'inizio. Inizialmente lo vediamo lavorare come medico della polizia. L'esperienza che vive nell'isola, vedere da vicino l'ingiustizia, lo fa cambiare. Quando all'inizio nasconde l'operaio perseguitato, lo fa solo per generosità e amicizia, e anche contro il parere di sua moglie e di suo suocero. Inoltre si è già innamorato della Bosé. Però fin qua è solo un uomo di buoni sentimenti, innamorato, che ha compassione. Quando uccidono Sandro, che è assassino per disperazione, nel medico comincia a nascere un sentimento di solidarietà umana più grande.
T.P. Turrent -Però, non è possibile che dopo questo impulso il medico torni a solidarizzare con la propria classe?
Buñuel - Impossibile. Io credo che un uomo che è capace di indignarsi profondamente davanti all'ingiustizia non può più accettarla. Per me è chiaro che Marchal, dopo la morte di Sandro, ha cambiato radicalmente rotta. Per lo meno non collaborerà con la polizia. Anche Nazarín e Viridiana cambiano il loro modo di vedere e di vivere. Non saranno più come prima. Non sono determinista; voglio dire che non credo che la morale di qualcuno possa essere stabilita per sempre per il semplice fatto di essere nati in questa o in quella classe sociale. Nascere borghesi non condanna nessuno a pensare e agire come borghesi per tutta la vita. La convivenza fa cambiare i modi di essere. (...) Anche la convivenza forzata può avvilire i rapporti umani. Se obbligassero me e lei a stare sempre chiusi in una stanza, potremmo anche essere ottime persone, cercare di aiutarci, però,
quasi sicuramente finiremmo per detestarci, ci arrabbieremo per qualsiasi cosa. A voi sembrerà insopportabile il modo in cui mi gratto l'orecchio, a me il modo in cui lei si pettina.
J. de la Colina - Questo è parte del tema di El angel exterminador.
Buñuel - Sì. Però la convivenza può agire anche in modo contrario: nel senso della solidarietà. IL medico di Cela s'appelle l'aurore convive affettivamente, per quanto non fisicamente, con la gente povera dell'isola; e inoltre l'amore lo rende più generoso. Per questo rompe con le convenzioni: lascia la moglie per quanto sia molto malata, e se ne va con l'amante. Gli sarebbe insopportabile vivere qualsiasi forma di inganno.
T.P.Turrent - Allora quello che a lei maggiormente interessa di un personaggio è la possibilità di cambiare.
Buñuel - Chiaramente. Se no, che interesse può avere una storia? Si tratta di vedere se un personaggio diventerà migliore o peggiore, felice o disgraziato. (...) Solo nei romanzi d'appendice i buoni son sempre buoni e i cattivi sempre cattivi. Non imparano nulla, la vita non li cambia.
(...)
T.P. Turrent - Vi sono altre immagini forti nel film: un Cristo che funge da palo telefonico.
Buñuel - Molti avranno detto "Un dettaglio buñueliano ". Va bene, chiedo venia, però a volte la realtà si rende buflueliana da sola. Quando i nordamericani invasero l'Africa, nella seconda guerra mondiale, trovarono un monumento con l'immagine di Cristo e lì posero i cavi telefonici di cui avevano bisogno. E siccome il medico è stato in Africa, ha in casa questa fotografia: il volto di Gesù pieno di isolanti e cavi. Non è una mia invenzione.
in José de la Colina, Tomás Pérez Turrent, Buñuel por Buñuel |
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Critica (3): | |
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Critica (4): | |
| Luis Buñuel |
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