Settimo sigillo (Il) - Sjunde inseglet (Det)
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Regia: | Bergman Ingmar |
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Cast e credits: |
Soggetto: dal dramma Trämålning di Ingmar Bergman; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Lennart Wallén; scenografia: P.A. Lundgren; musica: Erik Nordgren; interpreti: Max von Sydow (Antonius Block), Gunnar Björnstrand (Jöns), Bengt Ekerot (la Morte), Nils Poppe (Jof), Bibi Andersson (Mia), Åke Fridell (Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (Jonas Skat), Bertil Anderberg (Raval), Inga Landgré (Karin), Gunnar Olsson (Albertus Pictor); produzione: Allan Ekelund per AB Svensk Filmindustri; origine: Svezia, 1957; durata: 96'.
Digitalizzato nel 2018 in 4K da Svenska Filminstitutet a partire da il negativo camera originale 35mm. |
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Trama: | Antonius Block, nobile cavaliere svedese, che recatosi come crociato in Terrasanta, vi ha passato dieci anni della sua vita, ritorna ora nel suo paese. Sbarcato sulla spiaggia svedese, trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto questo momento per portarselo via; ma Antonius, che durante gli anni vissuti in Terrasanta, tra battaglie cruente e lotte intime, ha sentito vacillare la propria fede, non vorrebbe morire prima di aver superato la crisi spirituale che lo travaglia. Egli propone quindi alla Morte di giocare con lui una partita a scacchi: sarà pronto a seguirla nel momento in cui dovrà dichiararsi vinto. S'inizia la partita e tra una mossa e l'altra il cavaliere continua il viaggio verso il suo castello. Inoltrandosi nel paese, Antonius si rende conto delle desolate condizioni in cui si trova la Svezia: infuria infatti una terribile pestilenza che distrugge interi villaggi. Gli uomini in preda alla disperazione, incerti della vita, timorosi del futuro, si abbandonano alle violente pratiche dei flaggellanti o cercano di spremere dall'attimo fuggente la maggior dose di piacere inebriante. In mezzo a queste diverse esaltazioni, Antonius scopre una piccola famiglia di attori girovaghi, composta di padre, madre ed un bimbo: questi esseri, sorretti da un sincero sentimento di reciproco affetto, sembrano estranei alla tragedia che coinvolge tutti gli altri. Prosegue intanto la partita a scacchi, e Antonius Block, incalzato dalla Morte, giocatrice implacabile, e dagli eventi, finisce per perderla... |
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Critica (1): | Gran riutilizzatore di idee e personaggi, Bergman ricava dal suo testo teatrale Pittura su legno le prime figurazioni di Il settimo sigillo, ma include tra i motivi ispiratori di tale film anche altre suggestioni musicali e pittoriche: i Carmina Burana di Carl Orff, il dipinto di Dürer Il cavaliere, la morte e il diavolo, e il quadro di Pablo Picasso che rappresenta due acrobati, due buffoni e un ragazzo. Su tali spunti la struttura si completa, e – diremmo – si fanno visibili anche le infrastrutture. C'è praticamente tutto, dalla musica del pentimento agli interrogativi esoterici e al vagabondaggio innocente (i giocolieri-buffoni) contrapposto al viaggio della delusione (il reduce crociato).
Nel Settimo sigillo Bergman ascolta le lusinghe di una “leggenda filosofica” da attualizzare. Qui si staglia nel modo più spettacolare il Bergman alla ricerca – ma forse stavolta è meglio dire alla caccia – del miracolo, e si rinnova – la confessione di una monotonia umana che le grandi imprese (le Crociate appunto) e i sentimenti magnanimi non riescono a intaccare; quello che è stato cercato lontano esiste vicino, nel carretto del saltimbanco, non in Terrasanta; e il Cavaliere (Max Von Sydow) si ostina a scoprire il diavolo negli occhi della presunta strega, senza trovarlo mai (ma non è forse proprio questa incapacità, il Diavolo?) mentre il saltimbanco (Nils Poppe) ha la Vergine Maria sul suo prato come un'ospite gentile e quotidiana.
Per contrasto si fa più insoffribile l'ammissione di ansia e impotenza di fronte ai misteri della religione. Il duplice assillo è reso sensazionale dalle forme della simbologia medioevale, ma è riconoscibilmente moderno per l'indagine pervicace delle cause del mal di vivere, per la “fede nel dubbio”, per il gioco delle parti sempre respinte tra simulazione, realtà e caso. Ancora una volta il viaggio di Bergman (il viaggio cioè di Antonius Block che fa ritorno al castello) è un viaggio fra le domande. Il protagonista, ben s'intende, è Bergman stesso sdoppiato, nelle sue componenti opposte: il cavaliere, mistico turbato, probabilmente ancora lordo d'un sangue “pagano” che ha lo stesso colore del sangue cristiano, credente testardo che vuol vedere Dio almeno nello sguardo della Morte, giacché Gerusalemme non glielo ha rivelato (e la Morte, confesserà a sua volta di “non sapere”); e con lui il secondo volto, lo scudiero, loico implacabile. Più volte nel film lo scudiero parla al padrone da tergo, col capo sulla sua spalla, fugacemente materializzando così un Bergman bicipite vero protagonista del dramma.
L'accenno ai sette sigilli è preso dall'Apocalisse di San Giovanni, si riferisce cioè alla vigilia della fine del mondo, quando la stella Assenzio precipitando incendierà il mare. È dunque il momento in cui l'uomo pensa di doversi preparare per un terribile incontro soprannaturale. Nella vicenda ciò accade durante l'infierire di una epidemia di peste, su suolo nordico, intorno al quattordicesimo secolo; e i personaggi che troviamo impegnati nell'avventura - vien quasi fatto di dire aggiogati, condannati ad essa - sono quelli fissi degli affreschi medioevali, delle vetrate di chiesa, dei codici miniati, degli antichi carillons da campanile, delle “pitture su legno”. La Morte appare al cavaliere sulla spiaggia col suo classico mantello nero. Bergman le ha dato il viso straordinario dell'attore Bengt Ekerot, un viso floscio e quieto, senza malvagità, o almeno con la malvagità spoglia d'impazienza che non ha raffronto nella nostra fremente malvagità quotidiana. La Morte è venuta a prendere il cavaliere per portarlo via con sé, ma il cavaliere trova modo di spostare i termini dell'incontro: propone alla Morte una partita a scacchi e solo dopo questa, se perdente, si arrenderà. Naturalmente il cavaliere non ignora che il suo destino è segnato, che la Morte non è giocatrice che si lasci sconfiggere; ma prima, tra una mossa e l'altra, spera segretamente che la lotta gli riveli i problemi che tormentano il suo spirito. Egli ha speso la vita nella ricerca di Dio, lo ha fatto nella maniera che riteneva più nobile e degna, combattendo in suo nome alle Crociate; ma la guerra ha messo anche più in pericolo la sua fede già incrinata dalle voci fredde della logica e del raziocinio.
Si protrae a lungo la gara, a tappe irregolari, mentre il cavaliere e il suo servo proseguono verso casa. Il cammino è segnato da vari incontri, per lo più tetri, indici di tempi premonitori: la processione dei flagellanti che invocano la fine del morbo; i roghi accesi dal fanatismo contro le credute streghe; episodi di ladrocinio e di maleficio. Solo la compagnia dei guitti girovaghi concede al cavaliere un riposo senz'ombre e per un momento la sensazione della “piccola felicità” consentita all’uomo sulla terra. La Morte incalza, sta per dare scacco matto. Pure, il cavaliere vuole e ottiene a sua volta una vittoria: durante la partita decisiva distrae la Morte quanto basta per far fuggire i suoi nuovi amici commedianti, che essa desiderava falciare d'un solo colpo. La salvezza, la comprensione sono finalmente, in quel momento, accanto al cavaliere. Egli ha saputo regalarle a qualcuno più giovane, meno stanco di lui. Alle grandi risposte ormai bisogno rinunciare. Subito dopo il rientro al castello, dove la moglie Io ha coraggiosamente aspettato, la figura in nero giunge a pretendere il prezzo della partita. E si trascina dietro, in una lugubre danza, il cavaliere e la sua sposa, lo scudiero, il fabbro e altre immagini della ballata.
Il film, girato a Hova Haltar, sulle coste sudoccidentali della Svezia, ha un assetto potente e intimidatorio, lo slancio sordo delle fantasie nate dall'incubo. Lo avvalora ulteriormente la fotografia di Gunnar Fischer, col suo sole grigio, i raggi funerarii, la pioggia argentata. Non vanno comunque ignorati i lati deboli dell'opera, che probabilmente consistono nel progressivo appesantimento dei simboli e nell'amore eccessivo per la sequenza: e non sempre le sequenze più suggestive sono le migliori (tra queste anche la famosa sfilata dei flagellanti, risolta soprattutto figurativamente). Altri punti rimangono oscuri: il personaggio della ragazza che tace nel gruppo dei viandanti, cui spetta al finale l'accettazione più pronta e dolce della morte; certe assenze nel gruppo che la Morte si porta via. Va rifiutata invece l'accusa di barocchismo levata da alcuni critici contro il tono generale del film: è il clima di Bergman, della sua terra, delle sue origini; non gli si può rimproverare di essere nato svedese. D'altronde sono rilievi che perdono forza se si accetta, come non si può non accettare, anche il monito di attualità che Il settimo sigillo reca in sé, ovvero il riferimento alla guerra nucleare (la pestilenza). Il viaggio trecentesco è una storia che ci concerne anche senza il salto di sette secoli.
Tuttavia specifichiamo che il film ci è vicino non soltanto per un fatto di “vigilia atomica” ma anche per la sua ansia di dibattito, i suoi personaggi bifronti, la ricerca del giusto attraverso l'iniquo, il plebeo e il meraviglioso a contatto, l'aspettativa, come dice lo scudiero, “di qualcosa che deve succedere ma non sappiamo che cosa”. Alla soglia degli anni Sessanta tutti gli artisti del mondo trasaliscono alle medesime voci, e ai medesimi silenzi.
Tino Ranieri, Ingmar Bergman, Il Castoro cinema, 12/1974 |
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Critica (2): | Il cavaliere Antonius Block (Max von Sydow) e il suo scudiero Jöns (Gunnar Björnstrand), reduci disillusi delle crociate, fanno ritorno nella Svezia del Trecento e la trovano in balia della peste e della disperazione. Sulla spiaggia Block incontra la Morte, e in una delle più efficaci alternanze campo/controcampo mai realizzate la sfida a una partita a scacchi per prendere tempo e poter compiere un’azione che dia un senso alla sua vita.
Ingmar Bergman iniziò a lavorare a Il settimo sigillo scrivendo sulla sua agenda questo appunto (la Bibi cui si riferisce è la sua compagna di allora, l’attrice Bibi Andersson): “Bibi ha ragione. Basta commedie. È ora di passare ad altro. Non devo più lasciarmi intimorire. Meglio questo di una cattiva commedia. Dei soldi non m’importa niente”.
Dato che si tende a immaginare Ingmar Bergman come un intellettuale tormentato alle prese con i suoi demoni interiori, può sembrare strano che fosse felice dei suoi primi grandi trionfi come regista di commedie. Eppure era così. Adesso, però, era “ora di passare ad altro”. Il settimo sigillo segna così un punto di svolta nella carriera di Bergman. Può sembrare paradossale, ma anche se furono le commedie dei primi anni Cinquanta a spianare la strada alla carriera internazionale di Bergman, i suoi veri trionfi commerciali vennero con i successivi e ‘impegnativi’ drammi esistenzialisti come Il settimo sigillo.
Il settimo sigillo nacque come evoluzione di un atto unico che Bergman aveva scritto qualche anno prima per gli attori del Teatro municipale di Malmö. Nonostante le molte analogie, quello che manca nel prototipo è proprio il personaggio bergmaniano più famoso. Mi riferisco naturalmente alla Morte, volto bianco e vestito nero, che gioca la sua partita sul bianco e nero di una scacchiera in uno dei film in bianco e nero per eccellenza.
Jan Holmberg, festiva.ilcinemaritrovato.it |
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Critica (3): | "Da bambino mi capitava talvolta di seguire mio padre nei suoi spostamenti quando doveva officiare messa nelle piccole chiese di campagna dei dintorni di Stoccolma. [...] Mentre mio padre parlava dal pulpito, e i fedeli pregavano, cantavano o ascoltavano, io concentravo la mia attenzione sul mondo segreto della chiesa, costituito da volte basse, mura spesse, profumo di eternità, luce solare che tremava sulla strana vegetazione dei dipinti medioevali e sulle figure scolpite sul soffitto e sulle mura. C'era tutto ciò che la fantasia può desiderare: angeli, santi, dragoni, profeti, demoni, bambini. C'erano animali estremamente spaventosi: i serpenti del Paradiso, l'asino di Balaam, la balena di Jonas, l'aquila dell'apocalisse... In un bosco, la Morte era seduta e giocava a scacchi con un cavaliere... una creatura dagli occhi spalancati si attaccava ad un albero mentre in basso la Morte si accingeva a segare l'albero. Sulle colline in lieve pendenza la Morte conduceva la danza finale verso il paese delle tenebre". Come dimostrano queste parole di Bergman, l'evocazione visionaria del XIV secolo racchiusa nel Settimo sigillo ha origini remote che affondano nelle fantasie dell'infanzia. Il Medioevo di Bergman è una dimensione dove proiettare fantasmi e angosce che assediano l'individuo nel profondo.
Roberto Chiesi, ilcinemaritrovato.it |
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Critica (4): | |
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